Comune di Malalbergo, UniCredit e il Comando Carabinieri uniti contro le truffe agli anziani. In programma un incontro pubblico e gratuito per aiutare la comunità a difendersi dalle diverse tecniche di raggiro più utilizzate dai malviventi
Venerdì 21 Settembre 2018 - presso la Bocciofila "La Fontana" di Via Lavinia Fontana a Malalbergo (Bologna) alle 14 - è in programma "Non ci casco", incontro gratuito rivolto a tutti i cittadini e focalizzato sul tema delle truffe.
Un'iniziativa di formazione e informazione per aiutare la comunità a difendersi dalle diverse tecniche di raggiro più utilizzate dai malviventi. Un esempio di collaborazione tra pubblico e privato, nel rispetto dei reciproci ruoli, per accrescere la sicurezza sul territorio.
Apriranno l'incontro i saluti istituzionali del Sindaco di Malalbergo, Monia Giovannini.
Interverranno come relatori: Valentina Nocciolini, Direttore della filiale di Altedo UniCredit SpA; Claudio Dapporto, Group Physical Security UniCredit SpA; e il Maresciallo dei Carabinieri di Malalbergo Emanuele Milani che, con l'aiuto di video e contenuti multimediali specifici, illustreranno alla platea le tecniche più diffuse e recenti che i truffatori usano per mettere in atto i loro raggiri, offrendo i suggerimenti più idonei su cosa fare per non cadere in trappola e assicurare il malvivente alle forze dell'ordine.
Anche contro le truffe, infatti, un'arma preziosa è la prevenzione: un cittadino informato è un cittadino più sicuro.
Malalbergo 21 Settembre 2018, ore 14
"NON CI CASCO"
alla Bocciofila "La Fontana"
Operazione Billions: reati fiscali, bancarotta, riciclaggio e reimpiego, Polizia di Stato e Guardia di Finanza arrestano 4 persone e sequestrano beni per 10 milioni di euro.
Dalle prime ore del mattino personale della Polizia di Stato e del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale della città, stanno eseguendo una serie di arresti e perquisizioni nella Provincia reggiana, nei confronti dei presunti appartenenti ad un sodalizio criminale, responsabili - a vario titolo - della commissione di una pluralità di reati di natura fiscale, bancarotta fraudolenta riciclaggio e reimpiego.
Contestualmente all'esecuzione del provvedimento cautelare personale, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Emilia ha disposto il sequestro preventivo per equivalente dei beni e delle disponibilità finanziarie degli indagati e delle società agli stessi riconducibili per un ammontare complessivo di quasi 10 milioni euro; tra i beni sequestrati anche un bar della città di Reggio Emilia ritenuto oggetto di reimpiego dei proventi illeciti conseguiti dagli indagati a seguito di frodi fiscali, così "ripuliti" attraverso il reinvestimento nell'attività commerciale fittiziamente intestata da uno degli indagati alla ex moglie.
Le indagini sono state avviate di iniziativa dalla Squadra Mobile di Reggio Emilia a seguito di analisi delle emergenze di altra attività di indagine convenzionalmente denominata House of Cards. Avendo constatato un rilevante e sistematico ricorso al fenomeno della emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti da parte del sodalizio, si decideva di costituire un pool investigativo, coordinato dalla Procura della Repubblica reggiana, nella persona del Sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Giacomo Forte, al fine di coniugare le esperienze e le professionalità degli uffici investigativi della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato.
L'attività investigativa, effettuata anche con tecniche innovative, prendeva avvio da un nucleo familiare reggiano dedito sistematicamente ad attività di frode fiscale e si sviluppava velocemente pervenendo al sequestro, in flagranza di reato di riciclaggio, di 120.000 euro contanti, ritenuti provento dell'attività di falsa fatturazione. Parte della somma è stata rinvenuta occultata negli infissi delle tapparelle di uno degli arrestati.
I successivi sviluppi investigativi consentivano di individuare negli odierni arrestati gli ulteriori responsabili delle emissioni ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, che venivano complessivamente quantificate in oltre 80 milioni di euro.
Le modalità operative delle "cartiere" sono state accertate dagli investigatori che hanno ottenuto decisivi riscontri proprio dalle indagini tecniche, nel corso delle quali i "fatturieri" dispensavano consigli anche a chi vorrebbe "lanciarsi nel business", fornendo altresì indicazioni in ordine ai rilevanti guadagni giornalieri realizzabili.
Lo sviluppo delle indagini finalizzate al contrasto dell'economia illegale ed a far emergere decisivi elementi probatori, tali da pervenire alle misure cautelari personali e reali, rappresenta il secondo step dell'operazione fortemente voluta dalla Procura della Repubblica, dalla Guardia di Finanza e dalla Questura di Reggio Emilia.
Le investigazioni sono ancora in corso e si presentano particolarmente complesse. Quanto sino ad ora accertato rappresenta infatti solo una piccola parte del vorticoso giro di false fatturazioni, che dovrà essere disvelato indagando sulle ingenti movimentazioni bancarie scoperte dagli investigatori, le quali consentono di affermare che il sistema creato sia molto ampio, ben strutturato e radicato sul territorio, come desunto, tra l'altro, anche dalle stesse affermazioni di alcuni dei soggetti indagati, nei confronti dei quali, in più occasioni, sono state captate conversazioni in cui, commentando le loro attività illecite, si complimentavano reciprocamente per la lucrosità degli affari.
Proprio per consentire il proficuo proseguo delle indagini non verranno forniti ulteriori dettagli dell'operazione.
I destinatari della misura degli arresti domiciliari sono:
1) INNOCENTI Salvatore nato a Augsburg (D) classe 1977;
2) ALOI Giuseppe nato in Germania classe 1978;
3) MAZZEI Pasquale nato a Crotone classe 1977;
4) RUGGIERO Salvatore nato a Cutro (KR) classe 1974.
Corsi di formazione fantasma e falsi bilanci: scoperta truffa ai danni dell'unione europea e del fondo regionale per i disabili per oltre 3 milioni e mezzo di euro. denunciati 2 imprenditori piacentini.
Piacenza 9 agosto 2018 - Nell'ambito di una complessa attivita' di polizia giudiziaria svolta in materia di reati fallimentari, i finanzieri del comando provinciale hanno denunciato 2 imprenditori piacentini – rispettivamente legale rappresentante e amministratore di fatto di una cooperativa operante nel settore della formazione professionale – per aver indebitamente percepito fondi comunitari e nazionali per oltre 3 milioni e mezzo di euro.
I militari del nucleo di polizia economico-finanziaria, coordinati dalla procura della repubblica di piacenza, hanno compiuto diversi accertamenti, anche di natura tecnica, tesi a verificare le cause del dissesto finanziario di alcune societa' e cooperative emiliane, collegate tra loro, impegnate nella gestione di corsi di formazione e di aggiornamento professionale finanziati con fondi europei e nazionali.
Nel corso delle indagini e' stato accertato che una cooperativa piacentina, in critiche condizioni economiche:
• - nel corso degli anni iscriveva sistematicamente in bilancio attivita' fittizie riconducibili a corsi di formazione mai svolti;
• - nel 2013, in particolare, aveva ceduto un inesistente ramo d'azienda dal valore complessivo di 5,9 milioni di euro a favore della propria societa' controllante. quest'ultima, tuttavia, dopo una sola settimana, procedeva alla totale svalutazione del ramo d'azienda appena acquistato.
Attraverso tali condotte fraudolente, la cooperativa poteva iscrivere in bilancio ricavi mai conseguiti per coprire le perdite d'esercizio ed evitare cosi' di veder azzerare o ridurre il proprio capitale sociale.
Le normative comunitarie e nazionali prevedono infatti che i finanziamenti erogati nell'ambito della formazione professionale vengano concessi in esito a procedure pubbliche per le quali un soggetto, per poter partecipare a una gara d'appalto, deve dimostrare solidità patrimoniale e affidabilita' economico-finanziaria.
Con l'iscrizione in bilancio di ricavi inesistenti, avvalorati ancor piu' dall'operazione straordinaria sopra descritta, la cooperativa piacentina, sull'orlo del fallimento, non solo conservava la propria operativita', ma documentava una situazione patrimoniale assolutamente falsa, simulando il possesso di requisiti economici e finanziari tali da farle ottenere, da una parte, l'indebito accreditamento presso la Regione Emilia Romagna per accedere ai fondi pubblici relativi alla formazione e, dall'altra, di beneficiare illecitamente di cospicui finanziamenti per la realizzazione dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale.
Al termine dell'attivita', l'ammontare complessivo dei finanziamenti erogati dalla regione e incassati illecitamente dalla cooperativa dal 2012 al 2016, è risultato essere di oltre 3,5 milioni di euro, a carico del fondo sociale europeo (fse), del fondo regionale disabili (frd) e degli incentivi messi a disposizione dalla legge n. 236/93 per i lavoratori dipendenti delle imprese.
I due imprenditori sono stati denunciati all'autorita' giudiziaria per i reati di concorso in truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche e, nei loro confronti, e' stata avanzata proposta di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, dei beni per un valore equivalente all'importo delle provvidenze pubbliche indebitamente percepite, ovvero per 3,5 milioni di euro.
Le irregolarità constatate sono state inoltre comunicate alla regione emilia romagna, ente gestore della spesa, al fine di consentire alla stessa – sin dalle prime battute dell'indagine fattivamente collaborativa con i militari delle fiamme gialle – di avviare l'azione di recupero delle somme indebitamente erogate.
dei fatti sopra descritti e' stata notiziata, infine, la procura regionale della Corte dei Conti.
Quest'ultima operazione conferma il costante impegno del corpo nella lotta agli sprechi e alla tutela degli interessi economico-finanziari dello stato e dell'unione europea, al fine di evitare la sottrazione di risorse pubbliche al sostegno del tessuto produttivo nazionale e contribuire ad assicurare il corretto funzionamento dei comparti economici del paese.
Si tratta di una giovane romena di 27 anni che ha messo a segno diversi colpi fingendo di conoscere la persona derubata. Viaggia a bordo di una Fiat Bravo condotta da un complice.
di Manuela Fiorini Carpi (MO) – Non ci si può più fidare...neanche di un abbraccio. È proprio questa la tecnica adottata da una giovane rumena di 27 anni per mettere a segno furti ai danni soprattutto di anziani a Carpi e nella Bassa modenese, ma si indaga su un caso analogo a Sassuolo per capire se l'autrice può essere la stessa.
L'ultimo in ordine di tempo in Corso Fanti, nel centro storico di Carpi dove un anziano ha visto la ragazza corrergli incontro e gettargli le braccia al collo, facendo finta di conoscerlo. Non gli ci è voluto molto, però, per accorgersi di essere stato derubato della catenina. L'uomo ha quindi chiamato i Carabinieri della Compagnia di Carpi, che dalla descrizione della donna hanno riconosciuto la giovane romena, con precedenti specifici e hanno deciso di diramarne la fotografia a fini investigativi, con la raccomandazione, in caso di avvistamento o di incontro, di starle alla larga e chiamare il 112, ma, soprattutto, di sfuggire al suo abbraccio truffaldino. La donna si sposterebbe a bordo di una Fiat Bravo condotta da un uomo, suo complice.
Il consiglio si rivolge soprattutto agli anziani, vittime "preferite" di questi truffatori, che fingono di essere amici o conoscenti. Sono stati segnalati diversi casi di furti messi a segno con la stessa tecnica. In particolare, nella Bassa modenese, due anziani sono stati derubati a Mirandola e a San Felice, domenica mattina, sempre a Carpi, in via Barozzi, un'84 enne è stata "alleggerita" della catenina, mentre nel pomeriggio di lunedì, a Modena, in via Boni, una 85 enne è stata avvicinata da una donna che, fingendosi una sua conoscente, è riuscita a farsi consegnare gioielli e 700 euro in contanti prima di sparire nel nulla.
Ora le Forze dell'Ordine stanno cercando di capire se dietro a questa serie di eventi ci sia un'azione criminale organizzata.
Nel corso della nottata, a Napoli, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bologna e della Compagnia di Bologna Centro, supportati dai militari del Comando Provinciale di Napoli, hanno dato esecuzione a un provvedimento di custodia cautelare, ponendo agli arresti domiciliari due cugini ventiquattrenni napoletani, ANTONIO MUSTO E MAURIZIO MUSTO.
Bologna 9 marzo 2018 - L'operazione nasce dai risultati conseguiti durante l'esecuzione dell'indagine "Avvoltoio" che il 30 settembre del 2016 aveva visto l'arresto di otto persone riconosciute quali componenti di un'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe in danno di anziani. Le perquisizioni effettuate nei domicili degli arrestati avevano permesso di acquisire del materiale (telefoni cellulare, tablet, pc) che, una volta analizzato, ha fatto emergere delle responsabilità a carico di altri soggetti, allora ignoti, facenti parte dello stesso sodalizio criminale.
Dal febbraio 2016, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bologna e della Compagnia Bologna Centro hanno avviato una complessa indagine finalizzata a disarticolare un sodalizio criminale dedito, appunto, alle truffe con la cosiddetta "tecnica della cauzione".
Le investigazioni, condotte sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Bologna – diretta dal Procuratore Capo, dott. Giuseppe Amato - e svoltesi anche con l'ausilio di intercettazioni telefoniche e servizi di osservazione e pedinamento, hanno permesso di individuare l'esistenza di un'organizzazione criminale specializzata nelle truffe alle persone anziane, con sede esecutiva a Napoli, composta da una pluralità di "batterie", attive sul territorio nazionale in maniera autonoma. Nello specifico, è stata individuata una "batteria" riconducibile al clan "Marsicano-Esposito" di Casoria, composta da soggetti suddivisi stabilmente in "aliquote specializzate", una "cellula di telefonisti/terminalisti", soggetti stanziali a Napoli incaricati di:
- individuare e contattare come "avvocato" le potenziali vittime, grazie a siti web che abbinano l'indirizzo al numero del telefono fisso;
- provocare il contatto con il finto Carabiniere, spesso presentato come "Maresciallo Primo", per rassicurare la vittima, invitata a comporre un numero di telefono della caserma dei Carabinieri, senza rendersi conto che il truffatore, in realtà, non interrompe mai la comunicazione;
e un "aliquota di emissari", due soggetti, presenti sui luoghi delle truffe, in contatto diretto con i telefonisti, a cui suggeriscono gli indirizzi e che riscuotono le finte cauzioni dalle vittime.
Le indagini hanno permesso di accertare che l'organizzazione criminale in questione è collegata al clan "Contini" di Napoli, a cui viene corrisposta una tangente, che nel corso delle conversazioni è invocata in maniera convenzionale con i termini di "pesone" o "carosiello", ed il cui pagamento, a titolo di protezione, è ritenuto indispensabile per poter operare in tutta "tranquillità" e "sicurezza".
In particolare, il "canovaccio" abituale prevedeva l'entrata in scena del sedicente "avvocato Molinari", che componeva numeri di telefono di abitazioni di una medesima via/quartiere, reperendoli da siti internet, fino a quando non s'imbatteva in una persona anziana in casa da sola. L'avvocato cercava di convincere l'anziano che per evitare l'arresto del proprio parente, coinvolto in un fittizio incidente stradale e per questo motivo trattenuto in una caserma dei Carabinieri, era necessario pagare una determinata somma, generalmente qualche migliaio di euro, da consegnare a un suo collaboratore che si sarebbe presentato quanto prima presso l'abitazione. Per rendere il tutto ancora più credibile, la conversazione proseguiva con l'intervento telefonico del "finto" maresciallo dei carabinieri, che si presentava come "Maresciallo Primo", con il compito di carpire definitivamente la fiducia della vittima "rassicurandola" sulle buone intenzioni dell'avvocato.
La truffa si consumava quando la vittima consegnava al "collaboratore dell'avvocato", che nel frattempo stazionava nei pressi della via/quartiere preso di mira, il denaro richiesto. In molte circostanze, poiché le persone anziane non detenevano in casa grandi somme di contante, i truffatori si facevano consegnare gioielli o preziosi. Le indagini hanno acclarato che alle truffe partecipavano, direttamente o indirettamente, componenti d'intere famiglie, uomini, mogli, madri e figli, non solo con compiti operativi ma anche di collegamento con gli emissari (intervenendo all'occorrenza anche in prima persona) nonché logistici, reperendo numeri di telefoni di cellulari ma anche autovetture con cui spostarsi, trasformando così l'attività illecita in un vero e proprio "affare di famiglia" dal quale tutti traevano sostentamento. Il GIP del Tribunale di Bologna – Dott.ssa Francesca Zavaglia, recependo le risultanze investigative, ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 2 soggetti, incensurati, posti agli arresti domiciliari, ravvisando nelle condotte dei correi il reato di cui all'art.416 C.P.
Il provvedimento di oggi si colloca su quella stessa linea giuridica tracciata dalla Procura della Repubblica e concordata dall'ufficio G.I.P. del Tribunale di Bologna che nel settembre 2016 inaugurò un impianto accusatorio assolutamente originale, innovativo ed efficace rispetto alla fattispecie delittuosa: aver fatto emergere la matrice ideativa comune ed aver individuato gli elementi fattuali costitutivi di un'associazione finalizzata a commettere una serie elevatissima ed indeterminata di truffe pluriaggravate in danno di anziani, con condotta protratta nel tempo ed ancora in essere, agendo mediante ripartizione dei compiti, con carattere di continuità e stabilità. Tale contestazione ha permesso di aggredire in modo incisivo fenomeni delittuosi nei cui confronti, se presi singolarmente, la normativa vigente non offre strumenti di contrasto efficaci e adeguati.
Gli odierni arrestati sono accusati di aver commesso almeno quattordici truffe consumate e svariati altri tentativi a danno di persone anziane, con un metodo che può ormai dirsi, purtroppo, consolidato e comune a diversi gruppi criminali dediti a questa tipologia di reato, che hanno eletto la nostra provincia a territorio di "caccia" privilegiato in ambito nazionale.
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1. Foto Copertina - conferenza stampa – Comando Provinciale Carabinieri Bologna.
Nella foto, da sinistra, Maggiore Diego Polio, Comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Bologna e Luogotenente Salvatore D'Elia, Comandante della Stazione Carabinieri Bologna Indipendenza;
2. Foto Maurizio Musto e Antonio Musto - interno al testo;
3. in allegato il Comunicato stampa Indagine Avvoltoio del 30 settembre 2016.
Dalle prime luci dell'alba i militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria in collaborazione con personale dei Comandi Provinciali di Bologna, Pescara e Vibo Valentia stanno eseguendo, su disposizione della Procura della Repubblica di Velletri, un'ordinanza di custodia cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di nr. 7 persone tutte accusate,
unitamente ad altre 8 denunciate a piede libero, della commissione, in tutto il territorio nazionale, di reati inerenti l'illecito utilizzo di carte di credito clonate.
L'indagine ha tratto spunto da una comunicazione inviata dall'Ufficio sicurezza della società NEXI s.p.a. (già Cartasì S.p.A), che gestisce il circuito di pagamento con moneta elettronica, con la quale venivano segnalati dei tentativi di pagamento effettuati presso un'azienda di autotrasporti di Pomezia risultati anomali per l'entità dell'importo e l'origine estera della banca che aveva emesso le carte di credito utilizzate. L'informazione, così pervenuta al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, è stata inquadrata in un contesto più ampio in virtù delle specifiche informazioni istituzionalmente demandate al reparto.
L'analisi condotta dagli specialisti del Gruppo Antifalsificazione Monetaria e degli altri mezzi di pagamento (GAM) si è orientata ad esaminare le modalità con cui è stata eseguita l'operazione, approfondendo il profilo dei soggetti emergenti. E' stato così subito appurato che alcune carte di credito utilizzate nella circostanza erano state già adoperate per effettuare pagamenti, in frode, in altre località d'Italia. Sul versante soggettivo gli indagati, molti dei quali di origine calabrese, erano già noti al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, sia per alcuni precedenti specifici, sia perché presenti nell'archivio delle segnalazioni di operazioni sospette antiriciclaggio assegnate per gli sviluppi investigativi al predetto reparto che, come noto, su tale versante opera a livello nazionale. Fin dalle prime indagini, quindi, l'analisi accentrata dei flussi finanziari ha consentito di correlare le singole condotte illecite ed i relativi responsabili con le informazioni provenienti dagli istituti di credito e con quelle istituzionalmente esaminate in relazione alle segnalazioni di operazioni sospette. Proprio dall'esame di alcune di esse si trovava conferma dell'operatività del gruppo criminale: risultava, infatti, una movimentazione anomala per una somma pari a novemila euro, bonificata da un agriturismo (punto compromesso) in favore di uno degli indagati in possesso di una carta di credito clonata.
Le informazioni così contestualizzate consentivano di rappresentare all'Autorità Giudiziaria un quadro completo delle frodi commesse e di avviare più penetranti attività di intercettazione che hanno consentito di ampliare il novero dei soggetti compiacenti e di disvelare il modus operandi attuato dai membri del sodalizio.
Nello specifico, l'attività criminale veniva realizzata attraverso la preliminare individuazione dell'esercente compiacente titolare di P.O.S. presso il quale effettuare i consistenti
"pagamenti" e, contestualmente ottenere dal medesimo la restituzione del denaro relativo alla transazione eseguita decurtato di una percentuale che veniva trattenuta dal titolare dell'esercizio.
Successivamente venivano effettuati tentativi di pagamento con diverse carte di credito dapprima per importi irrisori tesi a verificare il funzionamento dello strumento di moneta elettronica e, solo in caso positivo, per importi più consistenti. In una circostanza i criminali avevano provato ad eseguire, senza successo, presso un rivenditore di auto, un pagamento da 500.000 euro con una carta intestata ad un cittadino degli Emirati Arabi.
Le risultanze delle attività tecniche eseguite, in questo caso, venivano immediatamente riscontrate presso i gestori dei circuiti di pagamento con i quali il GAM ha quotidiani rapporti istituzionali e ciò, molto spesso ha consentito di bloccare il pagamento in frode, oltre che identificare i punti di pagamento compromessi. I codici relativi alle carte di credito clonate non hanno interessato soltanto vittime italiane ma anche soggetti residenti in paesi dell'Unione Europea ovvero in altre parti del mondo. Anche
in questo senso, la conoscenza dei meccanismi della cooperazione internazionale ha consentito di risalire agli intestatari delle carte e ricostruire i loro spostamenti in Italia per confermare ulteriormente che nel periodo in cui erano state utilizzate, i soggetti non si trovavano in Italia.
In sostanza l'operazione odierna ha portato alla luce un sistema ben strutturato dedito al reperimento – sui canali nazionali e internazionali – di codici relativi a carte di credito clonate a danno di ignari titolari, poi utilizzati presso esercenti compiacenti i quali permettevano di "strisciare" le carte restituendo in contanti parte delle somme percepite. Il totale delle somme illecitamente transate ammonta a circa un milione di euro. Le indagini, svolte mediante il ricorso ad appostamenti, pedinamenti, analisi di segnalazioni di operazioni sospette inviate dagli istituti bancari, intercettazioni telefoniche e telematiche, hanno consentito di raccogliere numerosi indizi di colpevolezza in ordine a numerosi casi di frode perpetrata.
Il contenuto degli elementi di prova si è arricchito ulteriormente a seguito delle perquisizioni effettuate in tutta Italia, nel corso delle quali sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro diversi notebook, smartphone e tablet dalla cui analisi i finanzieri hanno potuto reperire nuovi elementi di dettaglio. L'esito delle investigazioni è stato riferito
all'Autorità giudiziaria inquirente che ha ritenuto di avanzare richiesta di misura cautelare per interrompere la commissione dei delitti in argomento.
L'operazione conclusa rappresenta il culmine dell'importante attività di tutela del cittadino nell'utilizzo dei moderni mezzi di pagamento.
Pensionato invalido truffato dalla badante. Dopo il matrimonio, la sottrazione dei beni e la mancanza di cure
Ha approfittato della fiducia riposta in lei dal pensionato gravemente invalido che aveva il compito di accudire, riuscendo non solo a convolare a nozze, ma anche a farsi delegare l'amministrazione del patrimonio e il disbrigo delle commissioni in banca.
Così una badante 47enne di nazionalità ecuadoregna è riuscita, in breve tempo, a sottrarre dalle disponibilità finanziarie di un 56enne piacentino alcune migliaia di euro, oltre ad accumulare debiti per quasi 1000 euro sul fronte delle utenze domestiche.
A porre fine alla situazione, la denuncia presentata dai familiari del pensionato alla Polizia Municipale di Piacenza dopo aver riscontrato, in diverse occasioni, atteggiamenti e comportamenti della donna pericolosi e potenzialmente lesivi per la salute dell'uomo. E' inoltre emerso, dal racconto dei parenti, che sempre più spesso la donna si allontanava anche per giorni interi, lasciando solo a casa e senza accudimento il marito non autosufficiente.
I controlli e le articolate indagini condotte dalla Polizia Municipale hanno delinato una situazione sfociata nella denuncia a carico della moglie, per violazione degli obblighi familiari e sottrazione di beni comuni. Le conseguenti verifiche anche sul fronte economico, infatti, hanno permesso di scoprire i debiti nei confronti dell'istituto bancario e di altri enti. La donna è stata rinviata a giudizio.
(Piacenza 20 febbraio 2018)
I militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Monza hanno dato esecuzione, questa mattina, ad un'ordinanza di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Monza, nei confronti di 18 persone – residenti in alcuni comuni brianzoli e in provincia di Milano – indagate per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
Le indagini sono scaturite da una denuncia per truffa presentata, a novembre 2015, alla Guardia di Finanza di Ivrea (TO) da un sessantasettenne che era stato indotto, attraverso numerose e pressanti telefonate ricevute da un sedicente avvocato, a pagare con bonifici circa 8.000 euro per saldare dei presunti debiti – in realtà inesistenti – relativi ad abbonamenti a riviste.
Dopo i primi accertamenti condotti dai Finanzieri piemontesi, in collaborazione con i colleghi di Monza, si scopriva che le basi operative dei truffatori erano già da tempo attive a Brugherio (MB) e a Cologno Monzese (MI) e quindi il fascicolo penale veniva trasferito dalla Procura di Ivrea a quella di Monza, che delegava le ulteriori indagini al locale Gruppo della Guardia di Finanza.
Il Nucleo Mobile delle Fiamme Gialle monzesi proseguiva così l'attività investigativa, che si è articolata in intercettazioni telefoniche ed ambientali, servizi di osservazione e pedinamento, nonché indagini finanziarie ed ha consentito di ricostruire una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla commissione sistematica di truffe in danno di persone che in passato avevano effettivamente sottoscritto abbonamenti a riviste apparentemente riconducibili alle Forze dell'ordine.
I militari hanno infatti accertato come alcuni membri del gruppo criminale, spacciandosi per avvocati, giudici, ufficiali giudiziari, funzionari dell'Agenzia delle entrate ed appartenenti alla Guardia di Finanza, contattavano telefonicamente in tutta Italia ex abbonati alle predette riviste, ai quali comunicavano debiti – in realtà inesistenti – derivanti dai pregressi abbonamenti, con conseguenti atti di pignoramento già emessi nei loro confronti, e proponevano una transazione bonaria mediante il pagamento tramite bonifico di somme di denaro per svariate migliaia di euro. Qualora le vittime non avessero accettato – questa la minaccia dei truffatori – sarebbe proseguita la procedura di recupero forzoso del credito.
Tra i casi più eclatanti, si può citare il raggiro commesso nei confronti di una donna ultra ottantenne, residente a Milano, che ha effettuato in un anno bonifici a favore dei truffatori per circa 150.000 euro.
I numeri telefonici delle vittime, per lo più persone anziane e talvolta anche disabili, venivano "comprati" illecitamente da dipendenti di imprese operanti nel settore dell'editoria e della distribuzione di riviste.
Le vittime delle truffe versavano con bonifici le somme richieste dai criminali "telefonisti" su conti correnti e carte prepagate, intestati ad altri membri dell'associazione o a dei "prestanome", i cui codici IBAN erano forniti nel corso delle telefonate. Il denaro bonificato – provento delle truffe – veniva poi prelevato, con cadenza quotidiana, presso i vari sportelli bancari e postali dagli intestatari delle carte prepagate, accompagnati dagli associati che di fatto ne avevano la disponibilità detenendo i relativi P.I.N.
A due dei promotori del sistema criminale è stato, inoltre, contestato il reato di autoriciclaggio, avendo utilizzato una parte del profitto derivante dall'attività truffaldina (225.000 euro) per acquistare un immobile intestato ad una società dagli stessi amministrata.
Secondo la ricostruzione dei flussi finanziari riconducibili agli indagati eseguita dai Finanzieri, i proventi illeciti complessivamente conseguiti dall'associazione criminale tra il 2015 e il 2016 ammontano a circa 2.000.000 di euro.
Le risultanze investigative acquisite dalla Guardia di Finanza, coordinate dalla Procura della Repubblica di Monza, hanno portato all'emissione da parte del G.I.P. di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per 8 indagati e ai domiciliari per altri 10.
Nei giorni scorsi la Compagnia di Ferrara ha effettuato una denuncia nei confronti di una società operante nel settore della locazione immobiliare di beni propri, che ha falsamente rappresentato la condizione di un immobile per il quale era stato richiesto un contributo indebito di circa 2 milioni di Euro.
Si tratta dell'ultimo caso di una sistematica azione di controllo che ha visto, sulla base dell'autonoma azione investigativa della Guardia di Finanza, l'esecuzione di oltre 100 ispezioni nei confronti sia di imprese che di persone fisiche della provincia di Ferrara, che avevano inoltrato domande al fine di ottenere dalla Regione Emilia-Romagna contributi per la ricostruzione e/o la riqualificazione degli immobili danneggiati a seguito degli eventi sismici del 2012.
Oltre il 30% delle istanze controllate sono risultate irregolari.
I contributi illecitamente richiesti ammontano complessivamente a circa 10 milioni di €, dei quali 3 milioni risultano essere già stati erogati, mentre altri 7 milioni sono stati oggetto di revoca.
Le persone indagate a vario titolo per truffa ai danni dello Stato e falsità ideologica sono state 50.
Le verifiche effettuate rientrano fra le attività delle Fiamme Gialle in materia di spesa pubblica, finalizzate a contrastare fenomeni di malversazione, indebita richiesta e percezione, truffa e truffa aggravata in danno dei bilanci pubblici.
In particolare, i casi indagati, hanno permesso di accertare che gli immobili di proprietà sia delle imprese sia delle persone fisiche controllate erano già inagibili in epoca antecedente agli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012.
Dall'esame della documentazione istruttoria acquisita presso la Regione Emilia-Romagna e gli altri Uffici pubblici e gli Enti preposti all'attività di controllo e al rilascio di autorizzazioni e di pareri, è stato rilevato che i soggetti beneficiari avevano falsamente attestato i requisiti richiesti per poter usufruire del finanziamento. In particolare gli immobili:
- risultavano già in precarie condizioni strutturali antecedentemente all'evento sismico;
- non erano idonei a ospitare attività produttive già prima degli eventi sismici.
A seguito delle comunicazioni inviate dai Reparti del Corpo alle competenti Autorità Giudiziarie, i contributi già elargiti sono stati proposti per il sequestro anche nella misura "per equivalente" e in parte già eseguiti su beni immobili, autovetture e conti correnti nella disponibilità delle persone indagate, mentre i fondi illecitamente richiesti ma non ancora erogati sono stati bloccati.
La Corte dei Conti è stata attivata per la contestazione e il recupero dei danni erariali conseguiti dai beneficiari indagati.
L'attività di controllo è stata effettuata in collaborazione e con il supporto della Regione Emilia Romagna e dei comuni interessati.
Truffe agli anziani: oltre 150.000 euro il provento dei raggiri. Le indagini sono state avviate dal Reparto Operativo dei Carabinieri di Parma, quando un'attenta signora parmigiana ha avvertito il 112 di una telefonata sospetta.
5 dicembre 2017
Telefonavano a casa delle vittime spacciandosi per avvocati, funzionari in servizio presso le cancellerie o gli uffici contenziosi - recupero crediti di vari Tribunali o presso la Corte dei Conti; segnalavano il mancato pagamento di abbonamenti a riviste riconducibili alle Forze di polizia e l'esistenza di una conseguente consistente esposizione debitoria; proponevano una transazione bonaria per estinguere il debito a mezzo di bonifico bancario di cui fornivano il codice iban per scongiurare l'attivazione del recupero forzoso del credito attraverso atti di pignoramento. Era questa la tecnica adottata da una banda che ha compiuto decine di truffe in tutta Italia, sgominata, questa mattina, dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Parma.
Arrestati 8 indagati, tutti italiani: associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di truffe e riciclaggio i reati contestati.
Le indagini
Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Monza, sono state avviate dal Reparto Operativo dei Carabinieri di Parma nel mese di febbraio 2016, quando un' attenta signora parmigiana di 75 anni riferiva al 112 di essere stata appena contattata da tale dottor Peruzzi che le imputava uno stato di insolvenza, pari a circa 4 mila euro, derivante dal mancato pagamento di alcune rate di un abbonamento ad una rivista inerente le Forze di polizia. Il dottor Peruzzi, che affermava trovarsi nella stanza di un magistrato presso il Tribunale di Milano, la sollecitava –a suoi dire in accordo con il magistrato – a liquidare l'importo, comprensivo di iva all'11%, entro il mattino successivo in modo da evitare il pignoramento dei suoi beni a mezzo di ufficiale giudiziario. Forniva anche il codice iban, l'indicazione della ditta beneficiaria e la causale del bonifico bancario: "chiusura rapporti in essere".
Le prime verifiche condotte dai militari del Nucleo Investigativo di Parma hanno ricondotto il codice iban ad un conto corrente acceso presso la United Bulgarian Bank di Sofia e che le utenze telefoniche utilizzate dal dottor Peruzzi erano intestate a persone inesistenti e peraltro mai più utilizzate dalla banda.
Come avveniva la truffa: la scelta delle vittime
L'indagine che ha consentito di documentare 16 casi di truffe (ma si ritiene siano molti più numerosi) e di impedire che fossero portati a consumazione numerosi altri tentativi ha dimostrato che il modus operandi era consolidato e si fondava su un'organizzazione strutturale perfettamente aderente alla realizzazione del programma criminoso. Dagli sviluppi investigativi è emerso infatti che nella quasi totalità dei casi le vittime avevano effettivamente sottoscritto in precedenza abbonamenti a riviste e che i loro nominativi erano confluiti in un archivio in possesso di uno dei componenti dell'organizzazione criminale A.D. (classe 1973) operante nel settore dell'editoria.
A fronte della prospettazione della omessa tempestiva disdetta degli abbonamenti, gli indagati richiedevano alle vittime il pagamento di somme rilevanti, variabili tra 2mila e 6 mila euro, minacciando conseguenze legali in caso di inottemperanza alle richieste formulate. Nell'ipotesi di pagamento immediato la vittima beneficiava invece di uno sconto anche fino al 50%. Gli approfondimenti dei militari del Nucleo Investigativo hanno definito il ruolo di tutti i componenti l'associazione criminale: V.F. (classe 1981), operante nel settore immobiliare, abile organizzatore del gruppo, era preposto alla ricerca delle basi logistiche, fornendo gli arredi, i telefoni cellulari e le relative schede; M. G. (classe 1977), S.A. (classe 1984), N.B (classe 1989) e P.F. (classe 1992) erano i telefonisti del sodalizio che si presentavano rispettivamente come il dottor Peruzzi e il dottor Paganella i primi due e la dottoressa Perego e la dottoressa Nava le ultime, ovviamente tutti nomi di fantasia.
In caso di esito favorevole del meccanismo fraudolento messo in piedi, il maltolto veniva suddiviso al 50% tra il telefonista e i primi due indagati (A.D. e V.F.); M.F (classe 1974) era intestataria di 4 conti correnti postali tra cui quello indicato alle vittime per l'effettuazione dei bonifici; M.S. (classe 1961) era intestatario di una carta postepay sulla quale il sodalizio criminoso faceva transitare i profitti del reato. Agli ultimi due indagati il Pubblico Ministero di Monza, dottoressa Michela Versini, ha contestato anche il reato di riciclaggio per avere ricevuto sulle rispettive posizioni bancarie i bonifici provento delle truffe commesse dal sodalizio e compiuto o fatto compiere operazioni tali da occultare la provenienza delittuosa del denaro.
In quattro dei casi documentati e compendiati nell'ordinanza del Giudice per le Indagini preliminari di Monza, dottoressa Pierangela Renda, agli indagati è stata contestata l'aggravante di aver profittato dell'avanzata età delle vittime.
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