Sorpresa, certi alti magistrati sono collusi e strumentali ai partiti, schermati dalla indipendenza della magistratura che invece è riuscita a togliere lo scudo ai parlamentari i quali, almeno in teoria e sino a conclusione del mandato, avrebbero dovuto anch'essi godere di questo sacrosanto principio. Già nel 1985 Francesco Cossiga mandò un Generale di Brigata dei carabinieri alla sede dell'ANM e nel 2008 intervenne in diretta TV per "patolare" Luca Palamara intervistato da Maria Latella sulle dimissioni di Mastella dal Governo Prodi (da ascoltare). Ma che sorpresa!
Nella speranza che possano essere scagionate le due docenti della scuola primaria "Vittorino da Feltre", inquisite e sottoposte a processo relativamente a fatti che riguardano le modalità di esercizio della loro Autorità di Pubblici Ufficiali, riteniamo grave che alcune fonti istituzionali abbiano, a suo tempo, fornito ai cronisti le generalità delle due malcapitate, senza considerare che potrebbero anche essere innocenti (anzi lo sono fino a prova contraria) e quindi ulteriormente danneggiate dalla divulgazione del loro nome, per il solo giudizio di primo grado, sarà necessaria l'audizione di un centinaio di persone per accertare se la loro condotta è stata viziata da qualche illiceità. Un dato numerico che rende tutt'altro che granitiche le ipotesi accusatorie formulate.
L'inchiesta, per quanto è dato sapere, pare sia stata svolta senza che si sia ritenuto necessario il bisogno di avvalersi dell'ausilio o della consulenza di un qualche soggetto in possesso di una qualsivoglia abilitazione all'insegnamento nella Scuola Statale, sono stati invece ritenuti fondamentali i contributi, in funzione accusatoria, di rispettabilissimi professionisti che esercitano attività diverse dalla funzione docente. Quanto sopra sta avvenendo con il colpevole silenzio di tutti i responsabili dell'Amministrazione Scolastica del nostro territorio, i quali, forti della mitezza che contraddistingue gli insegnanti, lasciano sempre il corpo docente indifeso, dimenticandosi che il datore di lavoro deve anche garantire i dipendenti dal patimento di eventuali danni.
Gli attuali gestori dell'Ufficio Scolastico Regionale del Ministero dell'Istruzione non ci risultano particolarmente sensibili a questa necessità. Una forma mentis che talvolta si tramuta anche in una punizione preventiva inflitta prima del triplice grado di giudizio, prima o poi qualcuno dovrà rispondere di ciò. Per noi questo è un problema anche politico e per questo invochiamo che in quel di Bologna vi sia un ricambio urgente. In questo caso piacentino abbiamo notato un ulteriore elemento poco confortante offerto dalla giurisprudenza ad un corpo docente già afflitto da scarse tutele: uno scolaro presunto testimone di condotte contra legem, seppur non annoverato tra le parti offese, viene considerato comunque potenziale danneggiato, tanto da ammetterne la costituzione parte civile nel processo. Intanto, visti i continui procedimenti penali di cui sono purtroppo ricche le cronache, nessuno continua a chiarire quali strumenti debbano avere gli insegnanti a loro disposizione per garantire regolari lezioni.
Non vogliamo entrare nel merito del caso della "Vittorino da Feltre", in quanto non conosciamo gli atti, ma approfittiamo di quest'occasione per chiedere che il legislatore statuisca cosa bisogna fare di fronte a comportamenti non conformi di soggetti spesso infraquattrodicenni, che in violazione delle norme consuetudinarie (in quanto tali anch'esse fonte del diritto), contenute nel Galateo compromettendo il diritto degli altri discenti di seguire le lezioni. Il Pubblico Ufficiale ivi presente quando richiama e redarguisce un soggetto indisciplinato commette un reato? Vessa psicologicamente?
Quando il Pubblico Ufficiale contiene fisicamente soggetti vivaci, che possono creare situazioni di pericolo per la loro e l'altrui incolumità, esercita una legittima funzione autoritativa o commette un abuso? L'insegnante che non viene messo in condizione di poter tenere una lezione a causa di certi comportamenti è legittimato a sospendere la stessa senza che sia passibile di provvedimenti? Sottoponiamo a tutti il seguente quesito: perchè fino ad una ventina d'anni fa gli insegnanti severi erano rispettati ed oggi vengono arrestati?
Salvatore Pizzo
Coordinatore Gilda degli Insegnanti Parma e Piacenza
Sede di Parma – Borgo delle Colonne 32 -43121 - Parma
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SEDE DI PIACENZA: Via S. Marco, 22 – 29100 Piacenza
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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia esprime la sua posizione.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia – a fronte dell’imminente entrata in vigore dell’art. 1 lettere d), e) ed f) della legge n. 3 del 16 gennaio 2019, che prevede di fatto l’abolizione dell’istituto della prescrizione (perché di questo in effetti si tratta dal momento che, una volta sospesa, non riprenderà mai) – condivide l’opinione contraria di tutta l’avvocatura e di eminenti giuristi che hanno individuato in tale riforma una gravissima violazione dei principi previsti dalla Costituzione e che riguardano la ragionevole durata del processo e la presunzione di non colpevolezza.
Tale riforma, proprio perché non pone un limite di durata al processo penale, finirebbe per protrarre per l’intera vita della persona la condizione di indagato o di imputato, anche se assolto, e non consentirebbe mai alle persone offese di vedere terminare i processi per i fatti di cui sono state vittime.
In altre parole, l’abolizione della prescrizione si risolverebbe in una negazione di giustizia per tutti, contravvenendo ai più elementari principi di equità e civiltà, universalmente riconosciuti.
Per queste ragioni il COA di Reggio Emilia ha deciso di rinnovare l’invito a tutte le rappresentanze dell’Avvocatura affinché si facciano portatrici della richiesta di abrogazione della norma che dispone la sospensione – di fatto, la cancellazione – dell’istituto della prescrizione.
L'Italia. Un paese dove in molti ormai hanno perso fiducia nella giustizia. La stima proviene da un sondaggio svolto da SWG per conto dell'Associazione "Fino a prova contraria". Secondo il sondaggio due terzi degli Italiani ormai non crede più alla magistratura e alla certezza della pena.
Storie di ordinaria follia si susseguono ormai quotidianamente nel nostro paese. Pedofilia, stupri e omicidi sono all'ordine del giorno, e seppur si dica che siano diminuiti certi reati, la verità è che il carnefice spesso la passa liscia o con pena ben più leggera di quanto ci si aspetterebbe, fruendo di sconti di pena, misure di detenzione alternativa o di strutture alternative come le Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) che nel tempo hanno sostituito gli ex ospedali psichiatrici, grazie alla consueta e spesso frequente incapacità d'intendere e volere.
Ogni giorno si susseguono casi brutali come quello avvenuto a Roma sul giovane Luca Sacchi, ucciso con un colpo di pistola alla testa dinanzi ad un Pub, mentre cercava di difendere la sua fidanzata da una rapina. Luca aveva solo 24 anni. Come il caso del commerciante reggiano di 61 anni che per 15 anni ha compiuto abusi sessuali sulle due nipoti con le quali aveva sempre vissuto; una di loro era disabile. Una storia finita addirittura con uno sconto di pena, e quindi solo 6 anni di reclusione anziché 7 anni e 4 mesi. Il tutto con la possibilità di uscire anche prima dal carcere per buona condotta.
Storie terribili e quotidiane come l'omicidio di Filomena Cataldi, avvenuto a San Polo di Torrile (PR), dove un vicino di casa, approfittando della propria superiorità fisica, ha brutalmente assassinato con violenza a seguito di una premeditazione, una donna gracile, che mai avrebbe fatto del male a qualcuno. L'omicidio di Filomena, donna conosciuta, amata ed apprezzata da un'intera comunità, è stato punito con una semplice detenzione in REMS per 10 anni per via dell'incapacità d'intendere e volere del carnefice, salvo successivamente valutare la possibilità di un suo reinserimento in società. Insomma famiglie distrutte e il carnefice graziato.
Tutto questo non può essere accettato dall'AVRI e a tal proposito inviamo le dichiarazioni del presidente, Angelo Bertoglio, e dei coordinatori Emilia e Parma, Domenico Muollo e Nicola Scillitani.
"Sono circa 1100 i delinquenti ergastolani che dopo la sentenza della Corte costituzionale sull'ergastolo ostativo, potranno fare richiesta di permessi premio anche in assenza di collaborazione con i magistrati. Come riportato da diversi organi di stampa nelle scorse ore, tra gli oltre 1100 ci sono anche boss mafiosi siciliani Leoluca Bagarella, Giovanni Riina, figlio di del "Capo dei capi" Totò Rinna, gli stragisti Filippo e Giuseppe Graviano; il boss catanese Salvatore Cannizzaro. Ma anche i camorristi dei casalesi, Francesco «Sandokan» Schiavone, Michele Zagaria, l’ex “Re” di Ottaviano Raffaele Cutolo. Non mancano neppure i capi delle ’ndrine calabresi di Gioia Tauro Domenico e Girolamo Molè. Vi rendete conto? Oltre alla già sopracitata lista di galantuomini, ci sono anche terroristi, trafficanti di droga, contrabbandieri e responsabili di reati gravi, come la pedopornografia. Questa “fenomenale” sentenza della Corte Costituzionale, segue la pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo e modifica la norma sul cosiddetto ergastolo ostativo - carcere duro. Una sentenza che non passerà in sordina, visto che non riguarderà solo quei circa 1100 galantuomini, ma anche chi sta scontando pene minori per Mafia, terrorismo, ViolenzaSessuale aggravata, Corruzione e in generale i reati contro la pubblica amministrazione. Tutti reati che sino ad oggi impedivano la concessione di qualunque beneficio penitenziario nel presupposto della pericolosità sociale del condannato. Questa sentenza che si è limitata ai permessi premio e non ad altri benefici penitenziari, potrebbe creare un precedente per la concessione di altri benefici penitenziari. Ora vedremo chi intenderà dare battaglia politica e parlamentare seria, ferma e dura su questo scempio e chi invece deciderà di applaudire a tutto questo o peggio chi deciderà di rimanere in silenzio. In Italia, purtroppo, aleggia un grande silenzio per le famiglie delle vittime. Un silenzio assordante nei confronti dei nostri uomini in divisa, ormai per nulla tutelati e per tutte le In-giustizie che accadono ogni giorno. Un silenzio verso quegli italiani che chiedono aiuto simile a quello "offerto" a quelle famiglie che muoiono di fame e che vengono sbattute fuori dalle prorie case, pur non avendo un posto dove andare. Ogni giorno uomoni in divisa vengono ammazzati e cosa si decide di fare ad esempio?! Si toglie la scorta al Capitano Ultimo. Il silenzio continua ad essere predominante per le vittime e per gli italiani, quando invece per la tutela dei carcerati, si odono fin da lontano urla di rivendicazione per i loro diritti negati. Tutto questo mentre il diritto per la vita delle persone oneste, viene negato. Viviamo ormai in un un paese anomalo e bisogna lottare duramente per cambiarlo, riformarlo, riscriverlo totalmente per ridare la certezza al diritto della giustizia e alla dignità per le vittime e per le loro famiglie. ". (Angelo Bertoglio - presidente Avri).
“In un paese normale tutto questo non succederebbe. E’ assurdo concedere premi e “regali” a veri e propri criminali. Sono le vittime che dovrebbero ricevere tutela, dignità e giustizia. Non è accettabile che un assassino, uno stupratore, un pedofilo, un mafioso o un camorrista, debbano ricevere delle tutele quasi maggiori di famiglie ai quali sono stati strappati i loro cari per esempio. Occorre invero fare tutto il contrario. Garantire certezza della pena e inasprire le pene per i reati peggiori. I criminali non devono passarla liscia. Bisogna cancellare sconti di pena, attenuanti e misure alternative per incapacità d’intendere e volere. Un criminale deve andare in galera lì deve rimanere. Non è possibile che una donna violentata, debba sapere che il suo carnefice possa prendere pochi anni di galera e che possa vederlo nuovamente libero a girare per le sue stesse strade. Faremo opposizione durissima a tutto questo!”. (Domenico Muollo e Nicola Scillitani - coordinamento Emilia e Parma).
Incapace di intendere e di volere, quindi assolto l'omicida di Filomena Cataldi. Dovrà scontare 10 anni in una struttura sanitaria, il REMS, sperando che da lì non fugga e vada a soddisfare le sue nuove ossessioni. Il rinnovato appello alle parlamentari parmigiane per intraprendere un percorso di correzione del quadro normativo di riferimento.
Di LGC Parma 12 giugno 2019 - Il Giudice Mattia Fiorentini ha emesso la sentenza e, a fronte di due perizie che stabilivano l'incapacità di intendere e di volere, ha "condannato" l'assassino di Filomena Cataldi a "curarsi" per 10 anni presso il REMS (Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza).
Per quanto sconcertante e quindi per certi versi comprensibile l'innalzamento dei toni contro la sentenza, occorre pensare che, con l'attuale quadro normativo non poteva andare diversamente. Una posizione "popolare" che si era evidenziata anche nel sondaggio del 30 marzo e che aveva palesato come la stragrande maggioranza dei partecipanti (85%) fosse per la cura del soggetto ma in una struttura carceraria.
Un quadro normativo, quello attuale, che non garantisce un'equa giustizia e per di più non protegge i familiari delle vittime i quali, al senso di ingiustizia, devono portarsi addosso il fardello dei costi diretti e indiretti di un tale tragico e inimmaginabile evento.
Giustizia e etica, stando così le cose, vengono massacrate e proprio nel paese che dovrebbe essere la culla della giustizia e della cultura non può permettersi un tale paradosso e una così grave "lacuna giudiziaria".
E' proprio per queste ragioni che, nel nostro articolo dello scorso 16 marzo, Rosangela l'amata sorella di Filomena, oltre a raccontare i vari dettagli legali della vicenda e le difficoltà nelle quali tutti i familiari si trovavano, aveva lanciato un invito alle parlamentari parmigiane affinché, coinvolgendo anche altre colleghe di altri schieramenti, si facessero promotrici di una campagna legislativa a favore delle vittime dei reati violenti.
Questa sentenza riapre nuovamente le ferite, che peraltro non si erano ancora rimarginate, ma vogliamo credere possa essere un rinnovato stimolo per far intraprendere il nuovo percorso legislativo che vada a colmare lacune immense.
Cristiano Manuele Segretario Provinciale PSI: Giustizia per Filomena Cataldi -
Di Nicola Comparato - La triste storia di Filomena Cataldi, strappata alla sua famiglia e ai suoi amici più cari da Guelin Fang, di origini cinesi e vicino di casa della vittima ha scosso moltissimo gli animi delle persone, prime fra tutte la sorella Rosangela e la figlia Martina.
Era il 22 agosto del 2018 quando Filomena venne uccise da Fang nella sua abitazione. L'uomo, ora "detenuto" presso la Rems di Mezzani in provincia di Parma, perché ritenuto incapace di intendere e di volere, era convinto che Filomena lo perseguitasse e che stesse tramando contro di lui per ucciderlo. Una cosa senza senso. Un motivo assurdo che ha permesso all'omicida di evitare la detenzione in carcere.
Molti gli appelli e le richieste da parte della famiglia Cataldi e degli amici di Filomena per portare giustizia ed evitare che altre famiglie vivano la loro stessa e terribile situazione. Dalla richiesta di chiusura della Rems di Mezzani che in quanto a sicurezza lascia a desiderare, tenendo conto delle varie evasioni dall' interno della struttura, alla pena da scontare in carcere per assassini, pedofili e stupratori indipendentemente dalla capacità di intendere e di volere, fino alla richiesta dell'istituzione di un fondo governativo per le famiglie vittime di violenza, altrimenti costrette a pagare tutte le spese legali senza la disponibilità di un patrocinio gratuito.
Cristiano Manuele Segretario del Partito Socialista Italiano Federazione di Parma e provincia, che da tempo segue la situazione scrive:
"I Socialisti del Parmense ed in particolare il Direttivo Femminile coordinato da Rosina Trombi, sono da sempre solidali con le famiglie che hanno subito lutti quale conseguenza di crimini efferati. Ricordardo che solamente nel nostro territorio la scia di sangue è molto lunga, molte le donne uccise in questi ultimi anni: Maria Virginia Fereoli, Silvia Mantovani, Elisa Pavarani, Arianna Rivara, Rita Pissarotti, Michelle Campos, Alessia Della Pia, La Kelly e Gabriela Altamirano, Emilia Cosmina Burlan, Domenica Menna, Simonetta Moisè, Ave Ferraguti, Gouesh Woldmichael Gebrehiwot detta Elsa, Dolores Leonardi, Dino Curi Huansi e la mai ritrovata Florentina Nitescu, e consapevoli che nessuna di queste deve essere dimenticata, ci impegneremo, come fatto in passato, in qualsiasi campagna di sensibilizzazione ed educazione. Siamo convinti infatti che questa scia di crimini particolarmente odiosi, perché commessi ai danni delle donne, non sia la reale fotografia della società parmigiana ma un fenomeno negativo che deve essere arrestato con la sinergia delle amministrazioni locali, provinciali e regionali. Alla lista, purtroppo si aggiunge Filomena Cataldi. Ciò che è successo a Filomena è terribile! Mi piacerebbe incontrare la famiglia Cataldi per esprimere personalmente il mio dispiacere. Noi socialisti siamo sempre dalla parte dei più deboli e delle persone che subiscono violenza e ingiustizie. La famiglia Cataldi può contare su noi, la nostra porta è sempre aperta. Rosangela e Martina non saranno lasciate sole. Siamo contro la violenza sulle donne. Giustizia per Filomena Cataldi."
Giustizia. Più vicina ai cittadini, sessanta Uffici di Prossimità in tutto il territorio regionale per consulenze, tutele e informazioni: non sarà più necessario recarsi nei Tribunali per le pratiche che non necessitano di un legale. Oltre due milioni di euro all'Emilia-Romagna
Firmato in Regione il "Patto per una giustizia più efficiente, integrata, digitale". L'assessore Petitti: "Un tema per noi fondamentale, col quale si misura anche il tasso di democraticità della società regionale. Lo dimostrano le tante iniziative che in questi anni abbiamo sostenuto, come il progetto Justice-ER e il protocollo per l'assegnazione temporanea di nostro personale agli uffici giudiziari"
Bologna – Circa sessanta Uffici di Prossimità realizzati in Emilia-Romagna, distribuiti in tutto il territorio regionale. Si tratta di un progetto del Ministero della Giustizia che prevede la creazione di una rete nazionale di punti servizio che consentirà ai cittadini di non recarsi più nei tribunali per tutte le pratiche che non necessitano dell'assistenza di un legale. Con considerevoli vantaggi per quanti risiedono in territori periferici e, dunque, hanno difficoltà ad accedere agli uffici giudiziari.
La novità è stata illustrata oggi in Regione, a Bologna, in occasione della firma del Patto regionale "Per una giustizia più efficiente, integrata, digitale e vicina ai cittadini". Il progetto, di cui l'Emilia-Romagna è prima firmataria in Italia, è finanziato nell'ambito del Piano operativo nazionale (Pon) Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020, rispetto al quale la Regione stessa ha già manifestato il proprio interesse. All'Emilia-Romagna sarà destinato un budget di oltre 2 milioni 153 mila euro per un periodo di tre anni.
Alla sigla del Patto erano presenti l'assessora al Bilancio e Riordino istituzionale Emma Petitti e il sottosegretario del Ministero della Giustizia Vittorio Ferraresi. Fra gli altri intervenuti il presidente della Corte d'Appello di Bologna Giuseppe Colonna, il procuratore generale della Repubblica Ignazio De Francisci e, per la Regione, il direttore generale Risorse, Europa, Innovazioni e Istituzioni Francesco Raphael Frieri.
Il Patto regionale
Una giustizia più vicina ai cittadini, più efficiente, più integrata e più digitale. È l'obiettivo che si vuole raggiungere con il Patto regionale.
Fra le principali finalità, favorire l'interoperabilità tra i sistemi informativi della giustizia e quelli regionali e territoriali per agevolare l'accesso delle istituzioni e dei cittadini al sistema giudiziario e garantire una più agevole tutela dei diritti; promuovere il coordinamento tra Pubbliche amministrazioni territoriali e sistema giudiziari; sostenere progetti di formazione e ricerca sulla reingegnerizzazione dei processi e sull'organizzazione del sistema giustizia e/o dei flussi amministrativi; supportare i servizi del sistema giudiziario territoriale.
Uffici di Prossimità: compiti e risorse
Il progetto "Uffici di Prossimità" ha una dotazione finanziaria di 34 milioni di euro per l'attivazione delle strutture regionali (allestimento delle sedi, formazione del personale, informatizzazione e comunicazione sul territorio con iniziative). La ripartizione delle risorse regionali è stata definita sulla base di alcuni criteri come la dimensione demografica, l'impatto geografico delle sedi soppresse e le iscrizioni a carico pendente in volontaria giurisdizione.
In questi uffici si potrà, ad esempio, ottenere informazione e consulenza su tutele, curatele e amministrazioni di sostegno; reperire la modulistica adottata negli uffici giudiziari; avere un supporto per preparare per attività che non necessitano l'ausilio di un legale; depositare gli atti per gli uffici giudiziari in via telematica.
Le Regioni avranno un ruolo strategico di coordinamento al fine di un corretto dimensionamento e posizionamento dei presidi che potranno essere ospitati dai Comuni e dalle Unioni dei Comuni individuati a seguito di avviso pubblico di manifestazione di interesse.
"Una giustizia efficiente ed efficace– ha detto l'assessora al Bilancio e Riordino istituzionale Emma Petitti-non è solo un fattore di competitività e attrattività per le imprese e gli investimenti, che è tema di grande interesse per questa Regione che ha messo al centro della propria azione il lavoro. È anche un indicatore dell'equità di opportunità nella comunità regionale e garanzia di tutela dei diritti dei cittadini, del loro benessere, della forza amministrativa delle autonomie locali".
La centralità della giustizia per l'intero sistema regionale– ha aggiunto Petitti- è resa ancor più evidente dalle tante iniziative che la Regione in questi anni ha promosso e sostenuto in accordo con gli uffici giudiziari, come il progetto Justice-ER e il protocollo per l'assegnazione temporanea del personale regionale rinnovato lo scorso settembre. Tante iniziative che oggi trovano la loro cornice in questo importante Patto".
"Si tratta di un importante passo sulla strada di maggiori servizi ai cittadini. Questi uffici daranno più informazioni ma anche un sostegno tecnologico a quanti abbiano difficoltà di accesso alle strutture giudiziarie. L'Emilia-Romagna è la prima Regione che firma un Patto che segna l'avvio definitivo di queste nuove realtà", ha commentato il sottosegretario Vittorio Ferraresi. Per Giuseppe Colonna "Regione e Ministero sono stati un prezioso punto di riferimento in questo progetto", mentre Ignazio De Francisci ha ringraziato la Regione "per quanto è stato fatto in questi anni a favore della giustizia in Emilia-Romagna".
In foto: la firma del Patto regionale con l'assessora Petitti e il sottosegretario Ferraresi
Il Paese degli orrori si scopre innocente. Almeno 16 bambini furono sottratti alle famiglie di origine il parroco, accusato di essere il capo della setta, morì di crepacuore. 20 anni dopo la giustizia restituisce l'onore ma nel frattempo decine di vite sono state distrutte.
di LGC - Finale Emilia 8 gennaio 2018 - Dopo 20anni sono stati tutti assolti. Ma nel frattempo almeno 16 bambini - dell'epoca - sono stati sottratti alle famiglie di origine e mai più rientrati, l'irreprensibile parroco - Don Giorgio Govoni -, amato da tutti, accusato di essere il capo della setta satanica, che con la complicità degli stessi genitori e dei figli, celebrava i riti all'interno del cimitero per poi scaricare i corpi delle piccole vittime nel fiume Panaro, morì di crepacuore.
Non una prova venne raccolta contro gli accusati, non un video fu rintracciato (si raccontava che i riti venissero filmati) ma quanto raccolto, soprattutto testimonianze dei bambini, fu sufficiente per disporre l'allontanamento dei figli dalle loro famiglie, anche dei nascituri e di quelli nati successivamente ai fatti, nelle quali non fecero più ritorno.
Oggi invece, a venti anni di distanza, sono stati tutti assolti e il "Paese degli orrori si scopre innocente" come ha titolato Avvenire.it, di cui consigliamo la lettura per la precisa ricostruzione storica dei fatti e le testimonianze delle famiglie che hanno, e stanno ancora vivendo, un incubo dal quale sarà molto difficile risvegliarsi.
Una vicenda allucinante che nessuno vorrebbe leggere e tantomeno essere protagonista ma che invece è tragica attualità.
E ora chi paga? E quale potrà mai essere il risarcimento per ciascuna famiglia coinvolta, premesso che non esiste cifra in grado di soddisfare i danni morali delle decine di persone coinvolte?
La realtà, in questo caso, ha superato la fantasia dei migliori romanzieri noir.
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Ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione ribalta il giudizio e l'assoluzione riabilita due giovani che hanno comunque trascorso 4 dei più belli anni di gioventù dietro le sbarre.
di Lamberto Colla -
Parma 5 Aprile 2015 -
Un grosso respiro di sollievo per le famiglie dei due imputati di concorso in omicidio della povera Meredith Kercher, che vedono finalmente assolti i figli Amanda Knox e Raffaele Sollecito.
Due giovani che, dopo 8 anni di massima esposizione mediatica, dei quali si è detto di tutto e di più durante i due processi oggi, seppure con difficoltà, si apriranno a una nuova vita.
Una sedimentazione di negatività che non verrà mai più ripulita e un dolore che, forse solo parzialmente, sarà attenuato dai risarcimenti che lo Stato italiano riconoscerà, sempre che decidano di farne richiesta.
Ancora una volta l'assoluzione viene determinata dalla Corte Suprema di Cassazione. La stessa Corte che, in questo caso specifico, il 26 marzo 2013 annullò la sentenza assolutoria d'appello e rinviò gli atti alla Corte d'Assise d'Appello di Firenze. Per il procuratore generale di Perugia Giovanni Galati, la sentenza di assoluzione era "da cassare" poiché minata da "tantissime omissioni", "errori" e, quindi, da "inconsistenza delle motivazioni".
Il 30 gennaio 2014 la Corte d'Assise d'Appello di Firenze confermò la colpevolezza degli imputati condannando Amanda Knox a 28 anni e 6 mesi di reclusione e Raffaele Sollecito a 25 anni di reclusione e infine, un anno dopo, il 27 marzo scorso la Corte Suprema di Cassazione ha annullato senza rinvio le condanne per non aver commesso il fatto ponendo definitivamente la parola fine sul caso giudiziario che ha avuto tanto eco internazionale da meritarsi le copertine dei più illustri giornali statunitensi e inglesi.
Una ragazza barbaramente assassinata e almeno una decina di vittime che, a vario titolo, rimarranno ferite dalla vicenda giudiziaria.
Oltre ai due ragazzi e ai loro congiunti, un pensiero deve andare ai familiari di Meredith che rimarranno con il dubbio che giustizia non sia stata ottenuta pienamente.
Infatti, Rudy Hermann Guede, che aveva optato per il rito abbreviato, fu definitivamente condannato a 16 anni di reclusione per concorso in omicidio e violenza sessuale mentre chi avrebbe dovuto concorrere all'omicidio, Raffaele e Amanda, sono stati finalmente assolti. Il dubbio perciò che altri abbiano partecipato al delitto e siano ancora in circolazione sarà difficilmente alienabile dalla mente del papà e della mamma della giovane studentessa inglese.
Un processo certamente difficile, vissuto troppo mediaticamente, che ha scatenato una diffusa curiosità morbosa da parte di una opinione pubblica malata di gossip.
Alla fine, la giustizia ha fatto il suo corso, restaurando le vite di due giovani sepolti dalla disperazione, dalla vergogna e dalla incredulità di essere entrati nel tritacarne della giustizia italiana alla quale però infine devono essere riconoscenti.
E ancora una volta occorre che tutti ringraziamo l'istituzione del terzo grado di giudizio, quella Corte Suprema di Cassazione che ha il coraggio e l'onestà di ribaltare le sentenze riportando la bilancia della giustizia in posizione di equità. Un collegio di giudici il cui operato non può essere invidiato per le responsabilità morali che sono chiamati ad assumersi verso la società e spesso verso i loro colleghi che hanno giudicato nei precedenti gradi di giudizio.
Un argine di garanzia forte al quale sempre più spesso occorre fare ricorso ma, purtroppo, non tutti hanno le disponibilità economiche per farsi assistere sino alla fine. Un limite discriminante per coloro che, oltre all'aria nei polmoni per gridare la propria innocenza, non hanno mezzi sufficienti per approdare al terzo grado di cassazione.
La legge è uguale ... quasi per tutti ma per fortuna la "Corte di Cassazione" c'è e un grazie è doveroso offrire a quelle donne e a quegli uomini di legge che ne fanno parte, onorando la toga e la nazione.
Ma una riflessione sul sistema di giustizia italiano sarebbe opportuno farla.
A partire dalle modalità di indagine, dall'utilizzo smodato delle intercettazioni telefoniche e dalla loro diffusione frequentemente pilotate, da una parte o dall'altra, nel tentativo, spesso riuscito, di condizionare l'opinione pubblica.
Sono solo alcuni esempi ai quali aggiungerei l'eccessiva spettacolarizzazione dei processi ma addirittura delle indagini arrivando al punto che, l'avviso di garanzia, anzichè un amisura di tutela dell'indagato si trasforma, per l'opinione pubblica, in una sentenza di colpevolezza perché spesso collegata a aridissime e incomplete intercettazioni telefoniche, "sfuggite" alla privacy, e giustamente riportate sui giornali. Un percorso che, come ovvio, condiziona l'opinione pubblica e, in certa misura, anche gli stessi procedimenti giudiziari in corso.
E in queste malsane consuetudini i giornalisti stessi rischiano di essere i portatori di frammenti di trascrizioni anonime, parole prive di alcun sentimento dove, ovviamente, i toni e le inflessioni della voce non possono essre trascritti. Documenti spesso stracolmi di - OMISSIS - e di commenti dell'ufficiale trascrittore che ne può influenzare il giudizio ma che fanno tanto gola al pubblico sempre più pruriginoso.
Giornalisti quindi inconsapevoli vettori di informazioni incomplete e abilmente pilotate allo scopo di favorire una o l'altra parte.
Molto ci sarebbe da fare ma per il momento accontentiamoci del fatto che la Corte di Cassazione esiste.
(FOTO - Scott - Amanda Knox lascia il carcere di Perugia su un'auto insieme a Corrado Maria Daclon, segretario generale della Fondazione Italia USA)
La presidente Aiga Giorgi: "Bene l'apertura su termini perentori, semplificazione e nuova gestione dei tribunali. Ora attendiamo i fatti".
Roma, 14/08/2014 - Con un intervento pubblicato oggi (14/8/2014) dal Corriere della Sera (il testo integrale è riportato in calce al comunicato) il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha risposto alla lettera aperta che Nicoletta Giorgi, presidente di Aiga, Associazione italiana giovani avvocati, gli aveva inviato lunedì scorso. Dopo aver stimato in circa 40 milioni annui di risparmi gli effetti del processo civile telematico il ministro Orlando sostiene che "queste misure dimostrano come si può cambiare e innovare. Questo risultato – continua il titolare del dicastero della Giustizia - indica chiaramente che accanto a termini perentori per l'emissione dei provvedimenti giurisdizionali, le misure di carattere organizzativo e di semplificazione del processo sono in grado di agire efficacemente sulla contrazione dei tempi delle cause. È inoltre intendimento del Governo assicurare tutte le risorse necessarie per realizzare il programma di riforma sulla giustizia che stiamo adottando, in particolare per quelle misure che più incidono sulla riduzione dei tempi del processo. Con questi interventi non stiamo quindi perseguendo uno sterile miraggio di efficientismo, bensì stiamo realizzando un fondamentale obiettivo: quello di operare nella direzione di una maggiore effettività della tutela dei diritti dei cittadini".
Positivo il commento di Nicoletta Giorgi, presidente Aiga: ""Cambiare e innovare" si può – dice Nicoletta Giorgi citando uno dei passaggi-chiave della risposta del ministro - e questo è anche il pensiero dell'Aiga che raccoglie la risposta del ministro Orlando come un ulteriore segnale di impegno a riformare concretamente la Giustizia civile accogliendo le proposte dell'associazione relativamente a termini perentori, semplificazione e ad una nuova gestione organizzativa dei tribunali. Ora ci aspettiamo che la riforma dia effettivamente spazio a queste tematiche con il coraggio di andare fuori dagli schemi fino a ieri adottati e in questo intento Aiga darà il proprio contributo perché non venga meno la visione di insieme e di progettualità che la riforma dovrà avere".
Le lettera aperta di Aiga
La lettera aperta di Aiga (il testo completo è sul sito www.aiga.it) a firma di Nicoletta Giorgi conteneva punto per punto le proposte dell'associazione sulla riforma del processo civile. Tema centrale: la riduzione dei tempi del processo per garantire a tutti il proprio diritto alla difesa. Riduzione da attuarsi mediante una revisione della struttura del processo, la definizione di tempi certi per il pronunciamento dei magistrati, una loro specializzazione e tribunali che funzionino meglio anche attraverso l'inserimento di figure come quella di un manager.
La risposta di Orlando – il testo integrale pubblicato dal Corriere della Sera
Caro direttore,
la lettera dell'Aiga pubblicata ieri sul suo quotidiano coglie un dato importante riguardo alle misure sul processo civile, anche per contribuire a rilanciare la competitività del nostro Paese. Ringrazio l'Aiga, per aver compreso lo spirito della riforma che stiamo adottando. Non si tratta solo di norme che incidono sul processo civile, ma ci siamo sforzati di delineare un complesso organico di interventi che incidano anche sulla organizzazione della giustizia. Degiurisdizionalizzazione, informatizzazione, individuazione di nuovi moduli organizzativi del lavoro del giudice quali la costituzione dell'Ufficio del processo, sono quindi interventi che si accompagnano alle scelte di revisione del processo civile in termini di semplificazione e razionalizzazione dello stesso, anche introducendo momenti di accentuata specializzazione, come nelle materie dell'impresa e della famiglia. Le considerazioni che la lettera sviluppa costituiscono per questo un utile contributo per l'azione di riforma che vogliamo realizzare. Auspico che, in base a ciò, si realizzino sin da subito significativi risultati non solo in termini di complessiva efficienza, ma anche di riduzione dei tempi processuali. Già i dati sui risultati del primo mese di applicazione dell'obbligatorietà del processo civile telematico, attraverso il quale il sistema giustizia avrà un risparmio stimato di circa 40 milioni di euro annui, rassicurano in tale senso: nel procedimento per decreto ingiuntivo telematico, dalla data di iscrizione a ruolo al deposito telematico da parte dell'avvocato all'emissione del provvedimento telematico del giudice, si è passati da 15 a 6 giorni, con una riduzione media dei tempi di emissione presso gli uffici giudiziari italiani rispetto al mese precedente del 62%. Si tratta di segnali incoraggianti, sicuramente da soli non sufficienti, che tuttavia dimostrano come si può cambiare e innovare. Questo risultato indica chiaramente che accanto a termini perentori per l'emissione dei provvedimenti giurisdizionali, le misure di carattere organizzativo e di semplificazione del processo sono in grado di agire efficacemente sulla contrazione dei tempi delle cause. È inoltre intendimento del Governo assicurare tutte le risorse necessarie per realizzare il programma di riforma sulla giustizia che stiamo adottando, in particolare per quelle misure che più incidono sulla riduzione dei tempi del processo. Con questi interventi non stiamo quindi perseguendo uno sterile miraggio di efficientismo, bensì stiamo realizzando un fondamentale obiettivo: quello di operare nella direzione di una maggiore effettività della tutela dei diritti dei cittadini. Penso quindi che occorra proseguire negli sforzi congiunti per raggiungere questi obiettivi, coscienti che con l'Avvocatura, a partire dalle componenti più giovani, il confronto su tali temi possa proseguire con i risultati assolutamente proficui che sino ad oggi abbiamo ottenuto.