La sfida referendaria si fa sempre più aspra. I toni si alzano e sempre più con loro, il tasso di insulti più o meno velati.
di Lamberto Colla Parma 20 novembre 2016
Lo scontro tra i sostenitori del SI e quelli favorevoli al NO è duro, quasi violento, sempre meno tecnico e sempre più politico.
Il confronto tra i rappresentanti dei due schieramenti, promosso dalle molteplici "tribune politiche" televisive, piuttosto che dalle colonne dei giornali, propone agli elettori uno scontro politico invece di una reale discussione a sostegno delle ragioni del cambiamento piuttosto che del mantenimento.
E pensare che, se ben 47 articoli della Carta Costituzionale sono stati intaccati dalla proposta referendaria, molte sarebbero le argomentazioni da esporre alla pubblica conoscenza.
Invece, gli argomenti più dibattuti restano sempre i soliti tre o quattro: il risparmio economico con chi sostiene che i 50 milioni sono una bazzecola rispetto al "costo" che si pagherà in termini di libertà in conseguenza dello stravolgimento dell'impianto costituzionale; l'alienazione del CNEL (probabilmente un Ente sconosciuta sino a oggi dalla gran parte della popolazione) e al recupero dei suoi costi (tra 9 e 12 milioni anno. In 70 anni è costato 1 miliardo di euro), la riduzione dei parlamentari e il depotenziamento del Senato.
In questo scenario di "informazione deficitaria in contenuti" e di scontro politico di bassissimo profilo (da "Mandiamo a Casa "Renzi" a "Se vince il NO rimane tutto come prima e le riforme resteranno ferme ancora per altri 70 anni" oppure "Meglio così piuttosto che lasciare tutto come era", come per dire "E' buono solo perché si fa qualcosa" ci si mettono di mezzo i giornali Finanziari di mezzo mendo a creare confusione e generare le solite paure agli elettori nostrani.
L'ultimo spauracchio arriva dall'autorevole giornale economico britannico "The Economist" che ci spiega perché bisognerebbe votare NO.
In breve sintesi, secondo l'editorialista inglese, "la modifica costituzionale proposta dal Signor Renzi non riesce ad affrontare il problema principale, che è la mancanza di volontà di affrontare le riforme dell'Italia. E i benefici secondari sono controbilanciati dagli svantaggi" Il rischio - prosegue l'articolo - è che, "nel tentativo di fermare l'instabilità che ha dato all'Italia 65 governi dal 1945 venga eletto un uomo forte. Questo nel Paese ha già prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi ed è preoccupante la vulnerabilità al populismo".
Sarei curioso di capire come può essere venuto in mente, a una persona intellettualmente onesta, di affiancare Berlusconi a Mussolini.
E comunque, in terra nostrana, non ho sentito alcuno gridare allo scandalo come quando Berlusconi etichettò Martin Shultz con l'appellativo di "kapò".
Un bel "Ma VAFFA" ci starebbe bene.