Di Andrea Meneghel (*) Udine, 26 giugno 2021 - Nella lingua dei greci la parola εἶδος (idea, forma) condivide la stessa radice del verbo ἰδεῖν (vedere). Le idee si vedono, anzi sono ciò che si vede per eccellenza, e il senso atto a coglierle è descritto come un occhio interiore della mente. Non meno apertamente l’εἴδωλον (idolo, figura, oggetto esposto all’attenzione) mostra la sua appartenenza alla medesima famiglia semantica.
La vista ha un ruolo fondamentale anche nel Mito della Caverna di Platone, uno dei luoghi letterari fondativi della civiltà europea: nel mito, gli abitatori della caverna guardano le ombre e non vedono coloro che muovono gli oggetti, di cui le ombre sono proiezioni, dietro il muro.
Quando il prigioniero riesce a sottrarre le mani ai vincoli, il primo atto rivoluzionario che compie - si ricordi che la ipotetica liberazione avviene in modo quasi casuale - è accorgersi della realtà che lo circonda.
Una volta uscito, rimane cieco per il mai visto lucore del mondo esterno e i suoi occhi devono abituarsi alla luce. Il contrasto fra gli ambienti presentati nel mito si gioca sulla gradazione luminosa, dal buio iniziale della spelonca, al barlume caliginoso del fuoco degli agitatori di sagome, fino allo splendore della solare delle vere cose.
Il filosofo infine riesce a sostenere le sfumature di ciò che lo circonda e alza gli occhi verso il Sole.
Autore (*)
Andrea Meneghel è un giovane studioso ventenne, Laureato in Filosofia nel 2020 con 110 e lode, e lavora attualmente come docente a contratto presso un libero istituto di formazione svizzera. Lettore eterodosso dei classici italiani e latini, si interessa di filosofia medievale, umanesimo e musica lirica.
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