In un anno di lavoro della Commissione siamo venuti a conoscenza di tali e tanti problemi da rendere necessaria una riforma complessiva del sistema, già in parte iniziata con la Riforma del processo civile e l’istituzione del Tribunale distrettuale della Famiglia, ma ancora lunga.
Oggi in Italia non esiste un registro aggiornato dei minori allontanati, né è possibile avere traccia dei motivi dell’allontanamento e della durata del collocamento extrafamiliare, manca un registro nazionale delle strutture di collocamento e accoglienza residenziale, il sistema dei controlli sulle strutture rimane ancora in larga parte inattuato e inesistente è la verifica dell’esistenza e dell’attuazione di un progetto per il minore.
Gravissima è la pressoché generale inattuazione del principio per cui l’allontanamento residenziale del minore deve essere considerato come l’extrema ratio e non come l’unico intervento possibile, dovendo coinvolgere anche altri famigliari oltre i genitori.
Inoltre, il collocamento dei minori in strutture va spesso ben oltre i due anni previsti dalla Legge e non sono previsti meccanismi di controllo sulla spesa pubblica che i collocamenti comportano e che attualmente gravano sui comuni, né di verifica sulle ragioni del loro protrarsi.
Considerato l’alto numero dei minori collocati in strutture anziché in famiglie affidatarie (oltre 14.000 su 27.608) e l’elevato costo delle rette, in molti casi non si può escludere a priori un interesse anche economico ad accrescere il numero dei minori accolti e a dilatare la loro permanenza nelle strutture.
Tra le principali criticità emerse dall'attività della Commissione si rileva anche una disfunzionalità dei Tribunali che si occupano di Minori che spesso si limitano a ratificare le relazioni dei servizi sociali, senza approfondirle o verificarle anche in merito all'utilizzo disinvolto di termini tecnici, nonostante questi ultimi non abbiano le competenze né gli strumenti per esprimere valutazioni o svolgere le indagini.
Questo aggrava lo squilibrio fra il diritto di difesa delle famiglie d’origine e la macchina giudiziaria spesso basata sullo strapotere dei servizi sociali.
Una preoccupazione condivisa anche a livello europeo, dal momento che nel gennaio di quest’anno la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia proprio per un allontanamento deciso dall’Autorità Giudiziaria basato sulle sole relazioni dei servizi sociali che ‘i giudici non hanno ritenuto necessario verificare’.
Osservando il meccanismo che si attiva dopo la segnalazione di criticità familiari che riguardano i minori, è che spesso si perda di vista il miglior interesse del minore, ‘best interest of child’, che rimane quello di crescere in una famiglia, prioritariamente in quella di origine.
Per questo la rete socio-assistenziale che si attiva, molto spesso non sembra sostenere adeguatamente e non solo dal punto di vista economico, la famiglia d’origine in difficoltà perché recuperi la piena capacità genitoriale, creando le condizioni per il possibile ritorno del minore nella propria famiglia.
La necessaria riforma del sistema non potrà prescindere dal rimuovere le tante criticità emerse e rimettere il diritto del minore a crescere in famiglia al centro dell’azione delle istituzioni.
Così Laura Cavandoli, deputata della Lega, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori che oggi ha presentato la Relazione finale