I semi di cannabis sono ormai entrati a far parte delle abitudini alimentari di molti di noi. Essi, tra l’altro, vantano una ricchezza di nutrienti da non sottovalutare, paragonabile a quello degli acheni.
Prosegue senza sosta, anche in piena estate, l’attività dei carabinieri della Compagnia di Borgo Val di Taro per prevenire la commissione di reati e contrastare ogni forma di illegalità, ancora e di più in questo periodo caratterizzato dalla presenza di migliaia turisti nell’alta Valtaro.
Da erba per lo sballo a super cibo, la Cannabis per le sue proprietà benefiche e per la sostenibilità ambientale
Il cibo è una parte importantissima della cultura italiana, oltre ad essere un comparto industriale molto florido e leader mondiale con tante eccellenze che tutti cercano di imitare. Da qualche anno a questa parte, osservando i banchi dei supermercati e le trasmissioni tv, la gente ha voglia di sperimentare nuovi ingredienti e nuove sensazioni anche in cucina.
Ed ecco la nuova tendenza a dare importanza alla Cannabis non più soltanto spinti da quel concetto fisso di droga da evitare, ma quale ingrediente naturale ricco di proprietà benefiche di per sé e nei suoi derivati. Infatti nella produzione alimentare è permesso utilizzare i semi e i loro derivati (come l’olio e la farina), in quanto non contengono THC.
Il THC (tetraidrocannabinolo) è uno principali cannabinoidi contenuti nelle piante di canapa e si tratta di una sostanza psicoattiva, per questo motivo proibita negli alimenti se non come residuo di contaminazione durante le lavorazioni. La questione è differente per il CBD (cannabidiolo), altro cannabinoide presente in natura insieme al THC, di cui si fa sempre più ricorso sia in ambito terapeutico che in ambito gastronomico con il suo basso tenore.
Dal punto di vista nutrizionale i semi di Cannabis sono ricchi di acidi grassi polinsaturi essenziali, omega-6 e omega-3, in rapporto ottimale per la nutrizione umana all’interno del loro olio (che ricorda l’aroma di nocciola). È buono anche il contenuto di vitamine, come la E e quelle del gruppo B. Specialmente l’olio di CBD è diventato molto popolare, malgrado il suo prezzo più alto rispetto al normale olio di semi di canapa, perché consumarlo insieme ad altri alimenti consente di ottenere un potenziamento dei suoi effetti benefici.
L’olio di semi di canapa può essere usato a crudo, per non alterare le sue qualità organolettiche e nemmeno quelle nutrizionali, come condimento di qualunque portata e può essere reperito già oggi in svariati supermercati. Per chi volesse, invece, avvalersi anche delle proprietà nutraceutiche dell’olio di CBD lo potrà integrare l’olio usato su cibi e bevande, oppure assumerlo per via orale; sarà sufficiente porne alcune gocce sotto la lingua, per poi ingerirle per ottenere un effetto rapido ed efficace per esempio contro il dolore cronico.
Sarà interessante vedere come si comporteranno le quotazioni di mercato di questo nuovo super cibo alla luce di tutte le congiunture economiche negative, come accade anche per le quotazioni dei prodotti caseari.
La coltivazione delle tante varietà di Cannabis sarebbe anche un toccasana per l’ambiente, poiché sono piante in grado di crescere senza l’uso di pesticidi, riescono a catturare l’anidride carbonica dell’ambiente per trasferirla nel terreno, le fibre permettono la fabbricazione di nuovi materiali per l’edilizia assolutamente resistenti e fibre per l’industria tessile green. Di recente si è scoperto che possono addirittura bonificare i terreni contaminati da sostanze tossiche, come quelli presenti nella famosa Terra dei Fuochi.
Cassazione: vendere le infiorescenze di cannabis sativa è illegale. Scatta il sequestro perché è spaccio fornire ai commercianti. La misura preventiva colpisce le sostanze e i locali utilizzati per la distribuzione: da verificare l’efficacia drogante dei prodotti. L’indagato non prova la destinazione a fini agroindustriali
A distanza di poco due settimane possiamo dire che, mentre la politica si contorce in un dibattito asfittico e moraleggiante, la giurisprudenza di legittimità torna sulla controversa materia della cannabis.
Non vale la legge sulla coltivazione per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa, in particolare infiorescenze e quindi vendere derivati della cannabis sativa è illegale. Lo spiega la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza del 147/20, pubblicata il 7 gennaio dalla quarta sezione penale della Cassazione, che s’innesta nel solco della 30475/19, pronunciata dalle Sezione unite penali. Pertanto, Il sequestro preventivo scatta non solo per chi vende in negozio le infiorescenze di cannabis sativa L ma anche per chi le fornisce ai commercianti, sia al dettaglio sia all’ingrosso.
E ciò perché in base alla legge 242/16 è lecita unicamente l’attività di coltivazione delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/Ce. Si configurano, dunque, i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora del reato di spaccio di stupefacenti: da una parte la distribuzione delle infiorescenze (marijuana) non è esclusa dall’applicazione del testo unico degli stupefacenti e dall’altra l’indagato non ha fornito la prova che il commercio dei prodotti persegua finalità agroindustriali, le uniche consentite dalla legge 242/16.
Legittimo il sequestro preventivo che oltre le sostanze ha colpito anche i locali commerciali destinati alla distribuzione dei prodotti: è nelle ulteriori fasi del giudizio di merito che bisognerà accertare se i prodotti oggetto della misura cautelare hanno efficacia drogante e quindi possono o no produrre effetti psicogeni in chi li assume. Così come dovrà essere verificata la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, che esula dal vaglio di legittimità sul provvedimento ablatorio. Inutile per la difesa sostenere che la cannabis light proveniente da sementi certificate può essere coltivata senza autorizzazione e dunque sarebbe stata “liberalizzata”. In realtà la coltivazione risulta lecita se volta alle finalità agroindustriali indicate in modo specifico e tassativo dalla legge 242/16. E costituiscono quindi reato la cessione, la vendita e in generale la commercializzazione al pubblico delle infiorescenze, a meno che non siano prive di efficacia drogante; i valori di tolleranza thc indicati dalla normativa - fra 0,2 e 0,6 per cento - si riferiscono invece al principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio.
All’indagato non resta che pagare le spese processuali. La sentenza tuttavia parla chiaro. Dopo aver ripetuto, conformemente al dato normativo, che per integrare il reato di coltivazione è sufficiente la conformità al tipo botanico della pianta e l’attitudine di questa a maturare e produrre sostanza stupefacente, le Sezioni Unite hanno precisato che «devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore». Possiamo dire di trovarci di fronte alla reintroduzione della provvidenziale nozione di coltivazione «domestica» ritenuta, a differenza della coltivazione «imprenditoriale», non penalmente rilevante. Nello specifico, l'effettuata ricostruzione del quadro normativo di riferimento, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, conduce ad affermare che la commercializzazione dei derivati della coltivazione della cannabis sativa L che pure si caratterizza per il basso contenuto di Thc, vale ad integrare il tipo legale individuato dalle norme incriminatrici.
(7 gennaio 2020)