Pertanto, alla luce di questa definizione, è evidente che solo Dio e, per sua grazia, i beati conoscono perfettamente la legge naturale in sé stessa, mentre gli uomini unicamente secondo la capacità della loro natura umana: "secundum proportionem capacitatis humanae naturae" (cfr. S. Th., I-II, q. 91, a. 4, ad. 1).
Di conseguenza, precisa Tommaso, le persone, dotate di un corretto uso della ragione, apprendono i principi comuni e universalissimi della legge naturale, i c.d. "precetti primari", i quali non possono essere ignorati da alcuno in quanto si manifestano come imperativi assoluti e validi sempre ed ovunque.
Si tratta delle inclinazioni profonde della natura dell'uomo e consistono nella conservazione, da parte della persona umana, del proprio essere e della specie (ad esempio, la procreazione).
Queste regole generalissime, custodite dall'intelletto pratico, costituiscono la "sinderesi", ossia "l'habitus continens praecepta legis naturalis" (cfr. S. Th., I-II, q. 94, a. 1, ad. 2).
Al di sotto dei "precetti primari" troviamo quelli "secondari": le inclinazioni e le tendenze dell'uomo derivanti dai primi (es. il divieto di farsi giustizia da sé, il divieto di suicidio etc.).
Questi ammettono eccezioni e restrizioni, che in alcun modo, però, possono intaccarne il nucleo essenziale, in ragione delle diverse circostanze in cui devono attuarsi.
Ora, chiarisce il "Dottor angelico", se, da un lato, la legge naturale non può subire mutazioni in sé stessa "quantum est de se", pena intaccare la stessa legge eterna della quale è manifestazione, dall'altro vi possono essere circostanze che, pur non cambiando, né potendo cambiare la "lex naturalis", ne mutano la materia, cioè l'oggetto materiale. Si tratta, detto in altri termini, di una mutazione "per accidens" (materiale e circostanziale) e non "per sé" (formale ed essenziale).
(Daniele Trabucco)