di Daniele Trabucco Belluno, 26 aprile 2024 - Quante volte in seno alle forze politiche di sinistra, nelle piazze ideologicamente orientate, nei sindacati, nei quotidiani (a picco di vendite) come "la Repubblica" abbiamo sentito questa affermazione.
Troppe.
E anziché replicare a questa bugia con la forza dell'argomentazione scientifica, il cosiddetto centro-destra con i suoi "ignavi" rappresentanti corre dietro alla narrazione dominante per non essere tacciato di "fascismo". Bisogna, invece, mettere la parola fine a questa retorica vuota cui la maggior parte dell'opinione pubblica é estranea. Ora, al di là del fatto che la parola "antifascismo" nel Testo fondamentale vigente del 1948 non compare, si ritiene, comunque, che il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista di cui alla XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, l'accoglimento dei diritti civili e politici, il principio di eguaglianza, quello personalistico (dossettiano) etc. costituiscano il nocciolo "antifascista" del nostro "documento costituzionale".
Tuttavia, ad uno sguardo piú attento si puó vedere che non é affatto cosí.
In primo luogo, ben potrebbe esserci in Italia un partito di ispirazione fascista che accetta il modello democratico (con le sue aporie), il testo della Costituzione, i diritti ed i doveri in essa previsti. Il divieto costituzionale, con il termine "disciolto", fa espresso riferimento al fascismo quale forza politica affermatasi in un determinato periodo storico. É per questo che non é possibile, nonostante i continui strali della sinistra, sciogliere i partiti di ispirazione "neofascista" secondo le procedure della legge ordinaria dello Stato 20 giugno 1952, n. 645 (c.d. "legge Scelba").
In secondo luogo, la previsione dei diritti civili e politici non é una connotazione propria dell'antifascismo, essendo giá contemplati nelle Carte costituzionali ottriate ottocentesche.
In terzo luogo, la parte innovativa del Testo costituzionale (sebbene anch'essa risenta della natura "anfibia" delle Costituzioni del secondo dopoguerra), ossia quella inerente al modello sociale, recepisce in pieno gli apporti della giuspubblicistica e giuslavoristica fascista. Il grande storico Silvio Lanaro (1942-2013), considerato tra i maggiori studiosi di storia contemporanea, ha osservato (con buona pace di Scurati, Schlein e compagni) come il compromesso fra cattolici e marxisti, rinvenibile proprio nella normativa sociale, non sia improntato solo ad un generico solidarismo, ma si riallacci in modo netto alla gius-lavoristica del regime: ad esempio, la validitá erga omnes dei contratti collettivi di lavoro ex art. 39 Cost., la previdenza obbligatoria di cui all'art. 38 Cost. etc. Per non parlare, precisa ancora Lanaro, delle consonanze tra il progetto di Costituzione della Repubblica Sociale italiana predisposto dal Ministro dell'Educazione nazionale nel 1943, prof. Carlo Alberto Biggini, ed il testo della Costituzione italiana vigente: dal diritto al lavoro alla funzione sociale della proprietá, dai Patti del Laterano all'esproprio per pubblica utilitá. Da ultimo, per citare gli studi di Aurelio Lepre (1930-2014), c'é una perfetta continuitá tra lo Stato etico gentiliano ed il partito etico che si colloca nel solco dell'ereditá del fascismo e che si perpetua nonostante la vigenza della nuova Costituzione. Infatti, la fine dello Stato etico lasciava un vuoto che, in buona parte, fu colmato attribuendo ad alcuni partiti, il PCI in primis, ma anche la DC, "il significato etico che lo Stato aveva avuto per il fascismo" (cfr. A. LEPORE, Storia della prima Repubblica, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 52-53).
L'antifascismo, allora, di cui si riempono la bocca sindaci, parlamentari, consiglieri etc., altro non é, come ben scriveva Curzio Malaparte (1898-1957) sia pure con riferimento all'immediato dopoguerra, "una controfigura" del fascismo. Non siamo, forse, anche oggi un Paese con capetti che non sono poi molto diversi dai gerarchi per lo piú insopportabili al popolo (Renzi, Calenda, Bonino etc.), con partiti che fanno della loro presunta superioritá morale e del loro conformismo all'ideologia dominante il fondamento del nuovo Stato etico etc. Diversamente da quanto sostiene il Presidente della Repubblica pro tempore, Sergio Mattarella, l'antifascismo non puó certo essere fattore di unitá, dal monento che, per riprendere sempre Malaparte, fu dettato dalla vendetta e non dalla giustizia.
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
Sito web personale www.danieletrabucco.it