Nella fase iniziale della vita il primo concetto che l'intelletto acquisisce è quello di ente, "ens" in lingua latina. Si tratta del più universale di tutti i concetti, quello che esprime, per dirla con Elders, l'aspetto reale delle cose.
In altri termini, l'ente è il primo prodotto di sintesi del processo di conoscenza dell'uomo che risulta dalla interazione delle facoltà sensoriali, dell'intelletto agente e dell'intelletto possibile con le cose.
Subito dopo, la persona umana conosce il concetto di bene. È necessario, per questo, la "facoltà appetitiva" (c.d. "appetitus") che consente all'uomo di scoprire come il suo agire tenda verso un fine connaturato con la sua stessa essenza.
È il primo principio della ragione pratica il quale determina anche la prima regola della legge naturale: "bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum".
Non siamo in presenza di una concezione relativistica o soggettivistica: se la cognizione del bene è resa possibile dall' "appetitus", cioè dal desiderio, ciò avviene perché non si può desiderare se non ciò che è buono.
Pertanto, se il bene, secondo la massima aristotelica espressa nell' "Etica Nicomachea", è ciò cui tendono tutte le cose, questo è vero perché le cose, per loro natura, sono inclini a ciò che di per sé è un bene.
Anche se è teso a ciò che in sé e per sé è buono, l'uomo rimane libero di volere o non volere un bene particolare, dal momento che, nella nozione di bene in generale ("sub bono communi"), sono contenuti molti beni particolari rispetto a nessuno dei quali la volontà è determinata. Il male, dunque, non è ciò che è realmente voluto, ma semmai il bene che non si è scelto, perché ad esso se ne è preferito un altro (ad esempio, si decide di ubriacarsi tutti i giorni per provare un senso di ebbrezza, anche se questa scelta può nuocere gravemente alla salute).
(Daniele Trabucco)