La rivoluzione postale si è avviata. Le azioni di Poste Italiane s.p.a. sono andate letteralmente a ruba a conferma del tradizionale rapporto fiduciario che lega le "poste" ai cittadini. Ma a chi giova l'ingresso in Borsa di P.I.?
di Lamberto Colla - Parma, 18 ottobre 2015 -
E' all'ufficio postale che i nostri anziani andavano a ritirare la pensione e sempre alle poste affidavano i loro risparmi stringendo con "le poste" un rapporto fiduciario quasi indissolubile perché, nel vissuto più remoto, Poste Italiane era sinonimo di Stato con tutte le garanzie che ne seguivano.
Una fiducia che si è radicata per effetto della prossimità degli uffici postali così ben distribuiti sul territorio nazionale da fare concorrenza, in termini numerici, solo ai campanili delle chiese.
Una diffusione che ha contribuito a saldare il rapporto con i più anziani e non solo, anche dopo l'avvento di internet, soprattutto nelle zone marginali, di profonda campagna o sperduta montagna. Pochi minuti e l'ufficio postale era comunque raggiungibile per ritirare i soldi della pensione, spedire il vaglia al figlio emigrato oppure studente in città o in servizio di leva, a volte per trasmettere un telegramma, l'antesignano dell'sms e di WhatsApp.
Tutto questo si inquadra in quello che è identificato "Servizio Universale", per svolgere il quale le "Poste" ricevono un contributo di 270 milioni di euro.
Non sono bazzecole e, alla pari del canone della RAI, serve o almeno dovrebbero servire, a garantire un servizio pubblico a tutti i cittadini, anche ai residenti nei villaggi più decentrati.
Questo legame con lo Stato, sfruttando perciò una posizione di privilegio e dominante, ha determinato, col trascorrere degli anni, una sempre più profonda obsolescenza delle tecnologie, dell'organizzazione e purtroppo, è brutto da dirsi, anche del tasso di qualificazione del personale agli sportelli.
Nonostante le inefficienze che si sono accumulate negli ultimi decenni "Le Poste" sono sempre rimaste, almeno questo è il diffuso sentimento in certuni strati della popolazione, un approdo sicuro, confermato anche quando la componente bancaria si è, un po' troppo rapidamente, evoluta e spregiudicatamente affacciata al campo minato dei titoli speculativi o verso le trappole dei prodotti derivati.
Una posizione di "privilegio", per di più in posizione di dominanza del mercato, che mal si coniuga con la spregiudicatezza finanziaria e con la corretta competitività commerciale.
Vero è che la privatizzazione dovrebbe condurre a confrontarsi liberamente con gli altri attori del mercato ad armi pari e diventare perciò uno stimolo al miglioramento della efficienza generale e dei servizi di cui dovrebbe, alla fine, goderne anche il consumatore finale.
Ma in queste condizioni, con la protezione del Tesoro, gli elementi di rischio vengono fortemente attenuati, se non addirittura annullati, e il regime di monopolio (protetto) di molti servizi potrebbero pregiudicare la corsa all'efficientamento dichiarato e prospettato.
"Cui Prodest?"
E' una domanda legittima che sorge spontanea, soprattutto quando si tratta di una società pubblica.
A chi giova perciò questa "pseudo privatizzazione" di Poste Italiane, detenuta ancora per il 60% dal Ministero del Tesoro?
Giova certamente all'azienda stessa che, attraverso il collocamento in borsa del 38% del capitale, rastrellerà sul mercato della finanza circa 4 miliardi, ma gioverà anche ai suoi concorrenti del sistema bancario che avranno a disposizione dei "Bond" paragonabili, per solidità, a quelli di Stato da dare in pasto alla propria clientela.
I tradizionali Titoli di Stato infatti sono merce sempre meno disponibili sul mercato del risparmio a seguito dell'operazione "Draghiana" denominata Quantitative Easying (QE) , una misura straordinaria con cui la Banca Centrale Europea effettua degli acquisti programmati di titoli finanziari - in particolare di bond, cioè di obbligazioni - negoziati sul mercato, immettendo perciò nel sistema finanziario una massiccia dose di liquidità che serve appunto per comprare i titoli.
Ecco quindi che l'operazione di privatizzazione di Poste Italiane apre uno spiraglio di mercato finanziario potendo offrire un "surrogato garantito".
Così le poste, di fatto fiduciarie del Tesoro, con la quotazione in borsa hanno garantito nuovi portafogli d'investimento che le Banche potranno vendere ai risparmiatori loro clienti, orfani ormai da qualche mese degli affezionati BOT.
Questo potrebbe essere un buon motivo per avere architettato, in fretta e furia, la privatizzazione di Poste Italiane spa cercando di mostrare, con una perfetta operazione mediatica e di camouflage, l'efficienza di una grande e moderna impresa pur mantenendo un solido rapporto col Tesoro e i privilegi che ne derivano dalla posizioni di dominanza e addirittura monopolistica di alcuni servizi.
E' difficile abbandonare i privilegi e gli ammortizzatori soprattutto se sono sorretti dalle spalle possenti del Ministero del Tesoro ma proprio per questa ragione, il management, dovrebbe orientare le sue attenzioni all'efficienza dei servizi verso l'utente cosa che invece sembra non essere ai primi posti nella scala degli interessi.
Oggi alle poste si può comperare di tutto, dai giochi, ai libri, dalle schede telefoniche ai fondi pensione. Una macedonia di servizi che rallenta le operazioni di sportello e mette a dura prova la pazienza dei tanti obbligati a servirsi degli uffici postali.
Un esempio per tutti, le contravvenzioni. Il solerte vigile lascia sul parabrezza dell'auto sia il rilevamento dell'infrazione sia il bollettino postale per agevolare l'incauto automobilista al pagamento della sanzione, magari entro i 5 giorni che consentono una sensibile riduzione dell'importo, e nessun'altra diversa modalità di pagamento.
Per quanto il pagamento, in teoria, sarebbe più semplice e comodo effettuarlo attraverso l'Home Banking, nell'avviso "giallo" non vi è l'indicazione dell'Iban di riferimento dell'Amministrazione alla quale fare pervenire quest'obolo straordinario.
Invece si è invitati a procedere attraverso lo sportello postale che per i due minuti d'operazione incassa 1,5 euro.
E così, il Comune ti sanziona e l'ufficio postale ci guadagna. Sembra un modello di salvaguardia e autoprotezione delle amministrazioni pubbliche.
Sarebbe stato molto più semplice e conveniente (per il cittadino soltanto a quanto pare!) adottare un sistema di pagamento diretto attraverso l'IBAN, magari direttamente collegato all'IBAN (IBAN to IBAN) dell'amministrazione beneficiaria senza l'obbligo di passare attraverso altri intermediatori tecnici "occulti" (tesorerie e piattaforme di transazione).
Il cittadino invece, cornuto e mazziato, ha dovuto spendere e sottrarre del tempo prezioso al proprio lavoro per recarsi in coda al più vicino ufficio postale (numero peraltro in sensibile riduzione a seguito del processo di razionalizzazione).
Infatti, nella rincorsa all'efficientamento si è proceduto alla razionalizzazione (leggi chiusura) di molti uffici postali scatenando spesso la rabbia dei residenti e dei loro sindaci i quali, un po' in tutta Italia hanno fatto ricorso al TAR. E effettivamente, per una società pubblica che per il servizio postale "universale" riceve 270 milioni di euro all'anno un maggiore riguardo nella cura delle relazioni territoriali si sarebbe apprezzata.
Ma la priorità, a quanto pare, era di correre verso la collocazione di Poste italiane in Borsa dimostrando agli investitori efficienza e profitti, saltando un passaggio fondamentale per una proficua, sicura e longeva vita sociale nell'elite della finanza, ovvero l'dentificazione precisa sell'asset da valorizzare.
Invece Poste Italiane S.p.a. si è presentata al pubblico borsistico come la macedonia di servizi che conosciamo da qualche anno. Dalla telefonia mobile ai servizi bancari, dai fondi pensione ai gadget di ogni tipo. Scorporarla sarebbe stato controproducente per due ordini di motivi.
Da un lato si sarebbero scoperti i nervi dell'inefficienza del suo "core business" e dall'altro avrebbe perduto la principale leva di successo legata ai privilegi monopolistici.
Insomma, questa operazione di privatizzazione sembrerebbe più strategica per l'azienda che per i cittadini come ha anche sottolineato, nei giorni scorsi, il Codacons sempre attento a intervenire a difesa del cittadini che, con una nota del 13 ottobre, interviene sull'argomento:
"PRIVATIZZAZIONE CONVIENE PIU' AD AZIENDA CHE A CITTADINI. Vogliamo garanzie su servizi postali e rispetto standard di qualità in favore degli utenti.
Dubbi e perplessità da parte del Codacons sull'operazione di privatizzazione di Poste Italiane. "Temiamo che l'ingresso di Poste in Borsa convenga più all'azienda che ai cittadini – spiega il Presidente Carlo Rienzi – Nel tempo infatti Poste Italiane è diventata sempre più banca e sempre meno servizio postale, con ripercussioni non indifferenti per l'utenza. Le nostre paure riguardano in particolare il servizio universale che, pur essendo poco remunerativo, deve essere garantito, indipendentemente dalla privatizzazione".
Il Codacons chiede dunque oggi all'azienda di garantire il rispetto degli standard di qualità, migliorando tutti i servizi resi da Poste che, negli ultimi anni, hanno subito un deterioramento testimoniato dalle crescenti segnalazioni e lamentele da parte dei cittadini, dai ritardi nella consegna delle lettera alla chiusura degli uffici postali nei piccoli comuni."
Staremo a vedere anche perché, a ben guardare, insospettisce questa mancanza di trasparenza diffuso sull'intero mondo del sistema finanziario dove il cliente/utente/cittadino sembra risultare una mucca da mungere a piccole ma costanti dosi.