Martedì, 02 Dicembre 2014 09:44

Ferrari: Arrivabene, Vettel e quei corsi e ricorsi storici

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Michael Schumacher 1997 Michael Schumacher 1997 Di Cord Rodefeld from Ulm, Germany (Hockenheim 1997) [CC-BY-SA-2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0) o CC-BY-SA-2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], attraverso Wikimedia Commons

Dopo un anno tormentato la squadra di Maranello cambia tutto: via Alonso dentro Vettel, nuovo Team Principal e qualche speranza in più -

Di Matteo Landi - Parma, 2 dicembre 2014 -

Nel 2014 la Ferrari ha conquistato 216 punti. Con un risultato del genere negli anni '90 ci vincevi un mondiale. Peccato che il regolamento vigente fra il 1991 ed il 2002 riconoscesse punti solo ai primi sei classificati di ogni gara. Con quel sistema la squadra di Maranello, quest'anno, di punti ne avrebbe presi solamente 36: una miseria. Per trovare un bottino ancora peggiore bisogna tornare indietro al 1993, anno in cui la Ferrari non vinse, al pari dell'ultimo campionato, neanche un Gran Premio. Allora come adesso la Scuderia viveva un periodo contraddistinto da interne lotte di potere, un'organizzazione che più "disorganizzata" non poteva essere, a fronte di piloti estremamente validi come Alesi e Berger. L'arrivo di Jean Todt mise a posto le cose e, con pazienza, arrivarono anche i risultati grazie ad un tedesco pluricampione del mondo chiamato Michael Schumacher.

In questi giorni la Ferrari sta ripercorrendo un cammino, per certi versi, simile. Dopo aver preso il posto, lo scorso aprile, di Stefano Domenicali, Marco Mattiacci ha lasciato a sua volta le redini della Scuderia a Maurizio Arrivabene. Risulta finalmente evidente il ruolo di "traghettatore" che ha ricoperto Mattiacci negli ultimi sette mesi, così come la scarsa competitività della Ferrari di quest'ultimo anno aveva solo anticipato un passaggio di consegne che, a stagione finita, avrebbe comunque visto Domenicali lasciare la squadra direttamente nelle mani del nuovo Team Principal. Se non altro, visto il nome, non può che portare tanta fiducia ad una squadra che pare averla smarrita. Facile ironia a parte, Arrivabene, a differenza del suo predecessore, è uno che mastica Formula 1 da tempo: già uomo chiave della Philip Morris, ha seguito internamente l'ambiente del grande Circus fin dai tempi in cui il marchio Marlboro trovava spazio sulle appendici aerodinamiche di McLaren e Ferrari, dal 2010 è inoltre membro della F1 Commission in rappresentanza delle aziende sponsor della Formula 1. Il suo ruolo servirà a riportare la Ferrari ad avere quel peso politico che, soprattutto con l'arrivo della Mercedes con un suo team ufficiale, sembra aver perso.

Se è vero che le gare si vincono con delle auto veloci, è anche vero che a farle vincenti devono pensarci gli ingegneri. Chi comanda deve dedicarsi al business ed al management ed in questo Arrivabene può essere avvicinabile, come carisma e conoscenze, a quel Flavio Briatore che portò Michael Schumacher alla Benetton, e con lui due titoli mondiali. Sicuramente non è stato l'arrivo al vertice di Arrivabene a portare con sé Sebastian Vettel. Il tedesco, che aveva già preso contatti con Domenicali e chiuso l'accordo sotto la gestione Mattiacci, si troverà adesso a dover rispondere ad Arrivabene. Non sarà certo questo a creare confusione nella sua testa, a differenza di Fernando Alonso che vittima di una giustificata ansia di vincere il suo terzo titolo, ha dal 2007 cambiato spesso casacca passando da McLaren a Ferrari, con nel mezzo una seconda parentesi Renault, per tornare dal 2015 alla McLaren, stavolta motorizzata Honda. Vettel, che di titoli ne ha già vinti quattro, di questi leciti tormenti non ne ha e la sua nazionalità fa tornare indietro la mente alla fine di quel 1995 in cui un altro asso tedesco prese per mano la Ferrari portandola, dopo cinque anni di lavoro, alla vittoria del primo dei cinque titoli mondiali consecutivi. Il Vettel di oggi molto probabilmente non vale lo Schumacher del tempo, ma chissà che questa serie di novità, riportando alla mente un passato difficile che divenne poi glorioso, non sia l'inizio di una nuova riscossa.