Di Coopservice 8 Ottobre 2020 - Per l’acqua già oggi si combattono guerre.
Come ci hanno insegnato fin da bambini e ci viene ricordato tuttora persino da spot pubblicitari, “l’acqua è vita”, e se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla crescente importanza che è destinato ad assumere questo elemento naturale negli scenari di sviluppo del nostro pianeta dovrebbe prendere in considerazione un dato che purtroppo caratterizza la contemporaneità: il numero di conflitti in corso in cui il principale oggetto del contendere è la risorsa idrica.
Preconizzate da molte voci negli ultimi decenni (“Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto l’acqua” asserì nel 1995 il vicepresidente della Banca Mondiale Ismail Serageldin), le guerre per l’Oro Blu sono già da tempo una tremenda realtà: il rapporto The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind di Unesco ha censito l’esistenza di ben oltre 300 in conflitti in corso.
Certo non una caratteristica esclusiva della contemporaneità, se è vero che la prima guerra per l’acqua che viene convenzionalmente riconosciuta è quella che si combatté nel 2500 avanti Cristo in Mesopotamia, quando il re di Lagash costruì canali per deviare il fiume togliendo il liquido a Umma, nei pressi dell’attuale Baghdad. Ma oggi proprio i problemi di approvvigionamento idrico, aggravati dai cambiamenti climatici in corso, sono la causa troppo spesso trascurata oltre che di conflitti anche delle ondate migratorie dai Paesi più poveri.Nel frattempo, per il futuro nubi minacciose si addensano intorno a questioni che minacciano di innescare ulteriori Water Wars, quali i discordanti progetti degli Stati a monte e a valle di corsi d’acqua dolce di importanza vitale per le popolazioni che vi abitano: valgano per tutti gli esempi del Nilo (Etiopia, Sudan, Egitto), del Giordano (Israele, Palestina, Giordania) e del fiume Ravi al confine tra India e Pakistan.
Carenza di acqua potabile e insufficienti livelli di igiene: un persistente problema globale
Sta di fatto che l’accesso alla disponibilità di risorse idriche potabili e sicure è condizione imprescindibile per qualsiasi progetto di sviluppo e, soprattutto, elemento irrinunciabile per garantire sussistenza e dignità di vita a ogni essere umano. Le Nazioni Unite riconoscono che l’Obiettivo 6 dell’Agenda 2030 è tra i più critici e strategici nella programmazione delle politiche per assicurare un futuro al nostro pianeta: ogni anno milioni di persone, di cui la gran parte bambini (1.000 al giorno secondo le stime), muoiono per malattie dovute alla carenza di approvvigionamento d’acqua, nonché a causa di servizi sanitari e livelli d’igiene inadeguati.
La carenza e la scarsa qualità dell’acqua, assieme a sistemi sanitari inadeguati, hanno infatti un impatto negativo sulla sicurezza alimentare, sulle scelte dei mezzi di sostentamento e sulle opportunità di istruzione per le famiglie povere di tutto il mondo.
La simbolicità dell’elemento acqua tra gli Obiettivi dell’Agenda 2030
L’interrelazione reciproca che lega tra di loro tutti i 17 obiettivi dell’Agenda trova dunque nel Goal 6 una delle più evidenti dimostrazioni: oltre che espressione di un diritto vitale per gli individui, garantire la disponibilità di acqua è uno dei presupposti fondamentali per sconfiggere la fame e la malnutrizione nei Paesi più poveri (Obiettivo 2), assicurare a tutti salute e benessere (Obiettivo 3), creare le condizioni per l’accesso all’istruzione (Obiettivo 4), così come risulta indispensabile per rendere disponibili forme di energia sostenibile (Obiettivo 7), essendo quella idrica la più importante tra le fonti rinnovabili, responsabile del 16% della produzione elettrica globale.
Sostentamento, salute, educazione, sviluppo sostenibile, salvaguardia ambientale: l’elemento acqua riassume in sé buona parte dell’impianto programmatico dell’Agenda 2030.
Acqua potabile e servizi igienico-sanitari nel mondo, un quadro in chiaroscuro: i progressi
Come constatabile per altri Goal dell’Agenda 2030, va premesso che sono da registrare importanti progressi negli ultimi decenni.
Tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dell’Onu, precursori dell’Agenda 2030 avendo come orizzonte di attuazione il periodo 2000-2015, il miglioramento dell’accesso all’acqua potabile è stato uno dei pochi raggiunti con successo.
Secondo lo United Nations Development Programme (UNDP), dal 1990 a oggi 2,6 miliardi persone in più hanno avuto accesso a migliori risorse di acqua potabile, portando complessivamente a 6,6 miliardi gli abitanti del pianeta che dispongono di un accesso relativamente stabile all’acqua, pari al 91% della popolazione mondiale. Ancora nel 2000 questa percentuale era dell’82%.
Ma la disponibilità di acqua potabile è legata inscindibilmente alla presenza dei servizi e infrastrutture che consentano di separare le acque di scarico prodotte dalla presenza e dalle attività umane così da non contaminare le fonti acquifere. Non è un caso che l’Obiettivo “acqua potabile per tutti” sia associato alla presenza dei servizi igienico-sanitari di base: acqua e sapone per lavarsi e wc o latrine collegate a fognature che consentano di raccogliere e smaltire separatamente le acque reflue.
A questo proposito va sottolineato quale ulteriore dato di miglioramento che la percentuale di popolazione mondiale che utilizza servizi igienici “migliorati” (così vengono definiti i sistemi in cui le escrezioni umane vengono gestite con tecniche che ne evitano il possibile contatto con gli utenti) è salita dal 59% al 68%, portando così a 4,9 miliardi il numero di persone che ha oggi accesso a una rete più sicura di servizi igienico-sanitari.
Acqua potabile e servizi igienico-sanitari nel mondo, un quadro in chiaroscuro: le criticità
Le positività però si fermano qui. Considerando che il nostro pianeta sarebbe teoricamente in grado di fornire risorse idriche accessibili e pulite a tutta la popolazione mondiale, va acquisito quale cruda verità il dato, del tutto inaccettabile, per cui tuttora oltre 700 milioni di persone nel mondo (di cui la metà in Africa) non hanno ancora alcun accesso all’acqua potabile, con tutte le problematiche connesse a livello di sussistenza e igiene, ancora di più aggravate dai tempi attuali di pandemia.
Ma c’è di più: si stimano in 1,8 miliardi gli individui che, pur avendo disponibilità di acqua, utilizzano in realtà fonti idriche contaminate da escrementi o altri agenti contaminanti. I cambiamenti climatici in corso con l’incremento delle aree del pianeta colpite da fenomeni di siccità rischiano di peggiorare fortemente la situazione: le stime Onu ipotizzano che, se non si prendono immediati provvedimenti, entro il 2050 1 persona su 4 soffrirà per carenza di acqua potabile.
Percentuale di popolazione che ha accesso a servizi igienico-sanitari di base adeguati, fonte DeA Wing 2020
Non va meglio sul fronte dei servizi igienico-sanitari di base. Nel nuovo millennio ancora circa 3 miliardi di persone non hanno possibilità di lavarsi a casa propria e oltre 2,4 miliardi di persone vivono in condizioni di igiene assolutamente insufficiente, utilizzando servizi inadeguati. Tra questi, 1 miliardo di abitanti del pianeta pratica tuttora la defecazione all’aria aperta, considerata la forma più pericolosa per la propagazione di malattie infettive. A livello globale, poi, solo il 20% delle acque reflue viene trattato prima di essere riversato nei corsi d’acqua o nel mare, creando così una pericolosissima spirale di inquinamento e trasmissione di malattie infettive.
L’emergenza Covid-19 rende ancora più drammatica l’evidenza dei numeri: mentre in Italia fervevano i preparativi per la riapertura in sicurezza delle scuole durante la pandemia, l’ultimo Rapporto del Programma di monitoraggio congiunto dell’Oms e dell’Unicef, “Progress on drinking water, sanitation and hygiene in schools. Special focus on Covid-19”, rivelava che nel 2019 il 43% delle scuole in tutto il mondo non disponeva nemmeno di servizi di base per il lavaggio delle mani con acqua e sapone.
La piaga della siccità e il preoccupante fenomeno del ‘water stress’
Altri elementi di forte criticità sono la crescente desertificazione indotta dalla siccità e il cosiddetto “water stress”, cioè il fenomeno per cui la domanda di acqua è superiore rispetto alla sua naturale disponibilità: ad oggi la scarsità d’acqua colpisce più del 40% della popolazione globale e oltre 1,7 miliardi di persone vivono in bacini fluviali dove l’utilizzo d’acqua eccede la sua rigenerazione.
I consumi sono dunque eccessivi: l’utilizzo globale di acqua negli ultimi decenni è aumentato più del doppio rispetto al tasso di crescita demografica e questo fenomeno è destinato a crescere ancora, spinto anche dall’incremento dell’urbanizzazione e dai cambiamenti climatici. Si tratta di una tendenza decisamente preoccupante, considerando anche che viene stimato che negli ultimi 100 anni sia andato perso tra il 50 e il 70% delle zone umide naturali del mondo, e che oggi circa 2 miliardi di persone vivono in situazioni di grave carenza idrica.
Per contrastare la crescente desertificazione e limitare la riduzione e la scarsità di acqua è quindi oltremodo urgente la messa in atto di politiche coordinate e investimenti a livello internazionale, così come non è in alcun modo rinviabile l’introduzione di pratiche con lo scopo di migliorare l’efficienza e la qualità delle risorse idriche, nonché il ripristino degli ecosistemi legati all’acqua dolce.
Efficienza e qualità delle reti idriche in Italia: ampi margini di miglioramento
Aspetti, quelli della lotta agli sprechi e delle politiche per incrementare la qualità della risorsa idrica, che ci portano dritti al cuore della situazione italiana. Negli ultimi anni, i cambiamenti climatici uniti a una persistente incapacità gestionale in diverse aree hanno fatto emergere la carenza di acqua quale emergenza nazionale, tanto che nell’estate del 2017 sono state ben 10 le Regioni che hanno dichiarato lo stato di calamità. La disponibilità̀ teorica non coincide infatti con quella effettiva, a causa della natura irregolare dei deflussi e delle carenze del sistema infrastrutturale esistente. A ciò va aggiunto il progressivo deterioramento delle riserve idriche naturali: i ghiacciai in cinquanta anni si sono ridotti del 30%, mentre nel 2017 si è registrata una riduzione complessiva del 39,6% delle portate medie dei principali fiumi italiani (Po, Adige, Arno e Tevere), rispetto al trentennio precedente.
Nel Paese, che pure ha votato nel 2011 per un referendum che ha sancito il principio dell’acqua pubblica come bene comune, è in ritardo l’attuazione di politiche che pongano rimedio alle storture del sistema: le rilevazioni di Istat aggiornate al 2015 indicano che viene disperso il 47,9% dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione, un dato che ci assegna un poco invidiabile primato all’interno dell’Unione Europea.
Le ragioni di queste ondate di perdite sono ben individuate: oltre alle perdite fisiologiche dovute alla estensione della rete idrica e al numero di allacci, le dispersioni sono dovute alla rottura nelle condotte, all’obsolescenza delle reti, ai consumi non autorizzati e ai prelievi abusivi. Come accade in altri settori, la situazione sembra peggiorare man mano che si scende la penisola: il 65% delle segnalazioni di irregolarità e problemi nell’erogazione di acqua proviene dalle aree meridionali.
Non va molto meglio con le rilevazioni sulla qualità delle acque: se è vero che il 95% delle famiglie italiane è allacciato alla rete idrica comunale (il restante 5% si affida a fonti di approvvigionamento alternative come pozzi, sorgenti o altre fonti private), appare decisamente migliorabile il dato delle acque depurate, ovvero la percentuale di carichi inquinanti confluiti in impianti di depurazione, attualmente stimata al 59,6% sul totale dei carichi complessivi urbani.
Negli ultimi anni, grazie alle le campagne di sensibilizzazione e alla diffusione dei distributori di ‘acqua del sindaco’, è però aumentata la percentuale di persone che si fida di bere l’acqua del rubinetto, segnando un incremento nel periodo 2010-2017 dal 29 al 33%.
L’impegno di Coopservice per la riduzione dei consumi idrici e la sostenibilità ambientale
Prestiamo estrema attenzione all’utilizzo del capitale naturale e operiamo per ridurre i consumi energetici e lo spreco di risorse per tutti i servizi che eroghiamo. In modo particolare, i nostri servizi di pulizia e sanificazione vengono svolti con tecniche e strumenti tali da ridurre il consumo di acqua e l’utilizzo di prodotti chimici inquinanti, senza abbassare il grado di igiene e sanificazione richiesto dalle disposizioni e normative anti-covid.
Nel 2015 abbiamo ottenuto, tra le prime 10 aziende in Europa, la certificazione EPD (Environmental Product Declaration) per la categoria “Servizi professionali di pulizia per edifici”. Questa certificazione utilizza la metodologia di analisi LCA (Life Cycle Assessment) – regolata dalle norme ISO 14040 – per valutare gli impatti ambientali associati a un prodotto o processo, mediante l’identificazione e la quantificazione dei consumi di materie prime ed energia, delle emissioni nell’ambiente, nonché la valutazione delle opportunità per ridurre tali impatti.
A maggio 2020 abbiamo ottenuto la certificazione Ecolabel per i nostri servizi di pulizia di ambienti interni a marchio Green Leaf by Coopservice. Un marchio che identifica e valorizza i nostri servizi “green” a ridotto impatto ambientale, con i quali garantiamo l’uso di prodotti ecologici certificati, di attrezzature e mezzi a basse emissioni, di materiali riciclati/riciclabili, sistemi di raccolta differenziata dei rifiuti, nonché il ricorso a metodologie di lavoro che riducono l’uso di agenti chimici e limitano gli sprechi (incluso l’acqua) e a soluzioni energetiche da fonti rinnovabili.
Questo ulteriore riconoscimento conferma l’orientamento strategico che vede la sostenibilità ambientale al centro delle nostre strategie di sviluppo.