Che cosa è la normalità? A dispetto di definizioni fantasiose, occorre dire che etimologicamente il termine rimanda alla norma, un antico strumento noto ai latini e simile per molti aspetti alla nostra squadra, avente la precipua funzione di aiutare la mano a tracciare linee rette, perpendicolari e angoli. Normale aveva in origine il significato di “tracciato con la norma”, quindi “guidato da un oggetto rigido” e, con un po’ di elaborazione, “conforme alle regole della geometria”. Come spesso accade, con il cadere in disuso dello strumento, la funzione figurata ha conquistato il primo posto e poi l’intero significato del termine, a tal punto che oggi si risale a fatica il corso dell’etimologia. Vicende analoghe, occorre dirlo, hanno investito la parola regola, che indicava al contempo sia ciò che noi oggi chiamiamo righello sia il diminutivo della parola rex – proprio il monarca; il righello è, a tutti gli effetti, un piccolo re che impone alla mano il corso della penna, così come la regola è la legge che – secondo Cicerone - dovrebbe comandare a tutti il bene e vietare l’ingiustizia.
Abbiamo detto che la norma è lo sviluppo conforme all’ordine di qualcosa – all’ordine della geometria nel caso della linea retta, all’ordine della condotta nel campo della morale – ma vi sono accezioni parallele, e talvolta più note, che vale la pena approfondire. Normale non vuole dire nella nostra lingua una sola cosa; possiamo infatti distinguere almeno tre usi diversi: uno statistico, uno giuridico e uno morale. Per norma statistica si intende l’elemento più ricorrente entro un campione di individui; il valore di x con la massima frequenza, per usare altri termini. La norma giuridica è circoscritta all’ambito del diritto e si declina nella conformità di un individuo alla legge, sia quest’ultima giusta o ingiusta. Strettamente connesso a quest’ultimo caso, la norma medica (o clinica) risulta dal paragone, più o meno felice, fra lo stato di salute attuale del paziente e i parametri di riferimento corrispondenti. La norma morale, infine, rileva le cose come dovrebbero essere – e talvolta non sono – come cioè ci si aspetta che un agente moralmente integro si comporti in una determinata situazione.
Quando leggiamo espressioni come “nuova normalità”, dobbiamo sempre interrogarci sul contesto e chiederci con lecito dubbio se quello che si propone è una acefalo calcolo dei costumi più diffusi o, al contrario, l’imposizione di un nuovo e latente paradigma giuridico e morale.
Autore (*)
Andrea Meneghel è un giovane studioso ventenne, Laureato in Filosofia nel 2020 con 110 e lode, e lavora attualmente come docente a contratto presso un libero istituto di formazione svizzera. Lettore eterodosso dei classici italiani e latini, si interessa di filosofia medievale, umanesimo e musica lirica.
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