Di Coopservice Reggio Emilia, 8 luglio 2022 Sono sempre più le voci che segnalano come nelle nostre società sia in vista, o stia già avvenendo, un radicale cambiamento nella natura delle leadership. I vorticosi mutamenti sociali, il riallinearsi delle priorità delle agende politiche, le minacce e le sfide epocali che paiono pararsi di fronte all’umanità (alla pandemia e al cambiamento climatico si è ora aggiunto il pericolo concreto di un terzo, devastante, conflitto mondiale) generano disorientamento con la conseguente necessità di nuove coordinate di guida.
La crisi delle leadership ‘classiche’
Un diverso modello di governance è ciò che viene indicato come essenziale per rispondere alle sfide tremende della contemporaneità. In ogni settore delle società, politica ed impresa in primis, si registra la crescente difficoltà degli stili di leadership che si rifanno agli stereotipi classici. Il ‘leader forte’, il comando gerarchico, la visione iper-pragmatica di breve termine, la responsabilità limitata ai più immediati referenti (siano essi i dirigenti di un partito politico o gli azionisti di un’azienda) sono tratti considerati sempre più asincroni rispetto ai cambiamenti che investono ogni ambito delle attività umane.
Il fenomeno (indicativo) del Big Quit
I risultati di tale inadeguatezza si manifestano a cascata, fino ad arrivare alle viscere delle società. Dalla cosiddetta ‘crisi o stanchezza delle democrazie’ fino al più recente fenomeno delle Grandi Dimissioni (Great Resignation o Big Quit) che, partito nel 2021 dagli Stati Uniti, si è allargato al mondo occidentale e alle economie più avanzate. Certo quest’ultimo lo si considera prevalentemente un portato dell’era pandemica, con i lockdown e gli sconvolgimenti socio-relazionali e occupazionali che hanno indotto tantissime persone a riflettere sulla condizione e le prospettive della propria esistenza. Un dato dunque in attesa di conferma con l’auspicato ritorno ad una progressiva normalità.
Gratificazione, flessibilità, equilibri di vita: le preferenze dei lavoratori del nuovo secolo
Rimane il fatto, come ha notato Larry Fink, che “nessun rapporto ha subito più modifiche a causa della pandemia di quello tra datori di lavoro e dipendenti”. Un’affermazione suffragata dai numeri: nel 2021, negli Stati Uniti, ben più di 4 milioni di persone hanno lasciato volontariamente il lavoro. Mentre in Italia già nei primi dieci mesi dello scorso anno quasi 800mila lavoratori hanno abbandonato la loro posizione a tempo indeterminato, 40mila in più rispetto al 2019. Dalle analisi sull’evoluzione del mercato del lavoro emerge in ogni caso una chiara tendenza: nell’approcciarsi ad una nuova occupazione le persone danno sempre più importanza alla flessibilità e a mansioni che producano gratificazioni personali. Così come alla ricerca di un maggiore equilibrio vita privata-lavoro, con una marcata preferenza verso contesti caratterizzati da una cultura aziendale inclusiva.
Alla ricerca della qualità delle relazioni
Ecco allora che le dinamiche gestionali assumono una rilevanza decisiva nel potenziamento della corporate identity e dell’employer branding, permettendo all’azienda di proiettare all’interno e all’esterno un’immagine positiva. Favorendo il benessere dei dipendenti e, al contempo, la propria attrattività nei confronti dei migliori talenti. Da qui il valore strategico di una cultura d’impresa consapevole del vantaggio competitivo assicurato dalla qualità delle relazioni, caratteristica che consente alle organizzazioni di generare attorno a sé e dentro di sé attenzione, fiducia e, in ultima analisi, incrementi di produttività e redditività.
Il benessere organizzativo fa bene alle imprese
Nell’ambito della ricerca della qualità delle relazioni assumono di conseguenza un valore sempre più importante aspetti quali l’aumento della motivazione, lo sviluppo e la condivisione di emozioni positive, così da favorire un clima di soddisfazione che si riverbera positivamente sull’atteggiamento delle persone e conseguentemente sulle performance organizzative. Tutto ciò chiama ovviamente in causa in primo luogo lo stile delle leadership aziendali. Quali sono le abilità che un leader è chiamato a possedere oggi? Per dirla con Klaus Schwab, presidente del Forum di Davos, occorre innanzitutto spostare l’attenzione dagli interessi di breve termine ad un pensiero strategico di lungo termine, sostituendo “la visione a tunnel e l’approccio top-down che prevalevano in passato”. Un modello di governance 4.0 che comprende il creative thinking, la reazione rapida ai cambiamenti, l’instaurazione di partnership strategiche con tutti gli stakeholder.
Positività ed empatia, così nasce un leader gentile
A queste si aggiungono la capacità di gestire la complessità ma anche l’ottimismo e l’orientamento all’intelligenza emotiva. Soprattutto, sottolinea Paolo Boccardelli direttore della Luiss Business School, una delle caratteristiche dei leader, emersa con forza negli ultimi tempi è quella della gentilezza: “Il leader gentile è colui che pratica l’ascolto, è empatico, non nasconde le emozioni e lavora su di esse per favorire una maggiore coesione e responsabilizzazione del proprio team. Le organizzazioni guidate da leader gentili sono più attrattive per i talenti: la gentilezza genera motivazione e senso di partecipazione alle decisioni”.
Le nuove forme di governance improntate alla gentilezza e all’inclusività
Il leader gentile privilegia l’empatia, la collaborazione, la flessibilità. Motiva e responsabilizza i propri collaboratori, mettendoli in condizione di dare il meglio.
Per tale via si pone come un vero e proprio coach, un costante punto di riferimento per tutte le persone che popolano il luogo di lavoro. Un approccio empatico e ‘gentile’ può in questo senso rappresentare una efficace risposta alla crisi dei ‘modelli classici’ di leadership nelle società contemporanee. Secondo Klaus Schwab “di fronte a rischi crescenti e alla nostra incapacità di affrontarli, abbiamo iniziato a cercare i colpevoli. Alcuni puntano il dito contro leader politici inetti, altri incolpano i dirigenti aziendali e una minoranza disperata e in crescita vede una cospirazione delle élite”. Più semplicemente alla base della nostra incapacità di prevedere e gestire i rischi e la complessità del presente c’è sicuramente un problema di governance. Le leadership ispirate agli stereotipi classici non sono più adatte allo scopo. La riscoperta dell’empatia e della gentilezza può decisamente essere di aiuto