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I Carabinieri della Compagnia Carabinieri di Parma hanno dato esecuzione a tre ordinanze di applicazione di misura cautelare emesse dal Gip di Parma in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere nei confronti di due cittadini:
- M.A., classe 1989, residente in Parma;
- F.E.W., nato a Santo Domingo, classe 1982, residente a Parma.

Il primo era stato deferito in stato di libertà dalla Stazione Carabinieri di San Pancrazio Parmense in data 23.01.2020 con l’accusa di aver commesso violenza fisica e psicologica nei confronti della nonna, in quanto la sottoponeva a reiterati e continui atti di vessazione tali da cagionarle sofferenze ed umiliazioni e da indurle uno stato di disagio e di paura continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita, con condotte poste in essere dal 2018 sino alla data dell’arresto.

Durante le liti, scaturite per futili motivi (ad esempio: pasti non graditi) l’arrestato avrebbe picchiato la vittima dandole pugni alla schiena e sul capo provocandole dolore e un ematoma sul naso (mai refertato); in diverse occasioni l’avrebbe presa per il collo, spintonandola e facendola talvolta cadere per terra; inoltre avrebbe provocato con calci e pugni numerosi danneggiamenti nell’abitazione dell’anziana, spaccando suppellettili, soprammobili, oggetti ornamentali e danneggiando il mobilio e le porte dell’abitazione.

Pertanto la vittima era costretta a vivere perennemente in uno stato di terrore e di paura tanto che per evitare reazioni violente nel nipote la donna si vedeva costretta ad assecondare le richieste e a consegnarli settimanalmente la somma di euro 150 per recuperare la quale vendeva anche dei propri monili in oro.
Attese le condizioni della signora ultrasettantenne, è stata contestata anche l’aggravante di azioni perpetrate ai danni di persona non in grado di difendersi.

Nel 2014 l’indagato era stato giudicato colpevole per gli atti di maltrattamenti, lesioni aggravate ed estorsione commesse ai danni del nonno, nelle more deceduto, e della nonna ancora vivente. Nonostante avesse intrapreso, durante il periodo di reclusione, un percorso riabilitativo presso una comunità terapeutica, evidentemente il soggetto non ha modificato le sue condotte. Egli risiede nell’abitazione materna insistente nella medesima palazzina bifamiliare ove è ubicato l’appartamento della nonna, che provvede al mantenimento di entrambi.

L’arrestato in passato, come denunciato dalla vittima, non avrebbe esitato a scagliarsi contro il nonno, soggetto diabetico e utilizzatore di sedia a rotelle, tanto da provocarne la caduta dalla carrozzina e aggredirlo con pizzichi al volto e sul corpo.
L’aggressore in un escalation di violenza, prima si scagliava contro il mobilio e i suppellettili per poi passare alla violenza fisica nei confronti della nonna. La figlia della vittima, ovvero madre dell’arrestato, sentite le urla dal pianerottolo era più volte intervenuta invano per sedare la lite.

Le condotte descritte avrebbero causato nella vittima uno stato di timore tale da temere di mettere a repentaglio la sua incolumità e quella dei propri figli.
Le dichiarazioni rese sono state giudicate credibili, poiché lineari, dettagliate, prive di intrinseche contraddizioni, oltre che riscontrate dalle annotazioni delle forze dell’ordine intervenute in più occasioni, dalla sentenza di condanna del 2014, dai contributi dichiarativi riversati, tutti conformi nel descrivere la personalità del prevenuto, i suoi scatti improvvisi di ira, i suoi eccessi, i suoi comportamenti maltrattanti ai danni della denunciante e dei familiari.


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Il secondo era stato deferito in stato di libertà dalla Stazione Carabinieri di San Pancrazio Parmense in data 28.01.2020 per aver commesso violenza fisica nei confronti della sua ex compagna, classe 88, a causa dell’interruzione della relazione quinquennale intercorrente tra i due.
In particolare l’aggressore avrebbe insultato la vittima con epiteti offensivi anche in presenza della madre della vittima; per motivi di gelosia l’avrebbe minacciata in plurime occasioni di ammazzarla, accompagnando tali minacce verbali con il gesto di colpirla con il coltello che brandiva; in più occasioni l’avrebbe aggredita con schiaffi e pugni al volto e al corpo, distruggendo più volte i telefoni cellulari della donna, gettandoli in terra; avrebbe danneggiato poi gli abiti e le scarpe di costei, strappandoli o tagliandoli con coltelli; inoltre avrebbe distrutto il televisore, i mobili e un armadio; infine le avrebbe mandato messaggi telefonici con minaccia di ammazzarla.

Viste le condizioni della donna e le condizioni nelle quali le minacce sono state effettuate, è stato contestata anche l’aggravate del fatto avvenuto alla presenza dei figli minori.

Sin dal 2016 la donna sarebbe stata oggetto di violenze da parte dell’uomo, situazione poi degenerata, quando nel dicembre 2019 la relazione era stata interrotta per volere della donna.
L’ultimo episodio su sarebbe verificato nella tarda sera del 27 gennaio 2020, allorquando la donna chiedeva l’intervento dei CC a seguito della ennesima aggressione, questa volta armata, da parte dell’ex convivente. All’arrivo dei militari effettivamente veniva riscontrata la presenza di un uomo armato di coltello. Nella circostanza, dagli accertamenti effettuati, è emerso che l’uomo avrebbe messo completamente a soqquadro l’appartamento, danneggiando fortemente il mobilio, per poi minacciare la vittima con un coltello, colpiva peraltro ripetutamente al volto e sul fianco sinistro con violenti pugni. Nel corso dell’aggressione la donna riportava una ferita al labbro e dolori diffusi su tutto il corpo, venendo poi visitata da personale sanitario del pronto soccorso di Parma. Nonostante i tentativi della donna di placare l’uomo ed invitarlo a calmarsi soprattutto in presenza dei minori, tali esortazioni non avrebbero sortito effetto alcuno, tanto che l’uomo con il coltello tagliava due ciocche di capelli alla donna in presenza dei figli minori e successivamente contattava un amico al fine di allontanarsi dall’abitazione. Oltre al danno fisico, veniva danneggiato l’appartamento della donna e veniva danneggiata la vettura della stessa parcheggiata sotto l’abitazione, in modo da impedirle di muoversi.

La vittima, che fino a quella sera non aveva presentato alcuna denuncia, dichiarava che non si trattava di un episodio isolato bensì di un comportamento ripetuto nel tempo, e che le sue azioni erano guidate dal timore di più gravi ripercussioni soprattutto per quanto concerne la gestione o l’affidamento dei figli minori. La donna in più occasioni si era rifugiata presso l’abitazione della madre o in quella della zia. Nel contesto del rapporto burrascoso tra i due vi sarebbero stati anche dei rapporti intimi che la donna avrebbe dovuto subire.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Parma, hanno consentito in tempi brevi l’applicazione della misura cautelare nei confronti di entrambi i soggetti.

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Nella giornata di ieri, militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Parma, coordinati dalla locale Procura della Repubblica, hanno eseguito il sequestro preventivo di un immobile ove ha sede legale ed esercita un centro elaborazione dati coinvolto nell’indagine denominata “PAY & STAY”.

Nell’ambito di tale indagine, il 15 gennaio scorso, erano state tratte in arresto sette persone per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare emessa da Giudice per le indagini preliminari di Parma.

Nella suddetta ordinanza il G.I.P. aveva tuttavia rigettato la richiesta di sequestro preventivo del centro elaborazione dati avanzata dalla Procura della Repubblica, non ravvisando i gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati. Avverso tale rigetto la Procura della Repubblica aveva presentato appello, motivando l’impugnazione con l’elencazione degli elementi che costituivano –a parere dell’accusa- una solida piattaforma indiziaria. L’appello è stato accolto dal Tribunale di Parma –Sezione riesame, che ha pertanto disposto il sequestro invocato.

La complessa attività di indagine, avviata nel giugno 2018 e sviluppata mediante tecniche di investigazione pura (intercettazioni telefoniche ed ambientali audio/video, pedinamenti e appostamenti, acquisizione di documentazione), era nata proprio dal monitoraggio delle prestazioni erogate dal centro elaborazione dati con sede a Parma.

Dalle banche dati, era infatti emerso come il centro elaborazione avesse fornito, nell’ultimo biennio, assistenza fiscale (apertura di partita iva, assunzioni di lavoro con contratto a tempo sia determinato che indeterminato, presentazione di dichiarazione dei redditi) a centinaia di persone extracomunitarie, molte delle quali con precedenti penali, che necessitavano di rinnovare e/o convertire il permesso di soggiorno. In tale ambito, l’attività investigativa aveva riguardato tre distinte vicende caratterizzate dall’impegno degli indagati a favorire la permanenza sul territorio dello Stato di soggetti privi dei requisiti previsti dalla legge.
Nell’ambito di uno di questi filoni investigativi, era emerso come fosse stata predisposta e presentata, da parte dei responsabili del centro elaborazione dati in rassegna, documentazione fiscale fittizia finalizzata a garantire, a numerosi soggetti extracomunitari, il rilascio e/o il rinnovo del permesso di soggiorno. In particolare, era risultato come fossero stati inseriti, nelle dichiarazioni dei redditi, importi puramente casuali e non basati su documentazione fiscale prodotta dal cliente. Dalle registrazioni video/audio intercettate era inoltre emerso come gli indagati avessero proposto ai cittadini extra-comunitari la conversione del permesso di soggiorno in scadenza con un nuovo titolo di soggiorno per “lavoro autonomo”, mediante apertura di una partita iva (ditte individuali di volantinaggio, marketing, muratori) con iscrizione alla camera di commercio. Di contro, dai sopralluoghi eseguiti, era stata rilevata l’inesistenza di queste ultime ditte, i cui luoghi di esercizio dichiarati corrispondevano ad edifici residenziali occupati da terzi estranei.

Attraverso tale escamotage, gli indagati, dietro pagamento di somme di denaro oscillanti da 100 a 300 euro, sarebbero riusciti a far ottenere permessi di soggiorno per lavoro autonomo di durata più lunga (2 anni) rispetto a quelli per motivi familiari, umanitari o per lavoro stagionale.

Nello specifico, tuttavia, nei confronti dei quattro indagati in tale contesto investigativo, il Giudice per le Indagini Preliminari competente non aveva ravvisato la sussistenza dei presupposti per l’emissione di provvedimenti cautelari, nè di natura personale né di natura patrimoniale.

Come detto, avverso tale provvedimento il P.M. aveva presentato impugnazione e l’esecuzione del sequestro costituisce pertanto un importante sviluppo del più ampio contesto investigativo.

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Si è conclusa con l’esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare (una in carcere, l’altra ai domiciliari), l’indagine che la Stazione Carabinieri di Medesano e il Nucleo Operativo della Compagnia di Salsomaggiore Terme hanno avviato e condotto sotto la direzione della Procura della Repubblica di Parma (Dr. Ausiello) a seguito del decesso per overdose da eroina di un giovane 28enne del posto, avvenuto circa un anno fa.

L'attività investigativa, che ha preso le mosse dall’analisi degli ultimi contatti e frequentazioni della vittima, ha consentito di individuare due giovani “pusher” nigeriani, uno con ruolo di capo l’altro di aiutante, gravitanti nel comune di Parma, dediti in maniera assidua ed esclusiva all’attività di spaccio. I Carabinieri, sempre coordinati dal PM responsabile del fascicolo, sono riusciti, a seguito di complessi servizi di pedinamento e con l’aiuto delle indagini tecniche, a raccogliere nei confronti dei due indagati elementi indiziari circostanziati e decisivi per ricostruire decine di episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, anche di diverso tipo, nonostante le misure che gli stessi, abituati ad agire in un contesto di illegalità, prendevano per eludere i controlli delle forze di polizia, cambiando spesso telefono e spostandosi sempre in zone diverse per incontrare i propri clienti.

E’ stato accertato che i due, tra la fine del 2018 e il 2019 abbiano ceduto complessivamente centinaia di dosi di crack, eroina, cocaina e marijuana, con un giro di affari di alcune decine di migliaia di euro.
Aderendo alla prospettazione della Procura di Parma, il G.I.P. ha disposto pertanto le due misure cautelari che i Carabinieri hanno eseguito in due momenti diversi, la prima a dicembre e la seconda nei giorni scorsi dopo aver rintracciato, non senza difficoltà, i due soggetti.

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Venerdì, 17 Gennaio 2020 15:35

NAS: sequestro preventivo per un ospedale privato

Nella mattinata odierna, i Carabinieri del Nucleo Antisofisticazione e Sanità di Parma hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Parma nei confronti di un ospedale privato accreditato parmense.

Parma 17 gennaio 2020 - Il provvedimento scaturisce da una complessa indagine denominata “HIP LARS” - coordinata dalla Procura della Repubblica di Parma (PM dott.ssa Dal Monte) e condotta dal citato N.A.S., anche con la collaborazione del Nucleo Aziendale di Controllo della locale Azienda USL- che ha consentito di raccogliere gravi indizi di reità a carico del direttore sanitario e di un dirigente medico della suddetta struttura sanitaria in ordine ai reati di concorso in truffa aggravata (art. 640, comma 2, c.p.) e falsità materiale ed ideologica commessa da pubblico ufficiale (artt. 476 e 479 c.p.) per fatti riferiti ad un arco temporale compreso tra gli anni 2013 e 2017.


Dalle indagini è infatti emerso che l’attività delittuosa veniva attuata mediante la procedura prevista per il rimborso delle prestazioni sanitarie eseguite da strutture pubbliche o private (purché accreditate), gestite per il tramite del sistema DRG (Diagnosis Related Grouper) che, in seguito all’elaborazione dei codici d’intervento per prestazioni sanitarie inseriti dal dirigente medico responsabile della dimissione e verificati dal dirigente medico addetto a tale controllo (primario/direttore sanitario), trasforma gli atti clinici complessi in un valore economico definito.

Nel corso delle investigazioni è stato possibile documentare, anche mediante una articolata consulenza tecnica sugli atti, che tutte le operazioni chirurgiche effettuate sull’articolazione del ginocchio, relative alla riparazione e/o alla sostituzione dei suoi legamenti, definite “interventi sul ginocchio senza diagnosi principale di infezione”, erano state falsamente classificate nelle SDO (Schede di Dimissione Ospedaliera) con codici d’intervento relativi ad operazioni chirurgiche dell’anca e del femore, di fatto mai effettuate. Tale espediente consentiva di generare, in sede di calcolo del corrispettivo monetario per il rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale, un importo di oltre il doppio rispetto a quello realmente spettante. In particolare, a fronte di un rimborso previsto per gli interventi effettivamente eseguiti in una misura oscillante tra 1746,26 € e 2481,48 euro, veniva richiesto un rimborso (previsto per la tipologia di intervento più complessa, ma non effettuato) in una misura oscillante tra 4442,05 e 5489,19 euro.

Le valutazioni investigative che hanno chiarito la dinamica dei fatti sono nate da un primo confronto fra l’operazione chirurgica a cui i vari pazienti erano stati sottoposti, l’analisi di oltre 400 cartelle cliniche con i relativi verbali operatori (redatte tra il 2013 ed il 2017), l’analisi delle schede di dimissione ospedaliera, nonché la verifica del codice monetario ad esse attribuito, recante le indicazioni mendaci cosi come sopra descritte.
Alla struttura sanitaria interessata dal provvedimento è, altresì, contestato l’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo 231/01 (responsabilità amministrativa degli enti), per non aver adottato quegli efficaci modelli organizzativi e di gestione, idonei ad impedire e prevenire i reati di fatto attribuiti ai soggetti sottoposti alla sua direzione e vigilanza.

Sulla scorta degli elementi raccolti ed aderendo alla prospettazione della Procura di Parma, il GIP ha così disposto il sequestro preventivo di somme di denaro indebitamente percepite dalla struttura sanitaria in questione inducendo in errore l’AUSL di Parma sulla codifica degli interventi chirurgici, per un valore complessivo di circa un milione e duecentomila euro.

 

 

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All’esito di una articolata attività di indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Parma (P.M. dott. Umberto Ausiello), la Squadra Mobile di Parma ha dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di Parma nei confronti di quattro persone di nazionalità sudamericana, gravemente indiziati di concorso in furti aggravati commessi in Parma, rispettivamente in data 26.7.18 (ai danni del supermercato Conad) ed in data 1.10.18 (ai danni del supermercato Sigma).

Nel pomeriggio del 26/07/2018, una pattuglia dell’UPGeSP è intervenuta presso il Supermercato CONAD sito in questa via G. Rossa, in quanto i responsabili avevano accertato che dalla cassaforte custodita all’interno degli uffici era stato trafugato tutto il denaro presente, ammontante ad oltre 5000 €.

Personale della Squadra Mobile, attraverso le immagini di video sorveglianza dell’esercizio, riusciva a ricostruire la dinamica del furto, accertando che ad agire erano stati tre cittadini, verosimilmente sudamericani: mentre il primo dei tre si intratteneva all’esterno del supermercato fungendo da “palo”, gli altri due entravano mescolandosi agli altri numerosi clienti.

Trascorsi alcuni minuti, i due si avvicinavano agli uffici della direzione e, approfittando dell’assenza di personale, uno dei due si introduceva all’interno e, dopo aver rovistato nei cassetti e rinvenuto la chiave della cassaforte, la apriva appropriandosi di tutto il contante ivi presente.

In data 1/10/2018, la responsabile del supermercato SIGMA sito in via S. Pellico a Parma denunciava il furto di 845,00 da una delle casse dell’esercizio, avvenuto nel pomeriggio del 29/09/2019. La responsabile spiegava che, durante l’attività, la cassiera era stata distratta da due uomini che, con il pretesto di chiedere informazioni su alcuni prodotti, l’avevano fatta allontanare dalla cassa, permettendo ad un terzo complice di avvicinarsi al registratore di cassa e, con mossa fulminea, di aprirlo e di asportarvi le banconote presenti.

Dalla visione delle immagini di video sorveglianza, il personale della Squadra Mobile, riscontrava le dichiarazioni della responsabile ed accertava che uno dei tre malfattori coincideva con uno degli autori del furto perpetrato presso il supermercato CONAD il 26/07/2019.
Questi soggetti erano, tuttavia, sconosciuti nella provincia di Parma, ma, nell’ambito dello scambio info-investigativo con gli Uffici della Polizia di Stato del Nord-Italia, la Squadra Mobile di Parma apprendeva che, nell’ambito della c.d. “Operazione Santiago”, la Questura di Torino aveva identificato alcuni cittadini sudamericani resisi responsabili di furti aggravati in esercizi commerciali, ponendo in essere modalità simili a quelle riscontrate nei due furti sopra specificati.

Venivano dunque acquisite le foto di tutti i soggetti indagati presso il capoluogo piemontese e, all’esito delle successive attività di raffronto di tali foto con le immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza riferite ai furti perpetrati presso il CONAD ed il SIGMA, nonché all’esito del riconoscimento effettuato dalle commesse dei due esercizi in sede di individuazione fotografica, si acquisivano gravi indizi di reità a carico di PESSOA Emilio (di nazionalità argentina, classe ’87), MUNOZ QUEGLAS Jonathan Andres (di nazionalità cilena, classe ’89), BADILLA PAVEZ Luis Alejandro (di nazionalità cilena, classe ’85), DIAZ DIAZ Vladimir (di nazionalità cubana, classe ’90), nonché di un quinto soggetto di nazionalità cilena.

Ad eccezione di quest’ultimo -che si è sottratto alle ricerche ed è tuttora ricercato- nei confronti degli altri quattro è stata eseguita la misura della custodia in carcere ed i predetti sono ora reclusi presso gli istituti penitenziari di Cremona, Biella e Cuneo dove sono stati rintracciati.

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I militari del Gruppo della Guardia di finanza di Parma hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Parma a seguito di richiesta della locale Procura della Repubblica (Pubblico Ministero dott. Umberto Ausiello), sui saldi di conto corrente, nonché sui beni mobili ed immobili nella disponibilità di un imprenditore parmigiano, per i reati di omessa dichiarazione e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

L’attività investigativa è nata da un controllo di routine al confine italo svizzero, effettuato nei confronti di un imprenditore parmigiano attivo nel settore del commercio di orologi di lusso (tra cui Rolex, Panerai, Audemar-Piguet, Cartier, Tudor), nel corso del quale i finanzieri in servizio di polizia valutaria hanno sequestrato 50.000 euro in contanti, celati all’interno di un calzino, nonché una decina di orologi di pregio.
La successiva attività di polizia giudiziaria, svolta dal Gruppo della Guardia di Finanza di Parma in esecuzione di delega da parte della Procura della Repubblica di Parma, ha permesso di ricostruire il meccanismo fraudolento attraverso il quale P.C, di 73 anni, è riuscito ad occultare al fisco italiano, dal 2013 al 2018, ricavi superiori a 14 milioni di euro, con un’imposta evasa pari a 3.200.000 euro.
In particolare, è emerso come l’imprenditore, pur operando stabilmente su tutto il territorio nazionale, agisse formalmente con una propria società con sede a Londra, attraverso la quale acquistava gli orologi di lusso nuovi, provenienti da rivenditori italiani concessionari ufficiali delle più note griffe del settore. Gli orologi, che di fatto non sono mai stati trasportati nel Regno Unito, venivano rivenduti, sul territorio nazionale, a gioiellerie, ad altri rivenditori ed a soggetti privati come beni usati, con un notevole illecito risparmio fiscale.

Tale stratagemma, che ha alimentato tra l’altro il c.d. “mercato grigio”, ha consentito all’imprenditore parmigiano di piazzare sul mercato, a prezzi altamente concorrenziali, orologi di lusso di elevatissimo valore.
Le investigazioni di polizia economico-finanziaria -eseguite attraverso perquisizioni personali e locali, esame di documentazione contabile ed extracontabile ed escussione di persone informate sui fatti- hanno consentito di dimostrare come l’azienda inglese fosse, in realtà, una società esterovestita, ovvero un’impresa fittiziamente situata all’estero, di fatto residente nel territorio nazionale, utilizzata allo scopo di avvalersi di un regime fiscale, nel caso specifico, molto più vantaggioso.

L’ingente ammontare dell’imposta evasa ha fatto scattare a carico dell’amministratore la denuncia alla locale Autorità Giudiziaria per il reato di omessa dichiarazione finalizzata all’evasione dell’imposta sui redditi e dell’IVA.
Peraltro l’imprenditore in questione, dopo l’avvio degli accertamenti da parte della Guardia di Finanza, aveva fraudolentemente donato al coniuge tutti i beni immobili a lui intestati, evidentemente allo scopo di sottrarli alle pretese del fisco.

Per questo motivo, P.C. è sottoposto ad indagini anche per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, reato previsto proprio per chi compie atti fraudolenti sui propri beni al fine di rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Onde garantire il rientro nelle casse pubbliche di quanto non versato, su proposta della Polizia giudiziaria, la Procura della Repubblica di Parma ha richiesto il sequestro dei beni posseduti dall’amministratore, applicando il particolare strumento di contrasto patrimoniale del sequestro per equivalente, ossia il “blocco” di beni riconducibili al soggetto cui è ascritto il reato, per un valore pari al danno cagionato allo Stato dall’evasione fiscale.

Accogliendo la prospettazione accusatoria, il GIP presso il Tribunale di Parma, dott. Mattia Fiorentini, ha disposto il sequestro di disponibilità finanziarie della società e dei soci dell’impresa, tra cui conti correnti, immobili e terreni, per un valore di oltre 3.200.000 euro

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Parma 20 dicembre 2019 - Nella notte tra il 4 ed il 5 maggio scorso, come già riportato dagli organi di stampa, un quarantenne parmigiano veniva brutalmente aggredito da tre uomini “con accento straniero” che gli portavano via l’orologio ed il borsello contenente il proprio portafogli con una piccola somma di denaro all’interno, il telefono cellulare e documenti.

L’uomo, uscito da un locale dove aveva trascorso la serata con degli amici, mentre si recava verso il parcheggio Toschi, giunto nei pressi della Pilotta, veniva avvicinato da un ragazzo che gli chiedeva l’ora e, dopo pochi secondi, quest’ultimo, insieme ad altri due uomini che si erano repentinamente avvicinati, lo aggredivano con violenti pugni al volto, facendolo rovinare a terra; con l’uomo in terra, i tre continuavano a colpirlo anche con calci al capo e, nel frattempo, gli sfilavano borsello ed orologio per poi far perdere le proprie tracce.

La vittima, a seguito dei fatti, riportava la frattura bilaterale della mandibola, la frattura scomposta dell’omero e di un dito e delle contusioni multiple su tutto il corpo. Il tutto avveniva in una zona che, in ragione dell’orario e della pioggia battente, era completamente deserta e, pertanto, non vi era alcun testimone che potesse orientare le prime indagini.


Gli investigatori della Squadra Mobile, attraverso l’esame delle immagini di tutte le telecamere presenti in zona, riuscivano ad individuare i tre responsabili della violenta rapina ed a documentarne gli spostamenti prima e dopo l’aggressione, tuttavia, i loro volti apparivano del tutto sconosciuti: i dati raccolti consentivano di ipotizzare che i tre rei fossero originari dell’Europa dellest, ma, nonostante l’impegno degli agenti della Polizia di Stato, non appariva possibile risalire all’identità dei tre soggetti.


Nel frattempo, su delega del PM titolare dell’indagine, dr.ssa Daniela NUNNO, venivano avviate le attività di intercettazione sul telefono della vittima - trafugato dai rapinatori - ma anche su questo versante non vi era alcun esito, in quanto i responsabili del fatto se ne erano probabilmente disfatti.
Una prima svolta alle indagini, però, è giunta dall’analisi dei tabulati dello stesso telefono, in quanto si accertava che i malfattori, poche ore dopo la rapina stessa, lo avevano utilizzato con una scheda sim rumena per inviare alcuni messaggi.


Anche l’intercettazione di questa utenza non ha sortito alcun risultato; e tuttavia il lavoro di analisi sul traffico telefonico generato dall’utenza stessa, ha consentito di individuare altre due utenze che con questa avevano avuto dei contatti nei giorni precedenti e successivi alla rapina e che, in particolare, avevano agganciato nella notte tra il 4 ed il 5 maggio le “celle telefoniche” del centro di Parma.
Appariva dunque che le tre utenze telefoniche fossero molto probabilmente quelle in uso ai tre rapinatori, ma la loro identità era ancora sconosciuta.


Un ulteriore dato emerso dall’analisi del traffico telefonico ha, però, aggiunto un altro tassello decisivo: le tre utenze, nel pomeriggio del 5 maggio, quindi poche ore dopo la rapina, avevano agganciato per varie ore le “celle telefoniche” nei pressi della stazione centrale di Milano.


Sulla scorta di questa informazione, attraverso la consultazione della Banca Dati in uso alle Forze di Polizia, si è proceduto ad una verifica dei cittadini rumeni controllati presso il capoluogo meneghino nei primi giorni di maggio e, da una cernita delle foto segnaletiche di questi, sono stati individuati 3 soggetti che erano stati controllati in corso Buenos Aires e condotti in Questura dagli Agenti del Commissariato “Lambrate” nel pomeriggio del 5 maggio.

I tre erano stati identificati in HOANCA Laurentiu Valentin classe ‘85, MIHALCEA Daniel Ionut classe ‘91 e TOADER Ninel Georgel classe ’91.
Il confronto tra le foto dei tre soggetti controllati dai poliziotti milanesi ed i fotogrammi estratti dalle registrazioni che immortalavano i tre responsabili della rapina, costituiva ulteriore conforto alla ricostruzione che si stava delineando.


Il tassello definitivo veniva inserito grazie all’individuazione fotografica effettuata dalla vittima, la quale riconosceva in TOADER colui che per primo lo aveva aggredito con una gragnuola di pugni ed in MIHALCEA colui che gli aveva materialmente sottratto il borsello e l’orologio, mentre non riconosceva l’HOANCA che, probabilmente, per la concitazione, non aveva visto bene in volto.
Alla completezza della ricostruzione hanno contribuito anche i plurimi controlli subiti dai tre, insieme, in varie città di Italia.
Nei confronti dei tre rapinatori è stata dunque emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere e, stante la loro irreperibilità sul territorio nazionale, il PM titolare dr.ssa Daniela NUNNO ha chiesto ed ottenuto l’emissione di Mandato d’Arresto Europeo.


Attraverso il pronto coinvolgimento del Servizio Centrale di Cooperazione Internazionale di Polizia, è stata immediatamente attivata la Polizia rumena che, nel breve volgere di pochi giorni, ha comunicato l’avvenuto arresto di MIHALCEA Daniel Ionut, TOADER Ninel Georgel ed HOANCA Laurentiu Valentin, in esecuzione del provvedimento dell’AG Italiana: mentre i primi due sono stati raggiunti dal provvedimento all’interno di una Casa di reclusione rumena, dove sono reclusi in espiazione di delitti commessi in Romania, l’HOANCA, in data 1 dicembre, è stato rintracciato e tratto in arresto dalla Polizia Rumena e sono state avviate le procedure per la consegna all’Italia.

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Parma, coordinati dalla locale Procura della Repubblica (P.M. dott. Andrea Bianchi), hanno eseguito a Saronno (VA), Vittuone (MI), Limbiate (MB) e Chianciano (SI) un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari parmense a carico di: Magamadov Shamil, russo, classe 1995, Di Marco Maurizio, classe 1973, Ciccone Marco, classe 1995, Saad Soufiane, marocchino, classe 1992, Di Fazio Antonio, classe 1973, Bonomolo Denise, classe 1994, e Bellavista Marianna, classe 1981, tutti residenti in provincia di Varese.

Nel dettaglio il G.I.P. ha disposto il carcere per i primi 5 e gli arresti domiciliari per le ultime due indagate.

Rapina aggravata in concorso, porto illegale di un’arma da fuoco e ricettazione i reati contestati, con la recidiva specifica e reiterata per Di Marco e quella infraquinquennale per Magamadov. Quest’ultimo, unitamente a Ciccone Marco, è indagato anche per il reato di furto aggravato commesso su cose destinate a pubblico servizio.

Le indagini si riferiscono ad un episodio occorso il 3 dicembre 2018, allorquando veniva consumata una rapina all’Ufficio postale di Ponte Taro (PR).

Quella mattina la direttrice, alle 07.50 circa, mentre – come di consueto – si accingeva ad aprire la filiale veniva sorpresa alle spalle, cinta per il collo e costretta a consentire l’ingresso a tre individui con il volto travisato con un passamontagna. La dirigente veniva quindi minacciata con una pistola perché aprisse la cassaforte ed avvertita di fare “la brava” poiché un quarto complice ne controllava il figlio, lasciando intendere che quest’ultimo avrebbe potuto subire conseguenze in caso di “incidenti di percorso”.

Poiché durante le operazioni di apertura la vittima, costretta a stare in ginocchio con la pistola puntata alla testa, aveva sbagliato nella digitazione del codice di sblocco, uno dei malviventi le stringeva la sciarpa intorno al collo minacciandola di morte in caso di un ulteriore errore e per rendere l’intimidazione più convincente sfilava il caricatore dalla pistola mostrandole i proiettili sì che comprendesse non trattarsi di un’arma giocattolo.

Apertasi la cassaforte, i malviventi ne svuotavano il contenuto, pari a 30 mila euro e si allontanavano portando con sè anche il telefono cellulare della direttrice, il contenuto del suo portafogli e la sua borsa frigo in cui riponevano il bottino; all’uscita incrociavano alcuni agenti di un istituto di vigilanza, uno dei quali tentava di inseguirli. I tre rapinatori riuscivano comunque a dileguarsi fuggendo in diverse direzioni nelle vie e nei campi limitrofi, non prima di aver verosimilmente tentato di sparare all’indirizzo dei vigilanti (come è apparso dal prosieguo delle indagini).

Le ricerche, subito attivate, consentivano di rinvenire abbandonata dai rapinatori lungo la via di fuga, una pistola marca Zastava, completa di caricatore. In un casolare di campagna nei pressi della A15, venivano recuperati alcuni capi di abbigliamento riconducibili – come dimostrato dai successivi approfondimenti investigativi - ai rapinatori e parte della refurtiva, pari a 3.400 euro circa, all’interno della borsa sottratta alla direttrice.

Il giorno successivo, il 4 dicembre, i responsabili della società autostrade A15 – Cisa denunciavano il furto di vestiario ad alta visibilità avvenuto presso il magazzino sito in prossimità del casello di Parma Ovest nella mattina del giorno precedente.

La visione delle immagini del sistema di video sorveglianza consentiva di appurare che intorno alle 09.20 del 3 dicembre (e dunque poco dopo la consumazione della rapina di cui si discute) due persone avevano asportato il materiale in argomento; si erano quindi recati in un negozio di abbigliamento all’interno di un centro commerciale ove avevano acquistato nuovi vestiti per cambiarsi ed allontanarsi definitivamente.

Pochi giorni dopo, il 6 dicembre, nel corso di ulteriori sopralluoghi, i Carabinieri rinvenivano in località Fraore di Parma, in un’area pubblica, la Fiat Panda, risultata rubata a Lainate (MI) il 16 ottobre 2018 ed utilizzata verosimilmente dai rapinatori per raggiungere Ponte Taro. I sistemi di videosorveglianza urbani (OCR) registravano plurimi transiti del veicolo nelle giornate dell’1 e del 3 dicembre, quest’ultimi avvenuti poco prima della consumazione della rapina e subito dopo.

Il puzzle investigativo quindi andava progressivamente componendosi.

Una tessera rilevante era costituita dalla identificazione certa, operata dai Carabinieri del R.I.S. di Parma, dell’indagato Magamadov Shamil: da un jeans abbandonato nel casolare di campagna - ove era stata rinvenuta anche parte delle refurtiva - venivano estrapolate tracce biologiche riconducili al predetto Magamadov il cui profilo era presente in banca dati in quanto già responsabile, nel 2011, da minorenne, di una rapina a mano armata (reato per il quale, al momento del delitto di Ponte Taro, il predetto era sottoposto alla misura alternativa alla detenzione in carcere dell’affidamento ai servizi sociali).

Anche dagli altri capi di abbigliamento rinvenuti nel casolare (un pantalone di una tuta ed una maglietta), il R.I.S. estrapolava tracce biologiche appartenenti però ad un profilo in quel momento ignoto e che le successive indagini dei militari del Nucleo Investigativo avrebbero poi ricondotto a Ciccone Marco.
Il quadro indiziario a carico dell’indagato di origine russa veniva ulteriormente rafforzato dall’esame dei frame – estrapolati dalla videosorveglianza - che ritraevano gli autori del furto di vestiario ad alta visibilità presso il magazzino della società autostrade CISA: il confronto fotografico consentiva di concludere per la corrispondenza antropometrica tra uno degli autori del furto aggravato in concorso e Magamadov.


Gli accertamenti del RIS sulla pistola abbandonata dai rapinatori consentivano inoltre di:
- appurare l’efficienza dell’arma ed accertare che un rapinatore aveva anche tentato di utilizzarla sparando, verosimilmente, contro l’agente dell’istituto di vigilanza, ma si era inceppata;
- estrarre dalla tamponatura della stessa pistola un profilo genotipico che i successivi approfondimenti condotti dai Carabinieri del Nucleo Investigativo -mediante attività tecniche di intercettazione, pedinamenti, analisi dei dati di traffico telefonico- hanno consentito di ricondurre all’indagato Di Marco Maurizio.
Incidentalmente va detto che, durante le operazioni di notifica dell’ordinanza, a Di Marco sono stati sequestrati 214 grammi di cocaina e 154 grammi di marijuana, circostanza che gli è valsa anche l’arresto in flagranza di reato ex art. 73 DPR 309/90, vicenda per la quale si procede separatamente.
Dell’indagato Ciccone, i militari del Nucleo Investigativo avevano solo un frame che lo ritraeva presso il magazzino della società autostrade Cisa ed il vicino centro commerciale ed un profilo genotipico appartenente a soggetto non censito: occorreva attribuirgli un’identità.

Le attività tecniche sviluppate dai Carabinieri hanno consentito di ricostruire la rete dei contatti degli indagati: in particolare, sono stati identificati alcuni soggetti che, estranei al fatto criminale, avevano però con essi rapporti di conoscenza, dalla cui analisi si poteva giungere alla identificazione del Ciccone quale altro probabile autore del reato. L’esame successivo del DNA consentiva di acquisire ulteriori elementi indiziari tali da consentire anche per lui l’adozione della misura cautelare.
L’attività tecnica avviata dopo la cattura del Ciccone ed i riscontri ottenuti tramite l’esame dei transiti registrati dai varchi OCR della provincia consentivano di dare un nome agli altri complici nel reato.
In particolare venivano identificati Saad Soufiane, Di Fazio Antonio, Bonomolo Denise Bellavista Marianna: le due donne ed il marocchino Saad (già gravato da un provvedimento di espulsione) erano incaricati del supporto logistico con il compito di condurre le tre autovetture (due 500, intestate rispettivamente a Bellavista Marianna e Bonomolo Denise ed una Clio in uso a Saad Soufiane) “pulite” con cui il gruppo aveva raggiunto Parma e successivamente, dopo il colpo, di recuperare gli esecutori materiali della rapina; Di Fazio invece, rimasto all’esterno dell’Ufficio Postale, avente funzioni di “palo”.


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L’operazione odierna, portata brillantemente a conclusione, costituisce la dimostrazione di come, al di là degli arresti in flagranza di reato (di sovente legati a fortuite circostanze, quali la presenza sul posto o l’immediato intervento delle forze di polizia, non sempre possibile in casi siffatti), la pazienza certosina del lavoro investigativo consente di conseguire risultati migliori e comunque più completi.

Infatti, mai come nel caso di cui ci si occupa, la gravità indiziaria è stata raggiunta non solo nei confronti di coloro che hanno preso parte alla materiale perpetrazione della rapina (ovvero di quei soggetti che, in ipotesi, si sarebbe potuto arrestare in flagranza), ma anche di tutta una serie di persone che hanno fornito un contributo rilevante al buon esito della rapina stessa e che pertanto sono considerati a pieno titolo corresponsabili (almeno nella presente fase delle indagini preliminari) della rapina stessa: ci si riferisce al palo (che ha il ruolo fondamentale di sorveglianza del territorio in attesa che la rapina venga materialmente consumata), a chi accompagna i rapinatori sul luogo del delitto, chi effettua il recupero dei rapinatori nel luogo individuato per abbandonarvi il materiale pericoloso (auto rubata, capi di abbigliamento usati al momento della rapina, pistola).

Tali soggetti -il cui ruolo non sarebbe emerso se si fosse riusciti ad intervenire nell’immediatezza- rivestono un ruolo strategico nella perpetrazione della rapina e danno conto della meticolosità con la quale il colpo è stato preparato, senza lasciare nulla alla improvvisazione.

Si tratta di una tecnica che -per il grado di professionalità messo in campo- ricorda molto da vicino alcuni delitti perpetrati in zone del meridione, ove solo mediante la rigida distribuzione di ruoli, è possibile portare a compimento certi reati, senza lasciare nulla alla improvvisazione.


E tutto ciò non fa che esaltare ancora di più la sagacia investigativa messa in campo dagli organi investigativi (Procura e Polizia giudiziaria).

Pubblicato in Cronaca Parma

Nella serata di ieri, in esecuzione dell'ordinanza del GIP del 18.09.2019, i Carabinieri del NOR di Borgo Val di Taro hanno dato esecuzione alla misura degli arresti domiciliari nei confronti di un giovane ventenne per i reati di corruzione di minorenne e atti osceni in luogo pubblico.


Le indagini -condotte dalla Procura della Repubblica di Parma (PM dott. Fabrizio Pensa)- sono state avviate in data 16 agosto 2019 a seguito di una denuncia presentata al N.O.R. CC di Borgo Val di Taro dal padre della persona offesa, una bambina di 12 anni, il quale ha riferito che, alcuni giorni prima, un giovane di circa 20 anni, a bordo dell'auto, passando davanti ad un cinema, nei pressi del quale c'era la bambina, si era masturbato in presenza della predetta, facendole anche segno di salire in macchina.


Tale condotta integra contemporaneamente le ipotesi di reato di corruzione di minorenne (compimento di atti sessuali davanti a minori di anni quattordici al fine di farli assistere) e di atti osceni in luogo pubblico (che costituisce ancora reato quando è commesso nei luoghi abitualmente frequentati da minori, con conseguente pericolo che questi vi assistano).


Le indagini, condotte attraverso l'escussione a sommarie informazioni di diversi soggetti, tra cui i genitori della bambina e la madre di una sua amica, che la piccola stava aspettando fuori al cinema per poi essere accompagnata in piscina, hanno portato all'identificazione dell'indagato.


Raccogliendo, inoltre, le dichiarazioni di altre donne, è emerso che l'indagato, benché conosciuto come un bravo ragazzo privo di qualsivoglia precedente penale e di polizia, negli ultimi tempi aveva più volte assunto strani comportamenti, analoghi a quelli descritti, denudandosi anche per strada davanti a loro e in talune occasioni toccando le proprie parti intime.

Pubblicato in Cronaca Parma

I Carabinieri del Norm di Parma hanno dato esecuzione ad un'ordinanza del Gip di Parma del 05.09.2019 di applicazione della misura cautelare della custodia nei confronti di un soggetto nigeriano:
- Boniface Kennedy, nato in Nigeria il 13.03.1986, domiciliato in Parma
gravemente indiziato del reato di cessione continuata di cocaina, venduta ad una pluralità di soggetti in un arco temporale che va dal gennaio 2018 sino a maggio 2019.
In particolare, le indagini dei Carabinieri, coordinate dalla Procura della Repubblica di Parma (PM Arienti), hanno permesso di accertare una mole di spaccio pari a circa 575 dosi di cocaina per un valore economico stimato in circa 28.000,00 euro.


Lo spunto investigativo che ha dato avvio all’indagine trae origine dai servizi di controllo del territorio che avevano fatto constatare un’intensa attività di spaccio nei pressi del “Barilla Center” ad opera di un cittadino nigeriano.
L’attività investigativa ha permesso di identificare 10 assuntori, soggetti per lo più giovani, i quali hanno riferito, nel dettaglio, i tempi e i modi con cui, nel corso degli anni, avevano acquistato la droga, indicando periodi, quantità e somme pagate per le illecite vendite ed altresì riconoscevano il loro pusher, soprannominato “Tyson” tra le fotografie che sono state loro mostrate.


Le dichiarazione rese dagli acquirenti dello stupefacente sono state ritenute credibili in primo luogo, in quanto tutte connotate da precisione nella descrizione delle modalità degli accordi, della consegna dello stupefacente, dell’entità del prezzo pagato e del quantitativo ceduto nelle diverse occasioni. Le dichiarazioni accusatorie sono state rese da soggetti privi di legami tra loro, nonché privi di ragioni di astio, o, comunque di contrasto con l’indagato ed anche per tale ragione sono state ritenute quindi attendibili dal GIP che ha emesso la misura.


In particolare, condividendo in pieno l’impostazione della Procura di Parma, il Giudice ha ritenuto che nella fattispecie, pur a fronte di singole cessioni per piccoli quantitativi di droga, il modus operandi dimostrasse che l’indagato avesse a disposizione quantitativi molto consistenti, come dimostrato dalla ricostruzione effettuata in base alle testimonianze degli acquirenti escussi.
La ripetitività delle cessioni di stupefacenti, il numero consistente di clienti, le modalità di svolgimento dell’attività illecita, sono tutti elementi che denotano una costante disponibilità di quantitativi rilevanti di droga tali da risultare idonei allo spaccio di cocaina su vasta scala, mediante la movimentazione costante dello stupefacente per importi rilevanti. E’ stato altresì considerata la circostanza che l’indagato non svolga alcuna attività lavorativa, per cui la cessione di sostanza stupefacente risulta essere l’unica forma di sostentamento dello stesso.


Ciò ha consentito di ritenere sussistenti, a carico dell’indagato, sia i gravi indizi di colpevolezza sia l'attualità delle esigenza cautelare.
Anche questa indagine –portata pazientemente avanti dai CC su delega della Procura- testimonia dell’impegno costante dell’apparato inquirente teso a fronteggiare l’attività di spaccio effettuata nel territorio di Parma.

 

Pubblicato in Cronaca Parma