Dal 28 aprile al 1° maggio torna a Parma l'appuntamento per i più golosi: Il Gelato Festival, l'evento itinerante che tocca varie città d'Italia ed Europa premiando i migliori gelatieri, in gara con gusti originali creati per l'occasione
Parma, 25 Aprile 2016 -
Torna a Parma l'appuntamento per i più golosi: dal 28 aprile al 1° maggio Piazzale della Pilotta sarà invaso dalla dolcezza del “Gelato Festival”.
Un evento itinerante che tocca varie città l’Italia ed Europa, premiando i migliori gelatieri italiani e stranieri in gara con gusti unici, creati appositamente per l'occasione. A voltarli sarà direttamente il pubblico che avrà potuto degustarli, utilizzando la speciale Gelato Card, insieme ad una giuria di esperti.
La vera particolarità distintiva è rappresentata da tre truck realizzati per il festival: un laboratorio, uno spazio eventi, un luogo degustazione. A completare le giornate dedicate al gelato anche tanti eventi che vedranno protagonisti chef stellati, maestri gelatieri, nonché le più importanti e prestigiose imprese del settore, tutti insieme per raccontare il fantastico mondo del gelato all’italiana, le sue tradizioni ed i suoi segreti.
Tutte le info sul sito www.gelatofestival.it
Mercoledì 27 aprile, alle 20.30, la presentazione del libro curato da Stefano Andrini fa tappa a Modena, in un evento che al "sapore" della cultura abbina le specialità dello chef Luca Marchini, tra i personaggi che "si raccontano" nel volume.
MODENA – Tappa modenese per il tour che ha portato in giro per tutta l'Emilia Romagna, con grande presenza di pubblico, il libro "I segreti della cucina dell'Emilia Romagna" (Edizioni Giubilei Regnani). Il volume, curato da Stefano Andrini, racconta con lo stile del romanzo la grande epopea del "mettersi a tavola" che nella nostra regione non è solo una necessità, ma anche e soprattutto un piacere. Nel libro raccontano la loro esperienza, la loro storia e la loro passione chef, sindaci, comici, giornalisti, ma anche nonne e casalinghe.
Tra i protagonisti del capitolo dedicato a Modena, c'è anche Luca Marchini, chef stellato, che, nella zona della Pomposa, gestisce il ristorante L'Erba del Re, la Scuola di Cucina Amaltea e la Trattoria Pomposa "Al Re Gras". Proprio qui, mercoledì 27 aprile, alle 20.30, si tiene una serata conviviale tra cultura e buona cucina, nata in collaborazione con l'Associazione di Scrittori "I Semi Neri".
Tra una portata e l'altra, si parlerà del libro, ma anche dei protagonisti che hanno contribuito a rendere la cucina dell'Emilia Romagna una delle più conosciute e invidiate del mondo. Dialogherà con il curatore Stefano Andrini, la giornalista modenese Manuela Fiorini, che ha curato il capitolo dedicato a Modena. Intervengono lo stesso Luca Marchini e Daniela Ori, poetessa e scrittrice modenese, che nel volume ha raccontato la storia della sua famiglia, tradizionalmente legata all'Appennino e alle sue tradizioni culinarie.
Nel capitolo modenese sono presenti anche e testimonianze di una sfoglina e di una rezdora, che raccontano dell'arte di cucinare, un tempo peculiarità della donna di casa, oggi dote sempre più rara. Si parla anche della nascita leggendaria del tortellino e della lunga e curiosa storia della Piola delle Ortiche o, più semplicemente, La Piola, locale molto notoconosciuto, nato come una stazione di posta con cambio cavalli, poi osteria e, ancora osteria con cucina, da cui sono passati personaggi come Enzo Ferrari, Luciano Pavarotti, Renato Pozzetto, ma anche la Regina Elena di Savoia e la Principessa Elettra Marconi Giovannelli.
Il menù, tutto modenese, pensato per l'occasione comprende un antipasto con salumi misti e calza gatti, un primo piatto con gramigna con salsiccia, un secondo con coppa di maiale cotta nel forno a legna con purè di patate e, dulcis in fundo, budino di cacao amaro e crema all'arancia. Il tutto accompagnato da acqua e lambrusco di Sorbara. Possibilità di piatti alternativi per intolleranti e vegetariani da comunicare all'atto della prenotazione. Il costo a persona è di 25 euro, tutto compreso.
INFO E PRENOTAZIONI
Trattoria Pomposa "Al Re Gras"
Via Castel Maraldo 57, ang. Via del Voltone 1, Piazza Pomposa (Modena)
Tel 059/214881 – www.trattoriapomposa.it
Il nuovo dolce che fa impazzire i newyorkesi è la Raindrop Cake: la torta più delicata al mondo che si presenta come una grossa goccia di acqua caduta accidentalmente nel piatto. L'inventore è lo chef di origini giapponesi Darren Wong.
Di Chiara Marando -
Sabato 23 Aprile 2016 -
Stanchi dei soliti dolci? Vorreste una fetta di torta ma la classica crostata vi ha stancato?
Bene, allora provate la nuova Raindrop Cake, non un semplice dessert ma qualcosa di originale...molto originale. A guardarla non viene proprio in mente di mangiarla, sembra una grossa goccia d'acqua caduta accidentalmente nel piatto che, per chissà quale strana legge della chimica o magia, rimane in forma. In realtà si tratta dell'ultima invenzione che sta facendo impazzire New York, ad opera dello chef di origini giapponesi Darren Wong.
Ed effettivamente, l'ispirazione alla cucina giapponese c'è e arriva dai Mochi, ovvero i famosi involtini di farina di riso, ma a differenziarla è l'aggiunta di agar, un'alga gelatinosa. La vera difficoltà, come ha spiegato Wong, sta nel bilanciare gli ingredienti per raggiungere la giusta consistenza, un segreto che solo lui conosce veramente.
Il risultato è il dolce più delicato al mondo che deve essere consumato entro 30 minuti, prima che evapori. Certamente, il suo aspetto risulta estremamente affascinate ed è molto difficile credere che possa essere appetitoso, ma il suo creatore giura che il sapore sia dolce e delicato – forse un po' troppo delicato ndr. - nonché piacevolmente zuccherino.
E se si osserva il successo ottenuto dalla Raindrop Cake, pare che Darren Wong abbia proprio ragione: davanti al suo banchetto di Smorgasburg, il noto mercato metropolitano di Brooklyn, ogni giorno c'è sempre una fila di avventori desiderosi di aggiudicarsene una porzione.
Insomma, tutti vogliono la Raindrop Cake e non si fanno frenare neppure dal prezzo, perché viene venduta a otto dollari al pezzo. Non male per un dolce quasi inesistente.
Ma se siete dei temerari, ecco la ricetta per preparala a casa direttamente dal “Cucchiaio d'Argento”:
1. In un pentolino, unite 15g di agar e 12gr di zucchero semolato
2. Aggiungete 1/2 litro di acqua, poco alla volta
3. Portate a ebollizione sul fuoco
4. Versate il liquido in uno stampo rotondo
5. Fate raffreddare in frigorifero
6. Rimuovete dallo stampo e aggiungete noci tostate e sciroppo di zucchero
Con l'arrivo di un lungo weekend, FLASHON MAG desidera dare il "benvenuto" ad una "new entry": Ilaria Bertinelli.
Ilaria, nota imprenditrice e mamma tuttosprint, è riuscita con la sua energia e caparbietà a trasformare una problematica di salute della sua piccola Gaia in un nuovo stile di vita pieno di amore e cose buonissime. Da oggi le ricette di Ilaria sapranno rendere buoni e appetitosi tutti i piatti senza privazioni, ma con un piccolo e semplice aiuto!
Di Ilaria Bertinelli
La stagione delle zucche volge al termine, quindi vale la pena sfruttare le ultime occasioni di gustarsele in una delle versione che non mi delude mai, la vellutata.
Dopo una lunga giornata di lavoro, anche se la temperatura sta gradatamente aumentando, gustarsi il dolce sapore della zucca abbinato alla nota caramellata delle cipolle cotte al forno, sicuramente ci aiuta a trovare un'oasi di pace e di piacere. Questa ricetta è perfetta anche per i più piccoli della famiglia che non si lamenteranno per un piatto di verdura che conquista anche solo con il colore. Questa ricetta è naturalmente senza glutine, quindi l'unica variante per chi non potesse permettersi il glutine saranno i crostini contraddistinti da un doppio asterisco **
5,3 g CHO per 100 g senza crostini
INGREDIENTI per 4 Persone
570 g acqua
350 g zucca gialla
160 g patata
150 g cipolla
30 g olio extra vergine di oliva
q.b. sale e pepe
q.b. crostini**
PREPARAZIONE
Tagliare la zucca e la cipolla in pezzi di circa 3 cm di lato.
Ricoprire una teglia con carta forno e adagiarvi sopra la zucca e la cipolla; preriscaldare il forno ventilato a 160°C e cuocere le verdure per 30 minuti.
Tagliare la patata a pezzi piccoli e farla saltare in un tegame con 2 cucchiai di olio di oliva per circa 4 minuti, aggiungere le verdure cotte al forno, l'acqua, aggiustare di sale, mettere il coperchio al tegame e lasciare cuocere per 15 minuti.
Con un frullatore a immersione, frullare la minestra di verdura in modo da ottenere una crema e servirla con un filo d'olio per ogni piatto, una macinata di pepe e crostini a piacere.
CREDITS photo: unadonna.it – giallozafferano.it – chiccacook.it – donnad.it –salepepe.it – arnaldagourmet.com – it.wikihow.com – lacucinaitaliana.it – greenpink.org – gds.it
Appena fuori Reggio Emilia, immerso nella campagna, sorge il ristorante “Amici del Rifugio Crucolo” un angolo dal sapore altoatesino che si caratterizza per il suo gemellaggio con una struttura omonima valdostana e la particolarità del menù a base di piatti trentini.
Di Chiara Marando -
Sabato 16 Aprile 2016 -
Inutile negarlo, una delle più grandi soddisfazioni quando si trascorre un po' di tempo sulle splendide montagne del Trentino è quella di concludere la giornata, o una bella escursione, con un gustoso piatto tipico. Chi non può farne a meno lo sa bene, impossibile resistere a canederli, crauti e stinco.
E se vi dicessi che non bisogna necessariamente aspettare una vacanza tra i monti per godersi i sapori altoatesini?
Già, perché in provincia di Reggio Emilia esiste un locale che ripropone non solo un menù di specialità montanare, ma anche un ambiente squisitamente rustico stile rifugio: Amici del Rifugio Crucolo. La sua storia inizia da una sinergia vincente, quella tra due famiglie unite da un'amicizia lunga 25 anni e dalla passione per le cose buone. Loro sono i Purin della Valsugana, che gestiscono il Rifugio Crucolo, ed i Guglielmi di Reggio Emilia, che 15 anni fa hanno aperto il loro ristorante in terra emiliana.
L'idea da cui tutto parte è la volontà di far sentire il cliente come a casa, avvolto da un'atmosfera rilassante che richiama in tutto e per tutto quella trentina-altoatesina, con deliziosi arredi in legno, la classica Stube in maiolica, ma anche i costumi tradizionali indossati da chi serve al tavolo. La cucina è il regno di Deanna che si destreggia ai fornelli insieme al figlio Tiziano, mentre in sala ci sono papà Maurizio e l'altro figlio Marcello.
La verità è che si rimane subito colpiti non solo dalla location, che profuma di bosco, camino e spensieratezza, ma anche e soprattutto dalle deliziose portate che vengono proposte.
Spazierete da antipasti stuzzicanti che apriranno la strada a primi corposi come i Canederli su un letto di formaggio delicato, le pappardelle con ragù di selvaggina e gli impronunciabili Sclutzkrafen, per poi continuare con il trionfo della carne: Stinco di maiale con patate, Costolette di agnello oppure Medaglioni di Cervo.
Ovviamente, per concludere il pasto, non possono mancare lo Strudel – il consiglio è di assaggiarlo perché preparato con una morbida pasta frolla ed un ripieno generoso e profumato – e la Sacher Torte.
La vera chicca è il cestino del pane, rigorosamente di produzione propria, con interessanti varianti quali il pane ai fichi, quello di segale, il più semplice bianco, e il bretzel servito caldo. Notevole anche la carta dei vini, con etichette del territorio trentino e qualche birra artigianale – due per la precisione – che ben si sposano con la sapidità dei piatti. Non a caso, uno dei particolari che accomuna gli “Amici del Rifugio Crucolo” con il ristorante in Valsugana è il rito della "visita in Cantina".
In cosa consiste? Semplice, a fine serata il padrone di casa Maurizio vi accompagnerà in cantina per un'immersione nei prodotti tipici trentini, ma soprattutto per offrirvi un digestivo a base di grappe bianche e aromatizzate, nonché di liquori trentini.
Un ultimo particolare: non dimenticatevi di prenotare, in tanti avranno la vostra stessa idea!
Amici del Rifugio Crucolo
Via Gattalupa sud, 88
42122 Gavasseto (Reggio Emilia)
Tel: 0522-552103 Cell: 3465880623
Non è propriamente un piatto di stagione e tantomeno a basso contenuto calorico, d'altronde il cibo da degustare magari con un buon abbinamento di vino è privo di preconcetti!
Di Cecilia Novembri
Montagne, laghi, orologi.
Questo è quello che salta in mente pensando alla Svizzera, ma esiste anche un'arte culinaria e di vinificazione, limitata ma di nicchia e di qualità.
Un caposaldo dell'edonismo culinario è la Fondue, che più che una ricetta viene considerato un rito conviviale!
Nasce come piatto di recupero del comparto lattiero-caseario, attività prevalente delle comunità alpine occidentali, viene quindi collocata inizialmente in ambito cittadino e borghese, per diventare piatto alla moda chic e informale solo negli anni Cinquanta/Sessanta, sull'onda dei primi flussi turistici e del boom degli sport invernali in zona.
La materia prima è un misto di formaggi duri, fusi in una casseruola calda chiamata caquelon, la cottura è rapida alla quale dovrà provvedere ciascuno dei commensali riuniti a tavola, munito di apposita forchetta con la quale attingere a turno dal recipiente centrale posto su fornello.
Oggi è l'Emmental il formaggio più utilizzato, ma tutte le tipologie svizzere si prestano bene, al punto che diversi cantoni rivendicano, per distinguersi, una propria Fondue: oltre alla Savoyarde classica, troviamo la Fribourgeoise a base di Vacherin, la Neuchâteloise metà Gruyère e metà Emmental, l'Appenzeller al 100% del formaggio omonimo, mentre nella Svizzera centrale si usa 1/3 ciascuno di Gruyère, Emmental e Sbrinz.
Nel Vallese si usa il locale Raclette, che viene direttamente "raschiato" dalla forma ("raclé", da cui il nome) su una fonte di calore, che subito lo fa fondere.
Per accompagnare questo piatto, che rallegra le giornate fredde e grigie, un buon bicchiere di Fendant del Valais, una bella freschezza, con aromi di glicine e frutta bianca. Ha una struttura elegante con note floreali a sfumature di frutta bianca, buccia d'arancia e di limone. Il corpo è morbido ed equilibrato. Se si vuole provare un'alternativa made in Italy un ottimo Verdicchio dei Castelli di Jesi sicuramente non deluderà!
Cronachemaceratesi.it – myswissroom.com – mondovino.ch – castelwine.com
E' sempre importante assumere in una dieta salubre ed equilibrata tanta buona verdura e frutta! Purtroppo per i più piccini diventa quasi impossibile a volte convincerli ad assoporare un buon piatto "vegeteriano" e così SOS by SUSANNA VOLIANI attraverso una lettura simpatica, colorata e divertente ci viene in aiuto grazie ad un "sorprendente" T-VEG!
Di Susanna Voliani
In questi tempi di grande attenzione al cibo buono e salutare, ecco che compare in libreria l'albo perfetto per sensibilizzare anche i più piccini. Uscito in Italia da pochi giorni, scritto dall'autrice anglo indiana Smriti Prasadam-Halls ed illustrato da Katherina Manolessu (pubblicato da Mondadori per la collana ElectaKids), si tratta di un racconto semplice e divertente che avvicina i bambini al mondo dell'alimentazione.
È la storia di un tirannosauro un po' speciale di nome Reginaldo, tipico nel possente ruggito, nell'aspetto spaventoso, nella forza enorme, nel digrigno dei denti, ma originale nei gusti alimentari: è vegetariano.
Mentre i suoi familiari ed i suoi amici si nutrono di succulente bistecche come tutti i T-Rex che si rispettino, lui preferisce frutta e verdura. Stufo di sentirsi escluso e deriso perché diverso, decide di andarsene via, alla ricerca di un posto nuovo e di dinosauri che possano capirlo, magari erbivori come lui. Ma i grandi erbivori non vogliono avere niente a che fare con lui, ne hanno paura: si tratta pur sempre di un mastodontico e spaventoso T-Rex! Ancora più umiliato e solo, proprio mentre amici e familiari lo stanno cercando per riportarlo a casa, Reginaldo sarà però il protagonista assoluto di un grande salvataggio, grazie alla sua smisurata forza dovuta sicuramente a tutta la frutta e la verdura di cui si nutre!
Una storia piccola ma capace di commuovere e di insegnare perché ricca di significati: una lezione contro i pregiudizi, sull'amore della famiglia e degli amici, sul coraggio di rimanere fedeli a se stessi nonostante le proprie differenze dagli altri.
E le coloratissime e brillanti illustrazioni non possono che essere utilizzate per spiegare ai nostri figli che nutrirsi bene ci mantiene in salute e rende forti e felici!Dai 4 anni.
CREDITS photo: - dietologomarcomissaglia.com – nutrisoft.com.br – gustissimo.it – giallozafferano.it – nonnapaperina.it – rec23.com – romalecool.com
Colorato, allegro e, a quanto dicono, buonissimo: si parla dell'ultima invenzione food, ovvero il Rainbow Bagel. A realizzarlo è stato il re dei Bagel, Scot Rossillo, nel suo ormai famosissimo The Bagel Store di Brooklyn a New York
Di Chiara Marando -
Sabato 09 Aprile 2016 -
Per la serie “la fantasia in cucina non è mai troppa” e “anche l'occhio vuole la sua parte", ecco che l'alimento di cui parliamo oggi supera ampiamente i concetti di normalità e monotonia cromatica, tanto da sembrare appena uscito dalla cucina di Nonna Papera.
Si tratta del rivoluzionario Rainbow Bagel, una ciambella che riprende la forma del più classico bagel, ma sembra fatta di pongo ed assemblata da un bambino: indubbiamente bellissima da vedere e, pare, eccezionale da mangiare.
Già, i fortunati che hanno avuto il piacere di provarla parlano di una vera e propria esplosione di gusto, un mix di sapori dolci e salati che si fondono ad ogni morso. Ad inventarla è stato Scot Rossillo, considerato il “miglior artista di bagel al mondo”, che lavora nel suo ormai famosissimo The Bagel Store in Bedford Ave, Brooklyn, a New York.
Con il Rainbow Bagel pare che Scot abbia veramente superato sé stesso, un prodotto che nasce dalla passione per la sperimentazione in cucina ma anche da tanta pazienza e creatività. Non a caso, come dice lui «mi ci sono voluti 20 anni di tentativi e altrettanti di fallimenti».
Scot è molto noto tra gli amanti dei bagel, ne rappresenta un vero pioniere e maestro. La sua tecnica si basa su procedimenti ancora artigianali e tradizionali, ma la sua manualità, e l'estro che lo contraddistingue, gli consentono di sfornare bagel stravaganti e di ogni colore.
Ovviamente non è dato sapere quale sia la ricetta originale del Rainbow Bagel, impossibile riuscire a rintracciare ogni singolo ingrediente solo assaggiandolo. Una cosa però si sa: non vengono aggiunti conservanti o additivi chimici all'impasto (difficile da credere osservando il procedimento di preparazione ndr.) ed il vero segreto si trova nel goloso ripieno che completa il risultato finale.
Certamente, esaminare il momento della realizzazione risulta estremamente affascinate, sembra di giocare con enormi pezzi di pongo, esattamente come facevamo da piccoli quando ci divertivamo a modellare delle improbabili composizioni o formine.
Ma che sapore ha questa invenzione?
Pare sia simile a quello dei lecca lecca, di tutti i gusti messi insieme appassionatamente, anche se con un risultato meno dolce. Poi, come già premesso, c'è il tocco finale, ovvero una farcitura dal nome improbabile: “Funfetti-style cream” che consiste in una crema al formaggio amalgamata con i “Candy cotton”, quei i bastoncini colorati e zuccherati dall'aspetto fiabesco.
E qui scatta la domanda: ma c'era proprio bisogno di un ennesimo junk food?
A onor del vero non si conoscono la reale portata calorica ed i grassi, quindi abbiamo ancora un po' di tempo per illuderci che non si tratti proprio di “cibo spazzatura”....ma temo proprio sia poco tempo. Nel caso, siccome in cucina non si butta via nulla, si può sempre pensare di utilizzarlo come allegro soprammobile.
Arriva una novità in cucina, un pane che promette notevoli effetti benefici grazie all'alto contenuto di antiossidanti: il Purple Bread, ovvero il pane viola, nato da un'idea del dottor Zhou Weibiao, scienziato della National University di Singapore.
Di Chiara Marando -
Sabato 02 Aprile 2016 -
Per la serie “ novità in cucina” ecco un pane che promette notevoli effetti benefici per la salute: si chiama Purple Bread, ovvero pane viola, ed è nato da un'idea del dottor Zhou Weibiao, scienziato della National University di Singapore. Pare essere l'ultimo ritrovato food, il primo supercibo lievitato al mondo. Già un supercibo, e non si tratta di un nome che deriva dai fumetti, ma di quella categoria di alimenti che presentano una densità fuori dal comune di proprietà nutritive utili al benessere fisico e mentale.
Nel caso del Purple Bread, il plus è rappresentato dalle antocianine, un gruppo di flavonoidi che danno anche il caratteristico colore viola e sono noti per il loro potere antiossidante e antinfiammatorio.
La particolarità delle antocianine è quella di prevenire le malattie cardiovascolari e neurologiche, ma anche di agire positivamente su patologie quali l'obesità. Ovviamente, perché siano efficaci, è necessario che siano estratte dagli alimenti ed aggiunte durante la preparazione del pane, così da conservare intatte le loro proprietà, anche se in misura ridotta: è bene ricordare che sono termolabili, questo vuol dire che la cottura ne diminuisce del 20 % le peculiarità nutrizionali.
E proprio su quest'ultimo aspetto il dottor Zhou Weibiao ha subito chiarito la sua posizione, specificando che questo pane è preparato utilizzando una tecnica che riesce a conservare integre l'80% delle anticianine e che, per sfruttarle al massimo, la ricetta da lui ideata prevede una cottura estremamente breve: precisamente 8 minuti, a 200 gradi Celsius.
Ma dopo tutto questo parlare, la domanda sorge spontanea: quali sono le differenze tra il pane viola e quello bianco?
Cominciamo con il dire che si tratta sicuramente di una novità interessante ma non è comprovato che il Purple Bread possieda concretamente tutte le proprietà benefiche che gli vengono attribuite.
Ad esempio, non è da prendere come certa la teoria che riesca ad abbassare l'indice glicemico grazie ad una particolare reazione chimica tra antocianine e amidi, e nemmeno che renda la digestione più lenta del 20% rispetto al pane bianco. Ciò che invece può essere considerato sicuro è il suo alto contenuto di antiossidanti, quindi non sarà miracoloso ma sicuramente diviene un alimento da considerare nella propria dieta di tutti i giorni.
Purtroppo, pensare di farlo in casa sfruttando ortaggi come il cavolo rosso o frutti come i mirtilli, non è così semplice come spiega la dott.ssa Katia Petroni, Ricercatrice di Genetica presso l'Università degli Studi di Milano e sostenuta dalla Fondazione Umberto Veronesi: “L'ideale sarebbe avere un estratto o aggiungere farine di mais rosso, perché il limite resta la cottura. Con la bollitura, necessaria per usare l'ortaggio durante la preparazione del pane, un'altissima percentuale di antocianine viene persa, perciò lo sforzo ha molto meno senso».
«In ogni caso è fondamentale ricordare – aggiunge la dottoressa - che un pane del genere non potrà mai essere un alimento sostitutivo, e che il nostro organismo ha comunque bisogno di fare il pieno di antocianine con la frutta e la verdura rossa»
Ricette da far venire l'acquolina. Un itinerario virtuale lungo lo Stivale alla scoperta delle squisitezze più antiche. Basta trovare la ricetta che vi ispira per fare una Pasqua, gustativamente parlando, diversa...
Di Alexa Kuhne
Parma, 26 marzo 2016
La Pasqua è anche la festa dei golosi. E forse nessuna ricorrenza come quella di questi giorni si accompagna a una enorme varietà di dolci della tradizione che assumono caratteristiche particolari in base al territorio in cui vengono prodotti.
Vogliamo proporre una carrellata delle squisitezze della cultura gastronomica italiana per indurvi a sperimentare e provare nuove esperienze per il palato. Con la curiosità e la voglia di assaggiare si possono fare viaggi gastronomici davvero appaganti, basta trovare la ricetta che vi ispira per fare una Pasqua, gustativamente parlando, diversa...
La bella Mantova, per esempio, ha una vera e propria venerazione per il Bussolano. E' una morbida ciambella che nasce dalla tradizione popolare lombarda. La sua consistenza è data dalla mancanza di lievito. La caratteristica di questo dolce è che è adatto a essere inzuppato direttamente nel vino lambrusco.
Il cugino del bussolano mantovano è il Bensone modenese. Le due ricette sono davvero molto somiglianti, con la differenza che quella gonzaghesca è più ricca di grassi. L'antenato comune pare sia nato a metà strada diffondendosi in tutte le campagne circostanti, seppure cambiando nome ad ogni sosta. Che parliamo di bensone, di bussolano o di pinza, sempre di un pane dolce a base di uova, farina e grasso si tratta, anche se le proporzioni variano.
Non c'è Pasqua, al Sud, senza Casatiello, una 'torta' sontuosa e sapida, ricca di simbolismi. A Napoli si dice di una persona noiosa e pesante 'I che casatiello!'. E questo proverbio la dice lunga sulla pesantezza, direttamente proporzionale alla bontà, di questa particolarissima torta salata. L' impasto è una quantità massiccia di farina, lievito, acqua, sale, pepe, sugna (in italiano strutto), uova sode, salame, formaggio e ciccoli (ciccioli) di maiale. Il termine casatiello deriva da "caso", che in dialetto napoletano vuol dire formaggio, e allude alla cospicua presenza al suo interno di formaggio pecorino. Il pane di cui è composto è il simbolo del corpo di Cristo, le uova incastonate al suo interno rappresentano la rinascita...
In Meridione, ancora più giù, nella meravigliosa Sicilia, le vetrine delle pasticcerie sono un tripudio di colori. E' tempo della Cassata (dall'arabo qas'at, "bacinella" o dal latino caseum, "formaggio"). La torta è a base di ricotta zuccherata di pecora, pan di spagna, pasta reale e frutta candita..
Inizialmente la cassata era un prodotto della grande tradizione dolciaria delle monache siciliane. Un proverbio siciliano recita "Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua" ("Meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua"). La decorazione caratteristica della cassata siciliana con la zuccata fu introdotta solo nel 1873.
Le radici della cassata risalgono alla dominazione araba in Sicilia quando vennero introdotti a Palermo la canna da zucchero, il limone, il cedro, l'arancia amara, il mandarino, la mandorla. Insieme alla ricotta di pecora, che si produceva in Sicilia da tempi preistorici, erano così riuniti tutti gli ingredienti base della cassata, che all'inizio non era che un involucro di pasta frolla farcito di ricotta zuccherata e poi infornato.
Nel periodo normanno, a Palermo, presso il convento della Martorana, fu creata la pasta reale o Martorana, un impasto di farina di mandorle e zucchero, che, colorato di verde con estratti di erbe, sostituì la pasta frolla come involucro. Si passò così dalla cassata al forno a quella composta a freddo.
Gli spagnoli introdussero in Sicilia il cioccolato e il pan di Spagna. Durante il barocco si aggiungono infine i canditi. L'introduzione della glassa di zucchero coperta di frutta candita che avvolge tutto il dolce come un vetro opaco potrebbe ricondurre il nome all'inglese glass, vetro da cui glassata - classata -cassata.
E poi c'è la Pastiera, la regina delle torte napoletane. Va confezionata con un certo anticipo, non oltre il giovedì o il venerdì santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente. La ricetta tradizionale dice di mescolare alla ricotta semplici uova sbattute; una seconda versione, decisamente innovatrice, raccomanda di unirvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega in un angolo della Piazza Municipio non più esistente. Per il resto non è pastiera se non c'è estratto di fiori d'arancio e grano cotto, oltre a canditi.
Si racconta che Maria Cristina di Savoia, consorte del re Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", cedendo alle insistenze del marito buontempone, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere. Pare che a questo punto il re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo". La pastiera, forse, sia pure in forma rudimentale, accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente. Per il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane, dette appunto "confarratio". Un'altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale. Nell'attuale versione, fu inventata probabilmente nella pace segreta di un monastero dimenticato napoletano. Un'ignota suora volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la prima vera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia. È certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.
Arrivando molto più a nord si scopre la Gubana che è un tipico dolce delle valli del Natisone (Udine), a base di pasta dolce lievitata con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone, dalla forma a chiocciola, dal diametro di circa 20 cm e cotto al forno. Viene servito irrorato da slivovitz, un liquore ricavato dalla distillazione delle prugne. Il dolce è noto fin dal 1409 quando fu servito in un banchetto preparato in occasione della visita di papa Gregorio XII a Cividale del Friuli. Facendo riferimento alla forma della gubana, la derivazione del nome è probabile che sia la sloveno guba, che significa piega.
Spostandoci in Emilia, troviamo la colomba di Pavullo, che non ha molto a che vedere con la colomba pasquale che tutti conoscono, è infatti una focaccia dolce farcita di savor, marsala e frutta secca.
Le pardulas o casadinas sono un tipico dolce pasquale della tradizione sarda. Sono piccole tortine con ripieno di ricotta o di formaggio, molto delicate e gustose. A seconda della zona si possono vedere in una versione dolce o salata, all'aroma di arancia o limone e, più rara, una versione con l'uvetta. Nonostante la preparazione identica, il gusto tra le pardulas di ricotta, delicatissime, e quelle di formaggio (formaggio fresco), che hanno un sapore più deciso, è molto diverso.
La Resta, il cui profumo si avverte durante il periodo pasquale per le vie di Como, è un pane zuccherino. E' il dolce legato alla celebrazione della domenica delle Palme per via di un gesto simbolico: al suo interno viene infilato (nella pasta prima della cottura) un ramoscello di ulivo, mentre sul dorso viene inciso un disegno che ricorda la spiga detta anche "lisca o resca", simboli associati alla rinascita primaverile da cui prende poi il nome questo dolce. Anche questa prelibatezza deve sostenere ben tre lievitazioni.
Sul Salame del papa bisogna fare subito una precisazione: non è da confondere con il noto "salame di cioccolato". Si tratta di una ricetta molto antica, tramandata per lungo tempo oralmente e di cui, proprio per questo poco si conosce; esaminando tuttavia gli ingredienti troviamo la presenza di nocciole che fanno pensare quasi tutti all'unisono che il "salam dal papa" sia nato in Piemonte. Questo dolce in origine era prettamente legato al periodo quaresimale e pasquale; ciò perché in questo particolare periodo dell'anno la religione cattolica proibisce (salvo particolari casi) di mangiare carne e dolci.
Tra queste bontà non può non mancare una specialità toscana: la Schiaccia, che viene preparata principalmente nelle province di Pisa e Livorno. Dolce povero della tradizione contadina, prevede una lunga lievitazione che si sviluppa in quattro fasi. E' ricco di anice e non è troppo dolce ed è ideale inzuppato in un bicchierino di Vinsanto o accompagnato con un pezzetto di cioccolata.
Un dolce povero ma particolarmente apprezzato è la Miascia o Turta di paisan. E' facile trovarla sulle tavole della Brianza e dintorni. Numerose sono le varianti in cui la si può apprezzare, modifiche dovute al fatto che questo dolce non è radicato e tipico di un unico paese bensì si estende quasi e ben oltre la provincia. E' una torta casalinga fatta di pane raffermo. Tra le tantissime ricette c'è chi la prepara con cacao in polvere e fichi secchi e chi con amaretti sbriciolati e scorze di limone e pinoli. Il nome torta paesana deriva dal fatto che un tempo veniva preparata durante il giorno della festa del paese e anticamente veniva cotta in forni comunitari utilizzando il pane che fino a prima della preparazione era conservato nella tradizionale "panadura".
La lista potrebbe essere molto lunga. Sta ai veri golosi uscire dagli schemi delle proprie abitudini e 'tuffarsi' in altre tradizioni dolciarie. L'esperienza può essere davvero sorprendente perché, parlando di dolci, li si associa immediatamente allo zucchero e invece, dalle antiche ricette, si scoprirà che questi sono poveri di ingredienti, visto che lo zucchero era riservato alle tavole dei ricchi e, per sostituirlo, si utilizzavano frutta secca e fresca.