Sulla veridicità della notizia non possono nascere dubbi perché non è stata divulgata da ambienti anti-cattolici ma dal Papa stesso nel corso degli Stati Generali della Natalità, dove era presente anche il Capo del Governo italiano on. Giorgia Meloni.
Ciò ha immediatamente sollevato un polverone di polemiche da parte di numerose associazioni animaliste. Il fatto raccontato dal Papa stesso si è svolto durante una delle udienze del mercoledì quando una signora si è avvicinata al Pontefice dicendo : "Me lo benedice il mio bambino, un cagnolino". Lì non ho avuto pazienza e l'ho sgridata: "Signora tanti bambini hanno fame e lei col cagnolino"», ha raccontato Papa Francesco. «Fratelli e sorelle queste sono scene del presente, ma se le cose vanno così sarà l'abitudine del futuro, stiamo attenti».
Non sembra che il Papa abbia detto di non amare gli animali ma di dare più attenzione alla sorte dei bambini che soffrono, ma ciò è bastato per renderlo antipatico al mondo animalista secondo il quale porta indegnamente il nome del serafico Santo, patrono di tutti gli animali, domestici o selvatici che siano. Certo riguardo il cane, come altri animali, è antica consuetudine di non farli entrare in Chiesa o in altri luoghi consacrati, tanto che se una persona è indesiderata si dice che è “come un cane in Chiesa”.
Se di una persona si dice che è “sfortunato come un cane in Chiesa”, si pensa che sia a rischio bastonatura, come succedeva ai cani nei secoli scorsi quando i sacrestani venivano anche chiamati “scaccini”.
Ma cosa dice la Bibbia del cane? Il Libro di Tobia (accolto nel canone ortodosso fin dal Concilio di Cartagine del 397 e confermato in quello cattolico dal Concilio di Trento del 1546, ma non facente parte della Tanakh o Bibbia ebraica e considerato apocrifo dai protestanti) ci racconta la storia di Tobia e dei suoi viaggi in Assiria e Media accompagnato dall’arcangelo Raffaele e da un cane (Tobia 6,1 e 11,4) e Gesù cita i cani nella parabola (Luca 16,19-31) del ricco Epulone (nome che significa “Banchettatore” utilizzato in ricordo al Collegio pagano degli Epulones, incaricati di organizzare banchetti e ludi/giochi in onore delle divinità, in primis di Giove) dove si parla di “Un mendicante, di nome Lazzaro, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.”
In ambedue i racconti biblici i cani si dimostrano fedeli amici dell’uomo e rappresentano l’amicizia e la misericordia divina. Se qualcuno passasse a Nosate, piccolo paese lombardo della Città Metropolitana di Milano e visitasse la Chiesa dedicata a San Gervaso, un santo pavese di origine irlandese, noterebbe con stupore il quadro raffigurante San Guniforte, un santo una volta localmente molto venerato e che veniva festeggiato il 22 agosto. Una volta, fino agli anni trenta del XX secolo, quanto il culto fu vietato dalla Chiesa Cattolica, questo santo era per i devoti nosatesi il protettore dei bambini e il patrono della città.
Ma cosa ha di particolare questo San Guineforte e perché il culto ne è stato vietato?
Basta guardare la raffigurazione del Santo e si noterà che non ha un aspetto umano ma vi è raffigurato come un levriero (in tante altre località il santo fu umanizzato e raffigurato come un uomo con testa di cane, analogamente a San Cristofaro, raffigurato come cinocefalo nell’iconografia anatolica). Trattasi effettivamente di un Santo Cane o Cane Santo che, seppur il suo culto non sia stato mai ufficialmente autorizzato, ha perdurato per diversi secoli nella Francia centro-meridionale e in Italia settentrionale. Secondo la leggenda a Sandras, un piccolo comune francese della Regione Alvernia-Rodano-Alpi, della quale è capoluogo Lione, Guinefort era un cane levriero di proprietà di un ricco cavaliere, vissuto nel XIII secolo, posto alla guardia del castello padronale che, quando il padrone tornò da una battuta di caccia e entrato nella stanza del figlio neonato la trovò a soqquadro, con la culla rovesciata e il cane con le zanne insanguinate. Pensando che l’animale avesse sbranato il bambino lo uccise con la spada. Poco dopo sentì il bambino piangere e lo trovò sotto la culla, nella quale invece era presente una vipera morta, uccisa dal cane. Avendo capito l’errore il cavaliere seppellì il cane sotto un cumulo di pietre. Successivamente la tomba divenne oggetto di devozione popolare e di pellegrinaggio da parte dei fedeli del lionese e il culto si diffuse dal Rodano alla Provenza fino a diverse zone dell’Italia settentrionale.
La gente portava i bambini sulla tomba del santo cane per chiedere protezione e guarigione e la tomba era piena anche di ex voto per presunti miracoli ricevuti. Il culto, sopravvissuto per oltre sei secoli, è stato definitivamente proibito dalla Chiesa Cattolica soltanto nel 1830.
Per curiosità, il cane di San Rocco di chiamava Reste e l’orso di san Serafino Misha e l’Italia è uno dei paesi europei col maggior numero di animali domestici e, cifre del 2019, nelle nostre case vivono 7 milioni di cani e 7 milioni e mezzo di gatti.