A Venezia torna "Gusto in scena". Tra le 50 cantine selezionate dalla prestigiosa manifestazione dedicata a gusto e salute anche l'azienda biologica di Traversetolo, chiamata a rappresentare l'anima spumeggiante dell'Emilia.
Parma, 27 febbraio 2016
Operatori e gourmet incontrano i produttori a Gusto in Scena, prestigiosa rassegna nazionale dedicata alla cucina di qualità e salutista patrocinata dal Ministero della Salute, giunta quest'anno alla VIII edizione. L'appuntamento è per domenica 28 e lunedì 29 febbraio, all'interno della Scuola Grande San Giovanni Evangelista di Venezia, dove trenta eccellenze gastronomiche, cinquanta cantine, chef stellati, maestri pasticcieri e pizzaioli di fama nazionale saranno i protagonisti della due giorni dedicata alla "Cucina del Senza" – senza sale o senza grassi o senza zuccheri aggiunti – che quest'anno punterà i riflettori sulle cotture a bassa temperatura.
A rappresentare l'Emilia Romagna saranno gli spumanti di Malvasia e Sauvignon e la barbera di Vigna Cunial, cantina biologica dei colli di Traversetolo, in provincia di Parma. La manifestazione, che ogni anno richiama in laguna migliaia di operatori, giornalisti e appassionati, si caratterizza per la sua grande attenzione al benessere e la capacità di coniugare nel piatto e nel calice gusto, qualità e salute.
"Mi fa particolare piacere rappresentare l'Emilia a Gusto in Scena – spiega Gian Maria Cunial, titolare della cantina Vigna Cunial – perché è una manifestazione attenta a quegli elementi di salute e benessere che mi hanno spinto a intraprendere la strada della viticoltura biologica e che ritengo debbano essere sempre presenti in un'alimentazione quotidiana dove troppo spesso, purtroppo, prevalgono cibi industriali con ingredienti di cui non conosciamo la provenienza né tanto meno la qualità. Nell'anno in cui Parma è città creativa Unesco per la gastronomia porterò a Venezia vini rappresentativi del nostro territorio che nascono nel massimo rispetto della natura e di chi li sceglierà nel bicchiere".
Dal salone di Venezia i vini biologici di Traversetolo finiranno direttamente in libreria: ad aprile infatti la casa editrice Feltrinelli-Gribaudo pubblicherà il libro "La cucina del Senza" in cui Marcello Coronini, ideatore di Gusto in Scena, e Roberto Perrone, giornalista del Corriere della Sera, racconteranno le regole per realizzare una cucina di qualità e attenta alla salute, abbinando a ricette di chef stellati i vini selezionati per l'edizione 2016 dalla kermesse veneziana.
Le sperimentazioni in cucina continuano, anzi le stranezze. Dopo il pane nero, la pizza ed i croissant total black, anche un altro alimento si veste di scuro: la Mozzarella di Bufala. A brevettarla sono stati dei casari originari della provincia di Caserta
Di Chiara Marando -
Sabato 13 Febbraio 2016 -
Il nero, si sa, va sempre di moda. In quest’ultimo periodo, poi, sembra che si debba tingere di scuro qualsiasi cosa, anche quegli alimenti che proprio grazie al loro colore sono diventati dei simboli in cucina soprattutto in Italia.
Dopo il famoso e criticato pane nero, la pizza total black ed i cornetti che ad una prima occhiata sembrano carbonizzati, adesso si veste a lutto anche la mozzarella di bufala.
Si avete capito bene!
Solo a sentirne parlare vengono i brividi, ma la paura diventa realtà quando questa nuova creazione trasforma la più classica caprese in un piatto di dubbio gusto. Si tratta di un vero e proprio controsenso, una ricerca estrema verso l’assurdo che porta a stravolgere cibi tradizionali che fanno parte della storia gastronomica nazionale.
L’ingrediente di troppo è sempre il carbone vegetale, certamente utile per la digestione ed i gonfiori, ma tutt’altro che apprezzato e goloso se aggiunto al latte come in questo caso. In più, nonostante i suoi benefici nella cura di problematiche come reflusso, sindrome del colon irritabile e gastrite, è bene tenere presente che un dosaggio eccessivo potrebbe bloccare l’intestino.
Ma nonostante questi aspetti prettamente salutari, la domanda sorge spontanea: Perché? Per quale motivo è sempre necessario cercare l’originalità a tutti i costi?
Un quesito che si è effettivamente posto chi, fin da subito, ha dimostrato poca convinzione davanti all’uscita della notizia, i puristi del buon cibo tipico, quello non contaminato e lavorato come una volta.
Sul fronte opposto, e c’era da aspettarselo, la mozzarella nera ha suscitato molta curiosità ed un discreto successo, anche se ancora non ha conquistato le tavole italiane.
L’idea della Nera di Bufala, questo è il nome ufficiale, è stata brevettata dai casari Giovanni ed Umberto D’Angelo di Cancello ed Arnone, in provincia di Caserta, e ripresa dal caseificio Ilka, nel salernitano. Una novità gastronomica a cui si cerca anche di attribuire la caratteristica di una maggiore digeribilità, teoria basata più sulla volontà di vendere il prodotto che in relazione alle sue concrete peculiarità.
Fortunatamente, per ora, rimane solo una tendenza food proposta dai ristoranti più sperimentali e fashion, diciamo una delle tante stravaganze per attirare l’attenzione a tutti i costi.
Ma il sapore com’è?
A onor del vero poco cambia, se non un leggero sentore di affumicato, a fronte però di un aspetto decisamente poco invitante: scura nella parte esterna che al taglio rilascia latte bianco, in un contrasto cromatico che non appaga l’occhio.
Vini e cucina: il meglio racchiuso nelle tanto attese guide enogastronomiche 2016. Ecco i vincitori che si sono aggiudicati Bicchieri, Stelle, Forchette, Gamberi, Bottiglie, Corone e Viti. I ristoranti più apprezzati e le cantine e le etichette più stimate.
Di Cecilia Novembri
Bicchieri, Stelle, Forchette, Gamberi, Bottiglie, Corone e Viti. Sono i simboli utilizzati dalle migliori guide enogastronomiche che, come ogni anno, anche nel 2016 accompagneranno estimatori e non nel mondo dei ristoranti più apprezzati e delle cantine edelle etichette più stimate.
Ristoranti d'Italia de L'Espresso, pubblicata ininterrottamente dal 1978, giudica in ventesimi, e aggiudica da uno a tre cappelli alle cucine più prestigiose, lasciando commenti su ambiente, servizio e cantina. Massimo Bottura con la sua Osteria Francescana raggiunge il massimo, 20/20, conquistando la vetta della Guida L'Espresso 2016 per il quarto anno consecutivo.
"Una delle destinazioni più dinamiche e affascinanti del mondo", così Michael Ellis, direttore internazionale delle Guida Michelin, ha descritto l'Italia alla presentazione della Guida Michelin Italia 2016 che si propone come una guida giovane, la metà dei nuovi stellati ha un'età inferiore ai 35 anni, che sposta l'ago della bilancia della ristorazione al Sud Italia: Napoli diventa la provincia più stellata.
Sono 2268 le recensioni di ristoranti, trattorie, wine bar e birrerie per consentire a persone con ogni budget di trovare il locale giusto!
Questo è quello che si può trovare nella Guida Gambero Rosso 2016, un riferimento insostituibile e prezioso tanto per appassionati gourmet quanto per chi ne fa un uso di servizio o ancora per semplici curiosi. Tra le 26 Tre Forchette si confermano al vertice l'Osteria Francescana di Modena di Massimo Bottura e La Pergola del Rome Cavalieri di Heiz Beck, due nuovi ingressi Berton chef Andrea Berton e Seta del Mandarin Oriental Milano chef Antonio Guida.
Una menzione va fatta anche per l'edizione 2016 della guida Vini d'Italia del Gambero Rosso. Un'istantanea che racconta l'Italia del vino di oggi e con un po' di storia: il campione di quest'anno è il Brunello, 18 i Brunello 2010 premiati con i Tre Bicchieri!
Torna anche per il 2016 la guida I vini d'Italia 2016 de L'Espresso. Oltre 20 mila le etichette degustate, sorprendente un unico 20/20, punteggio massimo assegnato al Barolo 2011 di Bartolo Mascarello.
Prosegue il progetto editoriale avviato nel 2015 dall'Associazione Italia Sommelier con Vitae AIS. Anche in questa seconda edizione del volume ogni etichetta recensita è raccontata con informazioni aziendali, il profilo organolettico e i suggerimenti sul migliore abbinamento con il cibo.
Images with the courtesy of: Gamberorosso.it – Via Michelin.it – Espresso Repubblica.it – dissapore.com – Paolo Terzi Elle.it
E' diventato ancora più concreto il sodalizio tra la città di Parma e quella di Alba, candidata a futuro membro delle "Unesco Creative Cities of Gastronomy". Nuove sinergie sono state messe in campo dopo l'incontro avvenuto nella città piemontese.
Di Chiara Marando
Parma 08 Febbraio 2016
Un sodalizio gastronomico è quello che il 6 febbraio scorso è stato sancito dalla città di Alba e Parma, fresca di nomina a "City of Gastronomy" UNESCO. All'interno della sala consigliare "Teodoro Bubbio" del Palazzo comunale di Alba, il Sindaco Maurizio Marello e l'Assessore alla Cultura e Turismo Fabio Tripaldi hanno accolto il Sindaco di Parma Federico Pizzarotti e l'Assessore al Turismo e alle Attività Produttive del Comune di Parma Cristiano Casa, nell'ambito delle iniziative volte a promuovere la candidatura di Alba al network internazionale Unesco Creative Cities of Gastronomy.
E sarà proprio Parma a sostenere con forza questa candidatura consolidando, in tal modo, l'unione tra questi due punti di riferimento nel panorama food italiano. Lo scopo è quello di valorizzare quanto più possibile tutto il valore e l'eccellenza del patrimonio enogastronomico nazionale, un unicum nel mondo che tutti apprezzano e ricercano.
Proprio per questo, durante l'incontro, è stato presentato un particolare protocollo d'intesa che sancisce i cardini di questa collaborazione tra Alba e Parma.
«Siamo contenti di avervi accanto in questo percorso al network internazionale Unesco Creative Cities of Gastronomy – ha dichiarato Sindaco Maurizio Marello – in cui abbiamo deciso di provare ad entrare. L'anno scorso abbiamo saputo di essere candidate insieme a Parma vivendo questo momento con collaborazione. Poi, il ministero ha scelto Parma e noi siamo contenti di questo risultato. Contemporaneamente gli amici della città emiliana ci hanno detto che sosterranno la nostra candidatura per il 2017. Questa è stata un'occasione davvero importante per far incontrare i nostri due territori. Al di là della candidatura, che è comunque importante, si vuole iniziare a lavorare assieme su una serie di progetti che metteremo in pista per fare del turismo il motore più forte della nostra economia».
Anche il sindaco Federico Pizzarotti ha espresso il suo favore nei confronti di questa iniziativa che lega le due città: «L'idea di creare un circuito dei territori enogastronomici fa sistema inglobando particolarità e peculiarità, comunicandole insieme e meglio all'estero. Da qui si sviluppano e crescono i rapporti tra le due città ma anche con il mondo internazionale. Il protocollo d'intesa permetterà la partecipazione di Parma alle iniziative di Alba e la partecipazione di Alba e del suo territorio agli eventi di Parma».
Un'operazione che certamente porterà ad una maggior ricchezza di offerta e, di conseguenza, ad una sempre più alta appetibilità nei confronti dell'estero attraverso la realizzazione di specifiche attività turistiche.
«Rinnovo la nostra disponibilità a sostenere Alba sulla redazione del dossier ma anche su altre attività – ha promesso l'Assessore al Turismo e alle Attività Produttive del Comune di Parma Cristiano Casa – Importante cercare di far sì che anche Alba entri nell'albo delle città creative Unesco. Questo riconoscimento ci ha dato un'eccellente risonanza mediatica sulla stampa internazionale e spero ci farà raggiungere presto l'obiettivo dell'incremento flussi turistici sul nostro territorio».
Parma è la "Città della gastronomia" designata dall'Unesco. Il primo di una serie di eventi sarà l'invito, in occasione di Cibus, alle altre 17 città creative per creare una rete. Tra le città italiane sono state scelte Roma per il Cinema, Bologna per la Musica, Fabriano per la Folk art, Torino per il Design.
Di Alexa Kuhne
Parma, 1 febbraio 2016
La cultura del cibo è un patrimonio che appartiene a Parma.
Lo ha stabilito l'Unesco che l'ha fatta entrare di diritto fra le sue 'Città creative', designandola come membro del "Creative Cities Network" per la Gastronomia.
Tra le città italiane sono state scelte Roma per il Cinema, Bologna per la Musica, Fabriano per la Folk art, Torino per il Design.
Il network "Città creative" ha come obiettivo la creazione di un legame tra città in grado di sostenere e di fare della creatività culturale un elemento essenziale per il proprio sviluppo economico, offrendo agli operatori locali una piattaforma internazionale su cui convogliare l'energia creativa delle proprie città e gettando così le fondamenta per proiettare esperienze locali in un contesto globale, con l'obiettivo di promuovere l'industria della cultura. Attraverso questa rete, divisa in sette aree corrispondenti ad altrettanti settori culturali (Musica, Letteratura, Folk Art, Design, Media Arts, Gastronomia, Cinema) le città possono condividere le proprie esperienze e sostenersi reciprocamente, valorizzando le proprie capacità ed incrementando la presenza dei propri prodotti culturali sui mercati nazionali ed internazionali.
Il logo ufficiale per Parma è stato presentato in Municipio qualche giorno fa, a conclusione della prima riunione convocata per formalizzare la costituzione dell'organismo che dovrà gestire i progetti connessi alla designazione stessa.
All'incontro sono intervenuti il sindaco Federico Pizzarotti, l'assessore Cristiano Casa e il direttore generale Marco Giorgi.
"L'incontro – ha commentato il sindaco Federico Pizzarotti – è servito per individuare le priorità e i soggetti che daranno gambe ad un progetto impostato su una rete di relazioni, sulla base di una road map condivisa, che ci permette di metterci subito al lavoro".
"Presto una struttura operativa – ha ribadito l'assessore Cristiano Casa – che sarà probabilmente una Fondazione in partecipazione, i cui primi soci saranno quelli istituzionali convocati oggi, ma potranno partecipare tutte le associazioni interessate, a cominciare dai sottoscrittori dei protocolli di sostegno alla candidatura".
Presto il primo evento collegato alla designazione. L'occasione che sarà il momento in cui Parma vive più intensamente il suo ruolo di città leader nel settore agroalimentare è Cibus. Alla manifestazione verranno infatti invitate le 17 città che condividono con Parma la designazione a "Città creative UNESCO".
Durante l'ultimo incontro in Municipio è stato delineato il percorso che Parma dovrà seguire per vedere confermata la sua appartenenza al network delle città creative, che non va considerata acquisita una volta per sempre.
Ogni 4 anni, infatti, si dovrà rendicontare l'attività svolta per dimostrare di aver assolto a tutti gli impegni presi nel dossier di candidatura presentato per ottenere la designazione. Si tratta dei sei progetti che stanno alla base del documento e dell'impegno di fare rete con le altre città che hanno ottenuto lo stesso riconoscimento.
"Dobbiamo proiettare la straordinaria opportunità di Cibus in campo nazionale e internazionale – ha affermato l'assessore regionale Simona Caselli – Se riusciamo a fare sistema, possiamo esprimere un potenziale molto forte, sfruttando la pluralità di saperi e strumenti di cui disponiamo, per dispiegare appieno il progetto di cultura del cibo che sta alla base della designazione che avrà valore per tutto il nostro territorio regionale".
Il logo sarà un simbolo di grande importanza.
Salvo specifica autorizzazione rilasciata da Unesco, l'uso del logo di Città Creativa Unesco è concesso, su richiesta, solo ai Comuni e i dipartimenti ufficiali e/o enti per promuovere le attività e le collaborazioni.
L'uso del logo Unesco è regolato dalle "Direttive sull'uso del nome, acronimo, logo e dominio internet di Unesco", disponibile online sul sito Unesco.
"I loghi di Città Creativa Unesco – ha ribadito l'assessore Casa - non devono essere usati ad uso commerciale. La vendita di beni o servizi recanti il nome e il logo città creativa Unesco a scopo di lucro sono considerati commerciali, per questo non permessi".
Ovviamente l'uso improprio del logo, anche da parte di privati, può persino dare luogo al ritiro del riconoscimento.
Al tavolo insieme a loro i rappresentanti istituzionali coinvolti nel progetto: Simona Caselli, assessore all'agricoltura della Regione Emilia Romagna, Andrea Zanlari, presidente Camera di Commercio di Parma, Andrea Fabbri dell'Università di Parma, Gianpaolo Cantoni, consigliere delegato della Provincia di Parma, Cesare Azzali, amministratore unico di Parma Alimentare e direttore UPI, Pierluigi Spagonidi Ente Fiere di Parma, Antonio Gioiellieri di ANCI Emilia Romagna, Massimo Spigaroli, presidente di Chef to Chef, Roberto Delsignore, presidente di Fondazione Monte Parma e Francesca Magri di Fondazione Cariparma.
La “Trattoria Da Vito “ è una delle osterie del fuori porta bolognese, un luogo che racconta la storia artistica degli anni settanta-ottanta. Qui numerosi artisti come Guccini, Dalla e Gaber avevano sempre il loro tavolo prenotato.
Di Chiara Marando –
Sabato 16 Gennaio 2016 -
Ci sono luoghi che riescono a resistere allo scorrere del tempo, che mantengono un sapore tutto particolare e raccontano una storia fatta di cose semplici, ma al tempo stesso significative, testimoni di un’epoca che non c’è più.
Ecco perché, scoprire quasi per caso uno dei locali che rappresentano un pezzo della storia culturale di Bologna è stata una sorpresa più che piacevole. Già, perché la “Trattoria Da Vito” non è solo un ristorante, è “IL” ristorante dove dagli anni settanta in poi gli artisti bolognesi si ritrovavano per mangiare e trascorrere la serata. Una delle osterie del fuori porta, quella tra via Mauro Musolesi all’angolo con via Paolo Fabbri, quella dove tutto avveniva nella più totale casualità e, proprio per questo, genuina e fuori dagli schemi convenzionali.
Qui, artisti come Francesco Guccini, Lucio Dalla, Giorgio Gaber , Red Ronnie ed anche Fabrizio De Andrè avevano il loro tavolo prenotato. Oggi lo storico padrone di casa Vito non c’è più, ma le redini dell’attività le ha prese suo figlio Paolo che è riuscito a mantenere intatta quell’atmosfera di ruvida rusticità tanto amata dagli affezionati clienti.
E quando si dice che nulla è cambiato, vuol dire che anche le tende sono le stesse dei tempi che furono: lunghe e verdi, un po’ da ospedale ma insostituibili per tutti coloro che non vogliono rinunciare all’anima di questo posto.
Il menù ripropone tutto il gusto della tradizione con piatti come Tortellini in brodo, Tortelloni al ragù, Lasagne, oppure i mitici Spaghetti alla Carbonara che farebbero invidia ai più noti ristoranti di Roma. Per i secondi la carne fa da padrona: coniglio alla cacciatora, stinco di maiale, spezzatino e pollo. I dolci sono quelli più tipici e golosi, perché il tiramisù e la zuppa inglese non possono mai mancare, ma anche la torta di riso è un must irrinunciabile e la macedonia di frutta ha quel tocco in più. E che dire delle porzioni? Bene, come potete immaginare sono più che abbondanti.
La cameriera rispecchia esattamente la semplicità e la schiettezza del luogo, sembra quasi che sia lei a farei un favore servendoti, ma la realtà è che si ricorda perfettamente ogni ordine a memoria, è veloce, gentile e quasi irreale. Difficile dimenticare la sua affermazione “ in realtà i piatti scritti sulla lavagna non sono dei fuori menù del giorno, sono quelli che facciamo sempre solo che non abbiamo voglia di ristampare la lista”.
Insomma, una tappa gastronomica in questa trattoria spartana, per certi aspetti anche troppo, non può mancare durante una visita a Bologna. Non aspettatevi fiori sul tavolo, una sala impeccabile e l’ambiente più raffinato, ma siate pronti a mangiare le vere bontà del territorio facendovi conquistare dalla sua essenza conviviale.
Trattoria da Vito
Via Mario Musolesi, 9,
40100 Bologna
Tel. 051 349809
E’ stata da poco presentata l’edizione 2016 dell’ormai storica Guida Michelin Italia, lo strumento utile e pratico per chi ama viaggiare e provare i sapori locali dei vari luoghi. Tantissimi gli indirizzi segnalati, nuove stelle e novità.
Di Chiara Marando – 12 Dicembre 2015 -
Tutti ormai la conosciamo, il suo nome è già da solo una sicurezza per la ricerca del “buon mangiare”, molti la criticano ed altri, al contrario, non ne possono fare a meno.
Quello che certamente si può dire è che la Guida Michelin è diventata uno strumento importante, e di riconosciuta attendibilità, dedicato a chi viaggia e cerca ristoranti e locali dove fermarsi per godere delle bontà gastronomiche locali e non solo.
Una guida che si rinnova ogni anno e che, proprio nei giorni scorsi, è uscita con l’edizione 2016 della Guida Michelin Italia, ovvero “una delle destinazioni più dinamiche ed affascinanti del mondo”, come ha ben spiegato Michael Ellis, direttore internazionale delle Guida Michelin.
Durante questa occasione di presentazione ufficiale è stato anche chiarito il ruolo degli ispettori, ed il loro imprescindibile anonimato durante i momenti di lavoro, ma anche sottolineata l’identità della Guida che, nel tempo, ha acquistato un ruolo ben preciso e determinato.
Un totale di 6300 indirizzi segnalati, con 26 nuove stelle come nel caso del ristorante La Tana di Alessandro Dal Degan, il Borgo San Giacomo di Peter Brunel e le 3 new entry milanesi, il ristorante Armani, Seta di Antonio Guida, Tokuyoshi di Yoji Tokuyoshi. Si perdono la stella per strada invece il Pont de Ferr ed il Combal Zero che da due passa ad una.
Ma in cosa è diversa questa edizione 2016?
Si può dire che sia una guida più giovane, con una buona metà di nuovi stellati sotto i 35 anni di età, e che punti l’attenzione sulla ristorazione del Sud Italia, come ben dimostra la presenza massiccia di ristoranti stellati nella provincia di Napoli e nella regione della Campania.
L’Italia si conferma ancora una volta un paese pulsante di energia ed idee, nonché il secondo paese più stellato al mondo grazie alle diverse culture che la popolano, specchio di altrettante tradizioni culinarie che rendono il territorio italiano un unicum nel suo genere.
Che si tratti di ristoranti blasonati, trattorie oppure locali per appetizer stuzzicanti, la parola d’ordine è stupire il palato, accarezzarlo con sapori genuini, con profumi che si fanno ricordare, ma soprattutto con una cucina che rifletta l’anima di un luogo ed insegni ad apprezzarlo.
Ed ora, passiamo all’elenco dettagliato degli stellati premiati dalla Guida Michelin Italia 2016. Fatevi ispirare per la vostra prossima sosta enogastronomica.
TRE STELLE
Nella 61a edizione della Guida Michelin Italia confermano di avere una cucina che «vale il viaggio», e quindi le 3 stelle Michelin, gli 8 ristoranti dell’edizione 2015:
Piazza Duomo ad Alba,
Da Vittorio a Brusaporto,
Dal Pescatore a Canneto Sull’Oglio,
Reale a Castel di Sangro,
Enoteca Pinchiorri a Firenze,
Osteria Francescana a Modena,
La Pergola a Roma,
Le Calandre a Rubano
DUE STELLE
38 i ristoranti che «meritano una deviazione», ovvero quelli a due stelle. Ecco le due novità:
Casa Perbellini a Verona, dello chef Giancarlo Perbellini.
Gourmetstube Einhorn a Mules, dello chef Peter Girtler.
UNA STELLA
Sono 288 i ristoranti dall’«ottima cucina», di cui 26 novità:
I Due Buoi, Alessandria - chef Andrea Ribaldone
La Tana Gourmet, Asiago - chef Alessandro Dal Degan
Aqua Crua, Barbarano Vicentino - chef Giuliano Baldessari
Bacco di Barletta - chef Angela Campana, Cosimo Cassano e Dajgo Takescy
Meo Modo di Chiusdino - Chef Andrea Mattei
L'Argine di Vencò di Dolegna del Collio/Vencò - chef Antonia Klugmann
Signum di Salina, Isole Eolie - chef Martina Caruso
Acquerello, Fagnano Olona - chef Silvio Salmoiraghi
Borgo San Jacopo di Firenze - chef Peter Brunel
Castello di Grinzane Cavour - Marc Lanteri
Atman a Villa Rospigliosi, Lamporecchio - chef Igles Corelli
Shalai a Linguaglossa - chef Giovanni Santoro
Armani a Milano - chef Filippo Gozzoli
Seta a Milano - chef Antonio Guida
Tokuyoshi a Milano - chef Yoji Tokuyoshi
Dolce Vita Stube a Naturno - chef Thomas Ebner
Vespasia a Norcia - chef Emanuele Mazzella
Cielo a Ostuni - chef Andrea Cannalire
Enoteca al Parlamento Achilli a Roma - chef Massimo Viglietti
Re Maurì a Salerno - chef Lorenzo Cuomo
Don Geppi a Sant'Agnello - chef Mario Affinita
Aga, San Vito di Cadore - chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero
Alpenroyal Gourmet, Selva di Val Gardena - Mario Porcelli
Osteria Arbustico a Valva - chef Cristian Torsiello
Dopolavoro a Venezia - chef Federico Belluco
Oro Restaurant a Venezia - chef Davide Guida
Dopo tanto lavoro ed attesa oggi è arrivata la conferma: Parma è stata nominata “Città Creativa per la Gastronomia” UNESCO. Un riconoscimento importante, per una città che ha fatto del food uno dei suoi veri punti di forza in tutto il mondo
Di Chiara Marando- Venerdì 11 Dicembre 2015
La notizia è ufficiale: Parma è stata nominata “Città Creativa per la Gastronomia” UNESCO. Una decisione che è arrivata dopo un lungo lavoro che ha visto impegnati il Comune di Parma, le istituzioni e le associazioni della città, insieme al grande contributo fornito dall’associazione regionale di cuochi “Chef to Chef” e dal sostegno della Regione Emilia Romagna.
Si è trattato di un percorso fatto di incontri, conferenze, manifestazioni promozionali ed iniziative dedicate che è culminato con la visita della delegazione parmigiana al meeting promosso per gli ambasciatori UNESCO che si è tenuto a Parigi a Novembre. Un’occasione unica per far toccare con mano, e soprattutto assaggiare, tutta la qualità dei prodotti d’eccellenza che hanno reso il territorio di Parma noto in tutto il mondo.
“Questo riconoscimento – commenta il sindaco Federico Pizzarotti – rafforza la vocazione internazionale di Parma e può aprire la strada ad importanti sviluppi per la nostra economia, soprattutto in campo turistico. E' anche la conferma che il futuro del territorio parmense passa in primo luogo attraverso la valorizzazione dei suoi prodotti di eccellenza e la capacità di trasformarli in cibo – e continua - sono anche convito che, se saremo bravi, potremo utilizzare questo riconoscimento come volano per far conoscere Parma nel mondo anche come città d'arte, carica di storia, che si appresta a celebrare i suoi primi 2.200 anni di vita”.
Il Natale è la festa tradizionale per eccellenza, un momento nel quale si celebra lo stare in famiglia anche attorno alla tavola imbandita. Come in Italia, anche negli altri Paesi europei, e non solo, la cucina rispecchia la cultura del territorio
Di Chiara Marando – 28 Novembre 2015 -
Impossibile non notare le luci che in questi giorni hanno iniziato ad illuminare i centri storici delle città, trasportandoci lentamente nella suggestiva atmosfera natalizia che accompagnerà il mese di dicembre.
Ma Natale è sinonimo di tradizione e la tradizione va a braccetto con la cucina. Mai come durante le feste ci lasciamo andare a stravizi mangerecci, pietanze tipiche che diventano dei veri e propri cerimoniali da tramandare di anno in anno. Ogni luogo ha usanze diverse, piatti preparati come una volta che racchiudono un significato più profondo legato alla cultura dei diversi territori.
Già perché, come accade in Italia, anche negli altri Paesi europei, e non solo, il Natale è l’occasione perfetta per recuperare quelle specialità che ormai sono diventate parte integrante di usanze che permettono di festeggiare questi momenti dedicati alla famiglia.
Cominciamo pensando alla Spagna, dove non può mancare una saporita zuppa a base di carne e verdure chiamata escudella y carn d’olla, oppure il tacchino al forno accompagnato da frutta glassata, il maialino e l’agnello arrostiti ed il polvorones, uno sfizioso dolce friabile al cocco.
E che dire della Francia? Il popolo che ha fatto della raffinatezza un biglietto da visita, anche sulla tavola di Natale non si smentisce e propone principalmente piatti a base di pesce indirizzandosi verso ostriche, salmone affumicato, paté de Fois Gras e lumache, il tutto servito con insalate lavorate e condite con salse particolari allo yogurt. Nella regione dell’Alsazia si prepara il pollo arrosto, l’oca ed il prosciutto al forno, mentre in Borgogna il vero must è rappresentato dal tacchino servito con le castagne. Il dolce nazionale è la Bûche de Noël, un fagotto al cioccolato che ricorda il nostro Tronchetto di Natale.
In Inghilterra non esiste Natale senza il Christmas Pudding servito con rum o brandy, una ricetta che ha origini molto antiche e costituisce uno dei simboli gastronomici del popolo britannico, una specialità benaugurante. Ma non è solo la ricetta l’elemento particolare (contiene ben 13 ingredienti), anche la sua preparazione ha un procedimento rituale che vede impegnata tutta la famiglia: ogni membro deve essere presente durante la lavorazione per girare l’impasto, rigorosamente in senso antiorario.
Per la Germania il Natale rappresenta una delle feste più sentite, la sua magica atmosfera si respira in ogni più piccolo paesino, complici anche i famosi mercatini. La tavola tedesca viene così imbandita con il Martinsgans, ovvero arrosto d’oca imbottito di castagne, mele e cipolle con un contorno a base di cavolo rosso e canederli di patate, i cosiddetti Kloesse. Un altro piatto legato alla tradizione cristiana più antica sono i Weinhachtskarpfen, letteralmente “le carpe di Natale”. Poi ci sono i dolci: abbondano i Lebkuchen, biscotti speziati a base di miele, frutta secca e cannella, oppure i Baumkuchen, un impasto simile ai pancake, sistemato in sottili strati, grigliato e ricoperto di cioccolato fuso.
Passiamo alla Finlandia, ovvero il paese di Babbo Natale, che aspetta con impazienza questo periodo per celebrare anche la Festa della Luce che saluta la fine del periodo dei sei mesi di buio per dare il benvenuto a quelli che portano i raggi del sole. Qui, la vera tipicità gastronomica sono i dolci natalizi: i Joulutorttu, paste a forma di stella di Natale guarnite con marmellata di prugne, i Pipparkakku, biscotti speziati realizzati con varie forme, e la pappa di riso per la colazione della mattina di Natale, a cui viene aggiunto zucchero, cannella ed una mandorla portafortuna. Il cenone tradizionale prevede merluzzo, patè di fegato e prosciutto cotto accompagnati da bevande tipiche come il Glögg, ossia vino caldo con mandorle, cannella ed uvetta.
Infine, voliamo negli Stati Uniti dove per il pranzo del 25 dicembre trionfa il tacchino ripieno con salsa di mirtilli e verdure. I dolci che concludono il lauto pasto sono Christmas Pudding, Brownies e tortine di pasta frolla condite con frutta secca assortimento, le Mince Pies.
Questa settimana è andato in onda l’ultimo Best Of di “Unti e Bisunti 3”, il programma che lo ha consacrato. Ma Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, non è un prodotto televisivo, è un professionista che da sempre lavora con passione, dedizione e serietà. Ecco cosa ha raccontato...
- Di Chiara Marando –
Sabato 21 Novembre 2015 -
E’ uno dei volti televisivi del momento, apprezzato, criticato, ma mai comunque ignorato. Lui è Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, un professionista fuori dal comune, fonte di interesse e curiosità per quel suo essere schietto, a volte irriverente, per il suo modo di esprimersi genuino che si distacca dal classico linguaggio ed atteggiamento tipici del piccolo schermo. Gabriele è uno chef non convenzionale, un esperto di cucina che ama interfacciarsi con la gente piuttosto che chiudersi dietro i fornelli, un uomo che ha scelto la sua strada vivendo di continue scoperte.
Oggi ha raggiunto il successo, proprio questa settimana è andato in onda su DMAX l’ultimo Best Of di “Unti e Bisunti 3”, la trasmissione che lo ha consacrato e che rappresenta buona parte del suo essere e della sua ironia.
Ma Chef Rubio com’è nato? E’ lui stesso a raccontarci i suoi primi anni di pratica ed il percorso che ha intrapreso.
Gabriele proviamo a partire dall’inizio. Quando hai cominciato a renderti conto che la cucina ti attirava, che rappresentava per te una vera passione da seguire? Qualcuno o qualcosa ti ha ispirato?
Penso si possa definire quasi genetica. Non credo che il fattore sociale o le influenze esterne abbiano avuto particolare valore, ma penso piuttosto che sia il mio modo di dare, di esprimermi e donarmi agli altri con quello che più mi rappresenta. Ognuno trova spontaneamente il proprio mezzo, il mio è stato la cucina.
Tu hai studiato ad ALMA, La Scuola Internazionale di Cucina, un vero e proprio punto di riferimento per lo studio della cultura gastronomica. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Devo dire che l’aver studiato ad ALMA, anche grazie ad insegnanti molto preparati, mi ha permesso di capire chi ero, cosa volessi veramente e quale strada dovevo prendere, di delineare il tipo di cucina e comunicazione che più era nelle mie corde, ovvero un percorso in solitaria ma sempre affiancandomi a professionisti con i quali confrontarmi e da cui poter apprendere nuove conoscenze.
E come potresti definire la tua “comunicazione” in cucina?
Direi a 360 gradi. Non c’è una vera e propria definizione, non mi piace l’idea di chiudere in una scatola quello che faccio. Il mio modo di comunicare riflette il mio modo di lavorare, un continuo scambio di opinioni, la ricerca, lo studio e la scoperta per riuscire a diversificare senza mai fermarsi.
Cos’è cambiato in te da quando sei diventato un personaggio noto?
In realtà non è cambiato molto, io sono esattamente lo stesso anche se, inutile negarlo, i media hanno accresciuto la mia popolarità. Ma ciò che ero prima è esattamente quello che sono adesso. Il fatto che non debba dare retta ad autori o fare scelte strategiche fa di me una persona più libera, insieme alla consapevolezza che non sono io ad aver cercato tutto questo, ma il contrario. Questo elemento fa la differenza.
Come vivi il tuo lavoro e quali sono le caratteristiche che contraddistinguono il tuo essere professionista?
Con la massima serietà, impegno e dedizione a scapito della mia vita personale. Io ho avuto la fortuna di rendere quella che era la mia passione un lavoro. Per questo sono estremamente preciso e meticoloso in quello che faccio. Ad esempio, se una sera sono fuori a cena per un evento e potrei festeggiare fino a tarda notte, ma il giorno dopo devo lavorare o registrare, io vado a casa. Quando sono sul lavoro devo dare il massimo, per me ed anche per tutte le persone che mi aiutano nella buona riuscita di un prodotto. Spesso il pubblico non si rende conto di quanto sia numeroso il team che opera dietro le telecamere per fare in modo che tutto risulti al meglio, un team che merita il mio totale impegno.
Gli chef stanno acquistano sempre più popolarità, sono diventati i nuovi vip che tutti cercano e che spesso rappresentano dei veri personaggi. La tua figura però è diversa e forse è proprio per questo che risulta estremamente apprezzata dal pubblico. Riesci a creare una sorta di contatto con loro. Che ne pensi?
Non amo mettermi a confronto con i miei colleghi, ognuno ha scelto il proprio modo di essere. Non mi definisco uno chef, io preferisco definirmi una persona e devo dire che non mi piace sentirmi etichettato. Le etichette limitano le possibilità, relegano una persona imbrigliandola in un personaggio da cui non riusciranno a distaccarsi, ed è proprio il modo di comunicare la cucina e gli chef stessi che andrebbe cambiato, sarebbe importante una maggiore umanizzazione. Le persone valgono molto di più del lavoro che fanno.
Il tuo lavoro è un mix tra sperimentazione, curiosità, voglia di scoprire e tanto altro. Ma quanto studio c’è dietro a tutto questo?
E’ uno studio quotidiano. A volte si studia come raccontare un piatto, altre volte come prepararlo e presentarlo oppure come raccontare una storia, anche in situazioni di estrema difficoltà. La cucina è un modo per comunicare e dialogare.
Viaggiare quanto è importante?
E’ assolutamente la prima cosa che si deve fare.
Nel tuo viaggiare, c’è una cultura che ti ha più colpito dal punto di vista gastronomico?
In realtà no, tutte hanno delle caratteristiche uniche che colpiscono, non mi sembra giusto menzionarne solo una e tralasciare le altre. Ed è importante viaggiare proprio perché è l’unico modo per scoprirle ed assorbirle fino in fondo.
In quest’ultimo periodo, complice il SI del Parlamento Europeo, si parla tanto di insetti a tavola, il trend del momento che alcuni tuoi colleghi stanno cavalcando per proporre novità ed incuriosire. Tu come la vedi?
Guarda, dei SI e dei NO a me non è mai importato molto. Quando, a suo tempo, dicevano di non mangiare la “Pajata” io la mangiavo ugualmente perché purtroppo capita spesso che anche in cucina ci siano interessi che vanno oltre la gastronomia. Sicuramente hanno capito che allevare cavallette costa poco e può dare tanto profitto e quindi hanno deciso di muoversi in tal senso, non credo che nasca dall’amore per il gusto o per l’ecosostenibilità. L’insetto va mangiato quando c’è un motivo per farlo, quando è nella propria cultura. Ripeto, la curiosità è importante ma non bisogna cercare delle forzature, preferisco prendere un volo ed andare a mangiare queste cose dove veramente sono parte integrante della tradizione popolare.