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Di Mario Vacca Parma 3 novembre 2019 - Dai tempi del regio decreto nel nostro ordinamento era conosciuto soltanto il concetto di mentre con l’introduzione del Codice della Crisi il legislatore ha composto giuridicamente l’insolvenza e la crisi fissandone i concetti (art. 2, comma 1, lettere a e b):


Stato di crisi: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate
Stato d’insolvenza: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni

Di conseguenza all’ordinaria gestione dell’impresa, intesa come la situazione di continuità aziendale sostenuta da normali ed oggettivi equilibri aziendali vanno aggiunti i concetti appena esposti.
Il codice della crisi apporta novità che stravolgono il modo di fare impresa, ho avuto modo di scrivere in precedenti articoli che per la prima volta il “diritto fallimentare mette le mani nel codice civile” infatti l’art. 2086 c.c. diventa il fulcro della corretta gestione dell’impresa insieme ad altre due norme contenute nel Codice della crisi, che diventa dunque anch’esso parte integrante dello statuto ordinario dell’impresa. I nuovi istituti come l’allerta e gli assetti organizzativi a presidio e vigilanza dei corretti sistemi di governance sono una valida dimostrazione.


Il legislatore - attraverso tali disposizioni - ha obbligato tutti gli attori economici ad un diverso modo di fare impresa predisponendo un sistema ed una cultura che realizzi l’obiettivo prioritario nel permettere l’emersione anticipata della crisi, per avviare il prima possibile soluzioni di risanamento quando l’impresa è ancora in grado di riprendere la continuità e quindi prima che diventi fatalmente insolvente. Ad ogni modo la crisi viene collocata all’interno del più ampio sistema di gestione e controllo dei rischi, che dovrà costituire da oggi il perno della gestione e delle strategie dell’impresa, e pertanto ciò che è al centro di tutto il sistema è la continuità aziendale e il suo costante monitoraggio.


Il nuovo comma 2 dell’art. 2086 c.c. recita che l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Gli art. 3 (doveri del debitore), 13 (indicatori della crisi) e 24 (tempestiva emersione della crisi) saranno gli angeli custodi della gestione aziendale.

Un professionista che ritengo tra i massimi esperti del nuovo codice descrive che un corretto assetto organizzativo, attuato in una normale gestione dell’impresa, prevede tre presupposti:
1) l’esistenza di un’organizzazione adeguata alla dimensione dell’impresa atta a rilevare tempestivamente i segnali:
a) della perdita della continuità aziendale e
b) della crisi dell’impresa;
2) quindi un sistema di monitoraggio della tutela della continuità aziendale;
3) e in caso di esistenza di fondati rischi di perdita della continuità aziendale o peggio di incipiente crisi, la capacità di reagire e attuare lo strumento più idoneo, previsto dall’ordinamento, per il recupero degli equilibri aziendali.

La chiave di volta del nuovo modo di fare impresa è rintracciabile nell’unione tra Prevenzione, monitoraggio ed intervento.


Dal 16 marzo 2019 tutte le imprese devono implementare un adeguato piano di prevenzione dei rischi da continuità aziendale ed introdurre un protocollo di procedure per monitorare periodicamente tali rischi affinché sia mantenuta correttamente la continuità aziendale e siano monitorati indicatori ed indici, campanelli d’allarme contro l’avanzare dell’insolvenza.


Gentile lettore, caro imprenditore, e tu come pensi di adeguarti alle nuove disposizioni?

 

La Bussola d'Impresa - Mario Vacca

Mi presento, sono nato a Capri nel 1973, la mia carriera è iniziata nell’impresa di famiglia, dove ho acquisito esperienza e ho potuto specializzarmi nel controllo di gestione e finanza d’impresa.
Queste capacità mi hanno portato a collaborare con diversi studi di consulenza tra Capri, Napoli e la penisola Sorrentina con il ruolo di Temporary Manager, per pianificare crescite aziendali o per risolvere crisi aziendali e riorganizzare gli assetti societari.
Nel corso degli anni le esperienze aziendali unite alle attitudini personali mi hanno permesso di sviluppare la capacità di prevedere e nel contempo essere un buon risolutore dei problemi ordinari e straordinari dei miei clienti.
Per migliorare la mia conoscenza e professionalità ho voluto fare esperienza in un gruppo finanziario inglese e, provatane l’efficacia ne ho voluta fare una anche in Svizzera.
Queste esperienze estere hanno apportato conoscenze legate al Family Business, alla protezione patrimoniale tanto per le imprese quanto per i singoli imprenditori e, alla gestione di società e conti esteri per favorire l'internazionalizzazione ed armonizzare la fiscalità tra i diversi paesi ove i clienti operano.
Nel frattempo ho maturato esperienza in Ascom Confcommercio per 12 anni - nel ruolo di vice presidente - ottenendo una buona padronanza della dialettica, doti di Pubblic Relation e, una buona rete di contatti personali.
Mi piace lavorare in squadra, mi piace curare le pubbliche relazioni e, sono convinto che l’unione delle professionalità tra due singoli, non le somma ma, le moltiplica.
Il mio obiettivo è lavorare sodo ma, con Etica ed Urbanità.

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Bocciati tutti gli emendamenti della Lega per le strade emiliano romagnole, comprese le vallate di Piacenza. Murelli: «Senza reti viarie le imprese in difficoltà non ripartono»

Piacenza, 29 ott. 2019 - «Dopo l’Umbria, il Governo è finito di nuovo fuori strada. Nel decreto legge Crisi aziendali, infatti, c’è solo un progetto sulle strade e riguarda il distretto fermano-maceratese. In commissione Lavoro, la Lega ha presentato numerosi emendamenti sulla necessità di ripristinare alcune arterie per favorire le aziende in crisi dell’Emilia Romagna. Ebbene, sono stati tutti bocciati».

Lo afferma la deputata Elena Murelli, capogruppo del Carroccio in Commissione alla Camera, che si è vista respingere, il 28 ottobre, diversi emendamenti riguardanti le strade piacentine, in particolare quelle di montagna. «Avevo presentato emendamenti - spiega Murelli - che riguardavano lo stato di alcune strade di Val Nure, Val Trebbia, Val d’Arda, Val Tidone, sulle quali insistono diverse aziende in crisi. Non sistemare la rete viaria e le infrastrutture, danneggiate dall’alluvione del 2015 e bisognose di continue attenzioni, a causa del forte rischio idrogeologico, significa impedire alle imprese in difficoltà di riprendersi. Per non parlare poi di quelle aziende che avevano lasciato la montagna e che ora intendono ritornarci. Chi torna in un luogo con strade dimenticate da Governo e Regione? L’ennesimo capolavoro di questo Governo raccogliticcio».

 

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Di Mario Vacca Parma 27 ottobre 2019 - Dal Convegno Nazionale dei dottori Commercialisti a Firenze

Diffuso l’elaborato degli indici studiati dall’ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili all’apertura del convegno nazionale di Firenze sulla crisi d'impresa, al quale sembrerebbe partecipino 1200 iscritti. Durante il convegno si è fatto cenno agli indici e di come comprendere che la crisi si misuri innanzitutto negli indicatori, diversi dagli indici stessi.


Primo indicatore di massima importanza riguarda la perdita della continuità aziendale, così come i Principi di revisione Isa già definiscono bene, e ovviamente il patrimonio netto negativo (cioè inferiore al limite di legge), quindi è stato evidenziato come gli indici siano subordinati alla verifica di altri elementi, già fissati dal legislatore all'art. 13, co. 1 e art. 24 del codice della crisi d'impresa.
Le imprese soggette ai nuovi obblighi sono oltre 235 mila, cioè tutte quelle costituite sotto forma di società o enti collettivi che dal 16 marzo scorso sono obbligate ad istituire un assetto organizzativo, contabile e amministrativo adeguato alle dimensioni dell'impresa, finalizzato al duplice obiettivo: il primo, di rilevare tempestivamente i segnali di pericolo della crisi d'impresa e della perdita della continuità aziendale e il secondo, di intervenire in modo coerente e senza indugio per adottare ed attuare uno strumento giuridico previsto dall'ordinamento utile a recuperare la continuità aziendale ed evitare il fallimento (ovvero la liquidazione giudiziale che sostituirà la procedura di fallimento).
Erroneamente in tanti hanno pensato che dagli indici si potesse valutare se l’ impresa è in crisi, ma in effetti gli indici sono solo il terzo livello di valutazione della presunzione di crisi .
E’ la verifica della continuità aziendale che rileva ai fini degli obblighi segnaletici nei limiti degli eventi che compromettano la continuità per l'esercizio in corso e, qualora la durata residua dello stesso sia inferiore a sei mesi, nei sei mesi successivi la chiave di volta.


Secondo elemento rappresenta la non sostenibilità dei debiti che è anch'essa sintomo di disfunzione della continuità aziendale. La rilevazione dei sintomi e dei rischi è quindi rimessa a un sistema di risk management, che monitori anche fattori diversi dai numeri che potrebbero pregiudicare la prosecuzione aziendale o l’andamento gestionale come, ad esempio rilevanti perdite per danni ambientali, dissidi familiari , perdite dei crediti, controversie giudiziarie, crisi del mercato. Il documento del Cndcec evidenzia come «queste minacce non sono rilevabili dagli indici di cui alla delega, in quanto avulse dal sistema dei valori di bilancio al quale tali indici si riconnettono, ma devono essere attentamente monitorate da parte dell'organo amministrativo». Devono essere così considerasti sempre gli eventi elencati dal principio Isa Italia N. 570 «Continuità aziendale» in quanto possono compromettere l'esistenza in vita dell'impresa e condurre alla crisi. Tali elementi sono indicatori tutt'altro che finanziari e quindi non leggibili dai dati di bilanci.


Si attende adesso che il Mise approvi il documento.

 

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Mi presento, sono nato a Capri nel 1973, la mia carriera è iniziata nell’impresa di famiglia, dove ho acquisito esperienza e ho potuto specializzarmi nel controllo di gestione e finanza d’impresa.
Queste capacità mi hanno portato a collaborare con diversi studi di consulenza tra Capri, Napoli e la penisola Sorrentina con il ruolo di Temporary Manager, per pianificare crescite aziendali o per risolvere crisi aziendali e riorganizzare gli assetti societari.
Nel corso degli anni le esperienze aziendali unite alle attitudini personali mi hanno permesso di sviluppare la capacità di prevedere e nel contempo essere un buon risolutore dei problemi ordinari e straordinari dei miei clienti.
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Di Mario Vacca Parma 20 ottobre 2019 -  In Tema di dell’antiriciclaggio il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha emesso delle regole tecniche ed attuative in conformità al D.Lgs. n. 231/2007 modificato e ampliato dal D.Lgs. n.90/2017.


La normativa in vigore demanda agli Organismi di Autoregolamentazione (perciò l’Ordine stesso) di elaborare ed aggiornare delle regole vincolanti per i commercialisti iscritti.
Queste regole tecniche specificano che i commercialisti per i loro clienti e sul loro studio dovranno fare una valutazione complessiva del rischio (artt. 15 e16, D.lgs. 231/2007); procedere ad una adeguata verifica della clientela (artt. 17 e 30, D.lgs. 231/2007) e rispettare una attenta conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni (artt. 31, 32 e 34, D.lgs. 231/2007). Infine vi è anche un obbligo specifico di formazione per la tematica di antiriciclaggio per il commercialista.


La cosa più imminente è la obbligatorietà per il singolo iscritto all’Albo di fare la autoregolamentazione del rischio di autoriciclaggio del proprio studio (che poi dovrà essere rinnovata ogni tre anni).
Obbligatorietà nata dalle regole tecniche che sono considerate fonti normative integrative della norma primaria e non norme regolamentari subordinate (vedasi lo studio n.1/2018/B del Notariato). Tali regole dovevano essere recepite entro sei mesi (23/07/2019) ma sono andate in proroga al 1/1/2020 (informativa n.68 CNDCEC 18.07.2019).


In questi prossimi mesi il CNDCEC promuoverà specifiche attività formative in modalità e-learning e linee guida esemplificative. Decorso tale periodo (perciò da Gennaio 2020) le regole saranno considerate vincolanti per tutti gli iscritti.
Ai sensi dell’art. 26 comma 2 del D.Lgs. n.231/2007 il professionista obbligato deve adeguarsi e per fare ciò è consigliabile che si affidi a professionisti terzi.


Estratto della Sezione III Art. 26. n.231/2007
Esecuzione degli obblighi di adeguata verifica da parte di terzi (1)
1. Ferma la responsabilità dei soggetti obbligati in ordine agli adempimenti di cui al presente Titolo, è consentito ai medesimi di ricorrere a terzi per l'assolvimento degli obblighi di adeguata verifica di cui all'articolo 18, comma 1, lettere a), b) e c).
2. Ai fini della presente sezione, si considerano «terzi»:
a) gli intermediari bancari e finanziari di cui all'articolo 3, comma 2;
b) gli agenti in attività finanziaria di cui all'articolo 3, comma 3, lettera c) limitatamente alle operazioni di importo inferiore a 15.000 euro, relative alle prestazioni di servizi di pagamento e all'emissione e distribuzione di moneta elettronica di cui all'articolo 17, comma 6;
c) gli intermediari bancari e finanziari aventi sede in altri Stati membri;
d) gli intermediari bancari e finanziari aventi sede in un Paese terzo, che:
1) sono tenuti ad applicare misure di adeguata verifica della clientela e di conservazione dei documenti di livello analogo a quelle previste dalla direttiva;
2) sono sottoposti a controlli di vigilanza in linea con quelli previsti dal diritto dell'Unione europea;
e)i professionisti nei confronti di altri professionisti.
(1) Il presente articolo, originariamente inserito nella Sezione II del Capo I del Titolo II, è stato così sostituito dall’ art. 2, comma 1, D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90, che ha sostituito l’intero Titolo II.

 

 

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Mi presento, sono nato a Capri nel 1973, la mia carriera è iniziata nell’impresa di famiglia, dove ho acquisito esperienza e ho potuto specializzarmi nel controllo di gestione e finanza d’impresa.
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Di Mario Vacca Parma 13 ottobre 2019 - La sentenza n. 23859 del 25.09.2019, emessa dalla Corte di Cassazione ha affermato che non sono riferibili al contribuente sottoposto a verifica le operazioni sui conti correnti intestati alle società di capitali dal medesimo partecipate, in quanto in mancanza di una presunzione legale, è consentito sostenere che siano riferibili alla società verificata le operazioni sui conti correnti intestati all’amministratore o al socio, ma non anche che siano riferibili a questi soggetti le movimentazioni sui conti correnti intestati alla società.

Tale sentenza fa chiarezza in tema di indagini finanziarie sui conti correnti intestati a terzi in quanto parrebbe prevalere l’orientamento secondo cui l’estensione dell’indagine sui conti correnti dei terzi può diventare quasi automatica nel caso in cui questi siano intestati a persone riconducibili al contribuente, vedasi parenti stretti, coniugi o soci.


L’esame dei conti correnti bancari del contribuente consente il rinvenimento di movimentazioni che non trovano comparazione nella contabilità del soggetto e l’indagine è mirata al rinvenimento di elementi idonei a procedere ad una rettifica reddituale a meno che non sia dimostrato tali movimentazioni sono state incorporate per la determinazione della base imponibile o che non hanno rilevanza allo stesso fine.


Posto ciò la Suprema Corte ha evidenziato che: «In tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari, devono ritenersi legittime le indagini finanziarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto sia l’articolo 32 D.P.R. 600/1973, che l’articolo 51 D.P.R. 633/1972, autorizzano l’Ufficio a procedere ad accertamento anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, tesi, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti».


Date le due interpretazioni ben venga accolta la recente sentenza che chiarisce che in caso di operazioni sui conti correnti intestati alle società di capitali, non opera alcun meccanismo presuntivo, per cui non è consentito sostenere che tali movimentazioni siano riferibili al contribuente.

 

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Queste capacità mi hanno portato a collaborare con diversi studi di consulenza tra Capri, Napoli e la penisola Sorrentina con il ruolo di Temporary Manager, per pianificare crescite aziendali o per risolvere crisi aziendali e riorganizzare gli assetti societari.
Nel corso degli anni le esperienze aziendali unite alle attitudini personali mi hanno permesso di sviluppare la capacità di prevedere e nel contempo essere un buon risolutore dei problemi ordinari e straordinari dei miei clienti.
Per migliorare la mia conoscenza e professionalità ho voluto fare esperienza in un gruppo finanziario inglese e, provatane l’efficacia ne ho voluta fare una anche in Svizzera.
Queste esperienze estere hanno apportato conoscenze legate al Family Business, alla protezione patrimoniale tanto per le imprese quanto per i singoli imprenditori e, alla gestione di società e conti esteri per favorire l'internazionalizzazione ed armonizzare la fiscalità tra i diversi paesi ove i clienti operano.
Nel frattempo ho maturato esperienza in Ascom Confcommercio per 12 anni - nel ruolo di vice presidente - ottenendo una buona padronanza della dialettica, doti di Pubblic Relation e, una buona rete di contatti personali.
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Di Mario Vacca Parma 6 ottobre 2019 - Le nuove norme del codice della crisi e dell’insolvenza per dirimere le liti dei soci al 50%

L’inizio di un’avventura imprenditoriale matura dalla voglia di fare tra due soggetti che presi – com’è ovvio che sia – dal business principale del quale molto probabilmente sono edotti tralasciano alcuni aspetti sostanziali che potrebbero essere genesi di problematiche nel futuro della società, in particolar modo quanto le quote sono divise equamente al 50% e l’amministratore è soltanto uno dei due. Solitamente in fase di start-up a causa della mancata esperienza dei soci in questioni di diritto societario e comunque della sola focalizzazione sulle idee del business non viene data grande importanza allo statuto, sia quando regola il rapporto tra i soci sia per gli aspetti fiscali che con la redazione di un buon documento si possono conseguire.


Nel trascorrere degli anni tra i due soci si crea un divario, uno tenderà più ad amministrare l’altro più a lavorare ed è facile che il primo prenderà decisioni in autonomia mancando di dare qualsiasi informazione al socio, con il risultato che quasi sempre, idee, strategie ed azioni di uno finiscano per prevalere su quelle dell’altro, diluendo cosi la tutela legale tra i due ma anche la capacità di sopportazione dell’altro socio che a lungo andare subirà la “dittatura” dell’altro.

Naturalmente in questi casi il risultato non potrà essere che uno soltanto: un’insanabile rottura del rapporto tra i soci. Solitamente l’amministratore porta con se’ il rapporto con i professionisti aziendali quali commercialista, consulente del lavoro etc, che alla fine cadranno nell’involontaria difesa del socio prevalente o nel manifesto riconoscimento da parte del professionista nei confronti del socio che gli conferma di anno in anno il mandato.

Nell’ipotesi che cambiare il commercialista in alcuni casi è più un danno che altro che si andrebbe ad arrecare alla società stessa, una soluzione perverrebbe dal nuovo Codice sulla Crisi delle Imprese laddove impone che le società che, nel biennio precedente abbiano superato determinati parametri nominino un sindaco o in alternativa un revisore.

Siffatto obbligo potrebbe offrire un’importante opportunità per pareggiare il potere tra i due soci laddove il sindaco o il revisore (figura che, tra i vari compiti, dovrà controllare la correttezza del lavoro svolto dal commercialista) venga scelto dal socio che si ritenga svantaggiato.

La nomina di un sindaco o un revisore, sono obbligatori laddove la società abbia superato determinati parametri, ma facoltativi se tali parametri non siano raggiunti e pertanto nominabili anche in società di piccole dimensioni.

 

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Come in mare aperto, anche in ufficio è necessario un leader capace di motivare il team, esaltarne i punti di forza, aiutarlo a risolvere problemi e capace di prendersi la responsabilità.

di Mario Vacca Parma  1 settembre 2019 - Nel ricorso per sovraindebitamento la procedura di liquidazione rappresenta un altro strumento di soddisfacimento dei creditori del soggetto non fallibile, raffigurato come procedimento esecutivo-espropriativo d’indole concorsuale, avente ad oggetto l’intero patrimonio del debitore, fatta eccezione dei beni espressamente esclusi.

Si evince che tale disciplina è strutturata analogamente ad una tradizionale procedura fallimentare, e si compone nelle fasi dell’apertura, dell’inventario dei beni, della formazione dello stato passivo ed infine dell’esdebitazione. Oggetto della liquidazione sono tutti i beni del debitore, compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti dai beni ( anche i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi) ad eccezione di quelli personali, che ai sensi dell’articolo 14-ter, comma 6, L. 3/2012 possono individuarsi nei crediti impignorabili, dei crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, degli stipendi, delle pensioni, dei salari e di ciò che il debitore guadagna con la sua attività, sia pure nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice, dei frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, dai beni costituiti in fondo patrimoniale e dei frutti di essi.

Il 14 maro 2019 il Tribunale di Pordenone ha espresso che la procedura di liquidazione del patrimonio prevista dalla L. 3/2012 in tema di sovraindebitamento può essere esperita anche in assenza di beni da liquidare, facendo affidamento soltanto sui redditi futuri del debitore. Il Tribunale ha fornito un’indicazione molto rilevante in quanto gli articoli del c.c. al riguardo non offrono un valido supporto a dirimere questione.


Dalla sentenza è possibile evincere he a sostegno della pronuncia viene evidenziato che nella nozione di “beni” di cui all’articolo 810 cod. civ. possano rientrare anche le somme di denaro, e:
 il fatto che l’articolo 14 ter, comma 6, lett. b), L. 3/2012 esclude dalla liquidazione i redditi da stipendi e pensioni solo nei limiti di quanto occorre al mantenimento proprio e della propria famiglia;
 il fatto che nel patrimonio da liquidare rientreranno ex articolo 14 undecies 3/2012 anche i crediti eventualmente sopravvenuti nel quadriennio successivo al deposito della domanda di ammissione alla procedura così da far rientrare all’interno del patrimonio del debitore ogni somma idonea a soddisfare i creditori;
 il fatto che, in difetto di beni da alienare, permane comunque l’utilità del liquidatore, posto che allo stesso è demandato anche il compito di accertamento dei crediti, riconoscimento dei diritti di prelazione e predisposizione dei piani di riparto al fine di soddisfare i creditori.


Fortunatamente il principio espresso dal Tribunale rafforza la legge e fornisce un precedente che sarà colto senza riserve – da futuri ricorrenti.

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Reggio Emilia 28 agosto 2019 - Sensibilizzare il tessuto imprenditoriale reggiano perché possano essere ricollocati al più presto i 26 lavoratori coinvolti dall’improvvisa chiusura della SaRe di Bibbiano.

Questo il motivo dell’incontro che si è tenuto oggi pomeriggio a Palazzo Allende, su iniziativa di tutte le istituzioni locali: oltre alla Provincia, l’Assessorato alle Attività produttive della Regione Emilia-Romagna, l’Agenzia regionale per il lavoro ed il Comune di Bibbiano. Con loro, sindacati e lavoratori e un rappresentante di Unindustria, al quale è stata illustrata la criticità della situazione creatasi per i 26 lavoratori a seguito del licenziamento collettivo per cessazione di attività deciso improvvisamente lo scorso maggio dalla famiglia Spiezia di Nusco che dall’area Vesuviana, quarant’anni fa, portò a Barco una trentina di famiglie per aprire il Salumificio Reggiano.   

In queste settimane, la proprietà si è infatti sempre rifiutata di utilizzare i tanti strumenti che pure – a livello sia nazionale sia regionale – avrebbero potuto rendere meno drammatica la situazione dei 26 lavoratori licenziati dall’oggi al domani. Da qui la decisione di rivolgere un appello al tessuto economico locale perché, oltre alle iniziative che i Centri dell’impiego hanno già avviato, si possano individuare le esigenze delle imprese delle reggiane in modo da incrociare il più rapidamente possibile domanda e offerta di lavoro. L’obiettivo è quello di favorire il ricollocamento delle 15 professionalità che ancora non hanno trovato occupazione e che – come tutti gli ex lavoratori SaRe – devono oltretutto ancora ottenere garanzie sul pagamento del Trattamento di fine rapporto.
Da parte di Unindustria è stata manifestata ampia disponibilità: l’incontro si è quindi chiuso con l’impegno di tutti alla massima collaborazione per favorire la ricollocazione dei lavoratori e, da parte  delle istituzioni, a riconvocare le parti a fine settembre per un aggiornamento della vicenda.

Domenica, 25 Agosto 2019 06:20

La leadership del manager

Come in mare aperto, anche in ufficio è necessario un leader capace di motivare il team, esaltarne i punti di forza, aiutarlo a risolvere problemi e capace di prendersi la responsabilità.


Di Mario Vacca Parma 25 agosto 2019 - Un vero leader sa sempre riconoscere ed ammettere i propri sbagli. Un buon leader deve assegnare a ciascuna risorsa un ruolo preciso e comunicare in modo puntuale in quale direzione si sta andando e perché. Parole espresse da Paolo Scutellaro, cinque volte campione del mondo, pluricampione Italiano di vela ed esperto di organizzazione aziendale.
Ancora una volta la gestione di un team in barca a vela è accostato alla realtà della gestione aziendale e non sono pochi i master in leadership che hanno sessioni in banca affinché diversi soggetti tra loro sconosciuti si fondano in team ed eleggano il leader.

E’ necessario distinguere il manager dal leader, essere manager, infatti, non vuol dire automaticamente essere un leader e quest’ultimo dev’essere dotato di caratteristiche imprescindibili:
• saper ascoltare,
• dare una direzione chiara al proprio team,
• creare un clima positivo, senza conflitti,
• assegnare a ciascuno il proprio ruolo in azienda,
• saper pianificare,
• guidare con l’esempio.
Naturalmente tutti i manager vorrebbero essere dei bravi leader errori che spesso si compiono sono una barriera a tale aspirazione. Essere leaderi deve far parte di una strategia ragionata. L’errore più comune è un’insolente auto-promozione di se stessi e della propria azienda, ed oggi i social forniscono un ottimo mezzo per elevare all’ennesima potenza l’errore. L’obiettivo deve essere quello di captare le esigenze altrui e non di vendere se stessi o la propria azienda. Solitamente le persone fanno marcia indietro davanti a chi si loda.


Trovare il modo di distinguersi, di uscire dalla massa, ma senza per questo passare per grotteschi è uno dei punti fondamentali; ci sono dei trend da seguire, ma saltare sul carro del vincitore non è mai un buon segno. Se non si ha niente di nuovo da dire su un argomento meglio tacere, il silenzio è da sempre il miglior alleato.
Premesso che il leader è tale perché riconosciuto “dal popolo” la leadership deve affermarsi in maniera naturale e per farlo ha bisogno del supporto altrui, è inutile imporsi, piuttosto è necessario condividere il proprio pensiero e lavorare in squadra creando situazioni di reale scambio ed accrescimento comune.


“Un passo falso comunemente riportato dalla letteratura è quello di identificarsi tanto nel ruolo di leader da dimenticare altri tratti del proprio carattere che potrebbero aiutare a relazionarsi in modo diverso. È importante non snaturarsi ed imparare a gestire le proprie caratteristiche. Non bisogna pensare che la timidezza o l’empatia siano nemiche della leadership. L’importante è inviare un messaggio chiaro e mostrarsi sempre coerenti”


Infine è bene concentrarsi su poche cose, non si può essere esperti in ogni settore, si acquisirà maggiore credibilità sapendo tutto su un argomento e formulando un proprio pensiero personale. Il tuttologo è spesso allontanato o ascoltato con scherno.
Molti manager oppongono resistenza al cambiamento del ruolo, essendo abituati a comandare tendono a non mettersi in discussione. In quest’ottica il manager che vuole accrescere le proprie potenzialità e puntare ad essere un leader dovrebbe avere un confronto costante con un coach che lo aiuti a crescere e a migliorarsi ogni giorno. In generale, si possono individuare tre qualità per diventare leader che possono essere potenziate grazie a un programma di coaching.


Il coraggio risiede nella capacità di dire le cose e di farle accadere. Se si ha paura del cambiamento – che ricordo essere uno dei traumi più temuti dall’essere umano - non si migliorerà mai, diversamente bisogna avere il giusto coraggio per sapere comunicare anche le cose difficili. Imparare a farlo con il coach renderà più efficiente il rapporto con i dipendenti.


L’ascolto degli altri prima di parlare è essenziale, una qualità imprescindibile per ogni vero Leader.
E’ anche importante che i leader imparino a seguire il proprio istinto, che non vuol dire smettere di ponderare le cose razionalmente ma metterci quel pizzico di intuizione che fa la differenza. Ciò può far sentire instabili, ma permetterà di aprire nuove strade e di migliorare il proprio business. Naturalmente occorre esperienza nel leggere ed interpretare bene i segnali che arrivano da persone e situazioni.
Per diventare leader è importante lavorare con gli altri, gestire gli altri ma soprattutto gestire se stessi perché - come si dice in marina - tutti sanno portare la barca con il mare calmo ma il vero comandante è quello che non va in tilt durante una mareggiata imprevista.


Il giusto equilibrio consente quindi di mostrare il proprio coinvolgimento emotivo in alcune circostanze, finalizzate soprattutto a creare fiducia e non significa mostrarsi stoici e celare qualsiasi emozione, impedendo ai collaboratori di essere percepiti come umani e aperti alla comunicazione.


L’integrità rappresenta la qualità fondamentale per un leader, un attributo che presuppone la capacità di essere onesti e di voler agire nel modo giusto. E’ importante che il leader faccia per primo ciò che enuncia ai collaboratori.
L’autostima e la fiducia nelle proprie capacità senza un desiderio di prevaricare e di mostrarsi superiore è un elemento essenziale nella costruzione dell’uomo leader. La comunicazione tra il capo e i suoi collaboratori gioca un ruolo primario per la produttività, efficienza, fidelizzazione e soddisfazione personale, aspetto che purtroppo è spesso sottovalutato.


Il Buon Leader ricerca e trova giusto equilibrio tra deleghe ed incarichi, generando coinvolgimento e partecipazione, ascolta prima di giudicare concedendo l’opportunità di spiegare le proprie ragioni, organizza meeting e sessioni di coaching favorendo momenti di confronto a cadenza regolare, mostra interesse per la vita personale dei collaboratori, creando in questo modo un clima sereno e collaborativo.

 

Pubblicato in Economia Emilia
Domenica, 11 Agosto 2019 05:41

Assetti organizzativi a misura “d’uomo”

Di Mario Vacca Parma 11 agosto 2019 - L’entrata in vigore del Nuovo Codice della Crisi ha favorito un ventaglio di interpretazioni, commenti e giudizi provenienti dal mondo accademico e dai diretti interessati di ogni categoria; Appena qualche giorno or sono 22 Law Firm, ovvero studi legali nazionali ed internazionali che assistono le aziende in crisi hanno espresso su un unico documento dissenso al nuovo codice evidenziando ben 8 punti critici.


Anche in ordine ai tanto proclamati adeguati assetti organizzativi che ogni azienda dovrà implementare al fine di intercettare situazioni di crisi e prevenire la perdita di continuità aziendale ognuno riporta la sua personale interpretazione.
Un ottimo contributo lo fornisce Assonime, determinando un approccio flessibile per non appesantire l’impresa in termini sia organizzativi che economici situazione che finirebbe per far fallire la le legge sul nascere.


La forte differenziazione tra le imprese in termini dimensionali, di base societaria, di risorse e di organizzazione, pone chiaramente il tema di un’adeguatezza da realizzare sartorialmente evitando di ingessare l’azienda con un “programma” troppo pesante che la renderebbe poco efficiente. In questo i vincoli non sono solo di tipo economico - legati al livello di investimento di setup e di mantenimento degli adeguati assetti - ma anche di tipo organizzativo in funzione della quantità e qualità delle risorse umane utilizzate, e di governance, con la presenza o meno di un management indipendente e professionale.


“…Come è da tempo noto in dottrina, la crisi è un processo evolutivo a stadi nel quale crescenti livelli di difficoltà dell’impresa possono portare alla perdita della continuità aziendale e/o all’insolvenza. Mentre l’istituzione degli adeguati assetti organizzativi costituisce un obbligo per tutte le imprese collettive, lo scopo di questi dipende dalla condizione di salute dell’impresa. In una impresa sana, gli adeguati assetti organizzativi sono funzionali alla corretta gestione e vanno inquadrati in un’ottica di moderno risk management, accompagnato da una corretta architettura organizzativa e da una serie di strumenti gestionali tutti caratterizzati da adeguatezza. Quando invece l’impresa entra in una fase di difficoltà, agli adeguati assetti è richiesta non solo una funzione di monitoraggio tempestivo, ma anche di costituire un valido strumento di gestione della medesima. Assosime lega al termine “adeguati” una duplice accezione: sia alla natura e alla dimensione dell’impresa, sia alla capacità di intercettare tempestivamente ed efficacemente gli indicatori della crisi e di perdita della continuità aziendale. L’adeguatezza rispetto agli obiettivi della norma è chiaramente declinata nei diversi strumenti e nelle caratteristiche degli assetti (organizzazione, controlli, sistemi di gestione e di rilevazione contabile, strumenti di monitoraggio della performance quantitativo e qualitativo) che consentono di prevenire la crisi di impresa e la perdita della continuità aziendale. Anche il riferimento temporale entra in gioco dinamicamente fotografando il momento in cui gli assetti vengono implementati ed usati; viene da se che un determinato controllo che in un’impresa sana potrebbe essere condotto con frequenza trimestrale in un’azienda in crisi dovrebbe essere condotto con periodicità più frequenti…”

L’unico neo rinvenibile nel documento di Assonime potrebbe rilevarsi il concetto di anteporre temporalmente l'interruzione della continuità alla crisi e all'insolvenza, quando evidentemente in più parti del corpo normativo viene espressamente chiarito che essa è un evento estremo da evitare il più possibile anche per la tutela della base occupazionale.

 

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