Di Ingrid Busonera Roma, 9 marzo 2024 (Quotidianoweb.it) - Il prof. FURLAN è uno dei massimi esperti di POTS, sindrome da tachicardia ortostatica posturale. In questa intervista ci spiega le caratteristiche di questa patologia dandoci suggerimenti su come gestirla, farmacologicamente e quali accorgimenti avere per migliorare la sintomatologia.
La patologia interessa maggiormente le donne e ha un impatto molto forte nella quotidianità dell'individuo che la manifesta. Al centro Humanitas si svolgono anche delle televisite a distanza, nei rari casi in cui il paziente non abbia la capacità di presentarsi fisicamente o qualora vi sia la necessità di una consulenza per pazienti che abitano all'estero.
Siamo onorati di intervistarla e la ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato, come prima cosa le chiedo, cosa è la POTS?
La POTS, è una sindrome, cioè una condizione morbosa caratterizzata da molteplici sintomi che pur non mettendo a repentaglio la vita dei pazienti ne influenzano negativamente la qualità della vita. Nel 50% dei casi viene identificata in un fatto infettivo significativo che precede l’insorgenza dei sintomi, e da cui è partita una guarigione che non si è totalmente completata nel tempo. I fatti infettivi più frequenti sono la mononucleosi, l’epatite virale, o una forte influenza. Lo stesso long covid, essendo un fatto infettivo virale, si manifesta nella popolazione più giovane con i sintomi sovrapponibili a quelli della POTS.
Il termine POTS è un acronimo, che sta per "Postural Orthostatic Tachycardia Syndrome", alcuni la definiscono postural tachycardia syndrome. In passato sono stato uno dei primi, nella metà degli anni 90, negli Stati Uniti, a raccogliere casi e studiare la POTS. Allora la chiamavamo cronic orthostatic intollerance, facendo riferimento al fatto che è un disordine cronico caratterizzato dalla persistenza dei sintomi da più di 6 mesi, e ha 2 caratteristiche tipiche:
- tachicardia quando il soggetto si mette in posizione eretta
- assenza di modificazioni significative della pressione arteriosa nel passaggio da sdraiati alla posizione eretta
Questo per me che mi occupo di controllo nervoso del cuore e del circolo, da più di 40 anni di ricerca, è un dato cruciale. Noi sappiamo che le due variabili frequenza cardiaca e pressione arteriosa sono strettamente correlate e si influenzano in modo opposto l'una con l'altra.
La POTS è sintomo di neuropatia delle piccole fibre (npf)?
No. Anche se c'è un grande interesse per questa nuova entità, ossia la neuropatia delle piccole fibre, le due patologie rimangono differenti. Al momento al meglio delle mie conoscenze non ci sono studi che abbiano dimostrato un rapporto di causalità tra la presenza di npf e la POTS.
La npf si ritrova con discreta frequenza nella POTS, ma credo che attualmente siamo ancora lontani dallo stabilire quale sia la frequenza della presenza di npf nella popolazione generale asintomatica, quindi a stabilirne un ruolo eziopatogenetico in alcune malattie.
Come si fa la diagnosi?
Normalmente, la diagnosi si fa quando i sintomi, come i capogiri, la sensazione di testa leggera, la confusione mentale, il cardiopalmo sono presenti da almeno 4 o 6 mesi. Generalmente se il paziente è ben predisposto, seguendo le indicazioni della terapia riabilitativa, i suggerimenti e con un leggero supporto farmacologico, i sintomi si attenuano notevolmente fino a scomparire nel giro di 3 /4 mesi consentendo la ripresa di una vita quasi normale, se la sindrome dura da poco tempo.
Il tilt test non è indispensabile per fare la diagnosi. E' necessario invece misurare la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa da sdraiati e in posizione eretta e integrare quello che si osserva con i sintomi e la storia clinica. Quando viene eseguito il tilt test, è necessario associarlo ad altre prove per valutare il sistema nervoso autonomo, come il dosaggio delle catecolamine plasmatiche in posizione clino e ortostatica, la manovra di Valsalva, la stima dell'aritmia sinusale.