Martedì, 19 Aprile 2022 05:03

“Il prefetto Rocchi e il salvataggio degli ebrei- Perugia- Isola Maggiore sul Trasimeno 1943-1944” In evidenza

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Sono trascorsi poco meno di ottanta anni dalla fine della Repubblica Sociale Italiana (e della Seconda guerra mondiale). Il periodo che va dal 1943 al 1945 - coincidente con quello della Repubblica di Salò - è un pezzo di storia d’Italia, la cui conoscenza risulta tuttora incompleta e da approfondire, nonostante la variopinta saggistica di autori che si sono occupati della materia.

Riguardo ai 600 giorni di Salò c’è tanto, tantissimo materiale, a volte ancora non pubblicato, non catalogato e non studiato.

Appare allora rilevante il contributo di Stefano Fabei che, nel suo saggio storico (da poco dato alle stampe, edito da Mursia) sulla figura del prefetto Rocchi, ha saputo “ricostruire una pagina di storia locale che, poco conosciuta quando non del tutto ignota ai più fino a tempi recenti, costituisce nondimeno una tessera importante nel grande mosaico della storia nazionale”.

A quel tempo il prefetto fascista di Perugia salvò dalla deportazione tedesca circa trenta ebrei. Armando Rocchi, in qualità di capo della Provincia (funzione che nella RSI contemplava i precedenti ruoli di prefetto e di segretario federale del partito), si adoperò affinché le politiche antisemite avessero il minore impatto possibile sui cittadini ebrei nel territorio di sua competenza.

Sul periodo storico considerato sono apparse pubblicazioni di parte o, meglio, delle due parti in conflitto: da una parte i repubblicani (o repubblichini, come più diffusamente, in modo dispregiativo, venivano appellati gli aderenti alla RSI), i cattivi, coloro che avrebbero poi perso la guerra; dall’altra, i partigiani e quelli che li sostenevano e li sostengono tuttora, da un punto di vista ideologico.

Ed è a causa della storiografia e della memorialistica appartenente a quest’ultimo filone, se il ruolo del prefetto Rocchi è stato per troppo tempo ignorato, o minimizzato. Attraverso testimonianze e  documenti, con le quali Stefano Fabei ha supportato la sua ricerca, si delinea il salvifico intervento del prefetto per allontanare gli ebrei dai pericoli quotidiani che correvano, sebbene giungessero a lui pressioni - specie da parte tedesca - tese ad accentuare il rigore contro gli ebrei e i loro beni.

“Io invio tutti gli ebrei a Villa Guglielmi per il loro bene, so quello che faccio… il tempo vi farà capire che ho ragione di fare così… io non verrò mai a trovarvi, ma veglierò su di voi tutti”, dichiarò Armando Rocchi a cui, anni dopo, il mondo ebraico attribuì il riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni”.

Ma chi era Armando Rocchi? Nella Prima guerra mondiale partì giovanissimo per il fronte con il grado di sottotenente; fu volontario nella guerra civile spagnola. Rientrato in Italia, tornerà a combattere con il grado di Seniore (maggiore) della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale nei Balcani. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana e, designato capo della Provincia, attuò una lotta serrata contro le formazioni partigiane, tentando di ripristinare l’ordine pubblico. Non ebbe, però, la stessa intransigenza con gli ebrei, verso i quali - come compiutamente riporta il libro di Fabei - si mostrò disponibile all’ascolto delle loro preoccupazioni.

“Le disposizioni antiebraiche, da me non condivise, furono applicate con la maggior possibile lentezza, in modo che questi, indirettamente, ma tempestivamente preavvertiti, della disposizione in procinto di essere adottata, subirono da questo il minor danno possibile”, così scrisse Rocchi durante la detenzione nel suo memoriale di difesa.

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Grazie alle molteplici fonti riportate - dove traspare l’insofferenza all’ingerenza tedesca del capo della Provincia umbra - Fabei riesce a far emergere, tramite la figura del prefetto Rocchi, la funzione mitigatrice che l’intera Repubblica Sociale ebbe sull’operato del loro alleato germanico.

Alla vigilia della sua fine, cioè nel colloquio che Mussolini ebbe con il giornalista Cabella, il 20 aprile 1945, riassumendo i suoi rapporti con i tedeschi, il capo della RSI disse che non aveva potuto fare altro che mitigare la prepotenza dei tedeschi, poiché aveva ottenuto il ritiro del marco di occupazione (che era già stato messo in circolazione); aveva impedito il trasporto in Germania di macchinari; aveva fatto tornare in patria migliaia di soldati e di lavoratori deportati; (e, per quel che ci riguarda nel caso che stiamo trattando) aveva impedito fucilazioni ed ulteriori repressioni.

L’intento dell’establishment di sinistra  è lo studio della storia d’Italia che va dal 1922 al 1945 come una lunga catena di crimini contro l’umanità, dove solo le minoranze oppresse si salvano l’anima.

Con il suo saggio “Il prefetto Rocchi e il salvataggio degli ebrei”, Stefano Fabei ha contribuito a gettare nuova luce sui fatti accaduti e smentisce quella narrazione a senso unico che, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso, tiene lontano i lettori dalla verità storica, travisandola. Con una accurata ricerca, l’autore del libro ci restituisce per intero la figura di Rocchi che, forse, neanche il tribunale di allora (Corte di Assise di Bologna) ha considerato nella sua totalità, data la pesante condanna inflitta (trent’anni di reclusione, pena scesa poi a venti anni e confermata nel 1949 in Cassazione).

Armando Rocchi spirerà a Perugia nel 1970.

18.04.2022

Matteo Pio Impagnatiello

membro Comitato Scientifico Unidolomiti

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