Lo stridente contrasto tra la digitalizzazione e la ‘fisicità’ del presente
Di Coopservice 31 marzo 2022 - Pandemia vs guerra alle porte dell’Europa. Le 2 tragedie collettive che stanno marchiando a fuoco la contemporaneità, prenotandosi un posto nei libri di storia, hanno un punto in comune: la sofferenza indicibile di moltitudini di persone quale richiamo alla materialità, o meglio alla fisicità della condizione umana. Respiro, dolore, sangue.
Quanto di più lontano dalla progressiva digitalizzazione delle nostre vite, con la promessa del nuovo mondo che verrà, dominato dal ‘metaverso’.
La spinta alla digitalizzazione delle tragedie collettive contemporanee
Si tratta di una lontananza in buona parte però colmata dall’accelerazione della familiarizzazione con le tecnologie digitali che proprio questi due eventi spaventosi hanno assecondato.
Per necessità, nel caso della pandemia, o per insaziabile fame di informazione-rassicurazione di fronte agli scenari da brividi indotti dalla guerra ucraina (i principali siti informativi vengono aggiornati continuativamente, anche durante le ore notturne).
Ciò vale in particolare ovviamente per la pandemia, con la necessità di far fronte ai lunghi periodi di lockdown con modalità di smart working che hanno favorito l’abitudine all’uso di piattaforme e app di interazione quali surrogati alla presenza sul posto di lavoro.
La visione della trasformazione: dall’Internet ‘mobile’ all’Internet ‘in presenza’
Familiarità, presa di coscienza, sperimentazione diretta di modalità diverse di lavoro e di relazione: brodo di cultura che favorisce la comprensione e l’interesse nei confronti degli scenari che l’inarrestabile evoluzione tecnologica rende possibili.
Su tutti, la paventata evoluzione verso il nuovo mondo digitale parallelo, in cui la nostra esperienza di contatto con la Rete potrebbe trasformarsi completamente, passando dall’Internet ‘mobile’ attuale all’Internet ‘presente’ basato sull’esperienza ‘immersiva’. “Invece di guardare attraverso una piccola finestra saremo all'interno delle nostre esperienze”, spiega Mark Zuckerberg. È il mondo del metaverso.
L’origine semantica del Metaverso
Assurto ad argomento di interesse dell’informazione mainstream a partire dalla ridenominazione in ‘Meta’ della holding di controllo di Facebook&C, il metaverso non è in realtà un concetto nuovo.
Fa il suo apparire nel 1992, con il romanzo di fantascienza ‘Snow Crash’ di Neal Stephenson, e descrive un mondo virtuale dove le persone trovano rifugio da quello reale, pieno di illusioni, pericoli e violenze.
Ancora una volta un suggestivo accostamento alla realtà contemporanea, con l’annuncio di Mark Zuckerberg che quasi si sovrappone allo scoppio della guerra ucraina.
E quasi in continuità, o in alternativa secondo i punti di vista, con l’altro progetto visionario (Elon Musk) di colonizzare Marte per offrire una seconda chance all’umanità se il pianeta divenisse invivibile o distrutto da una catastrofe.
Le componenti costitutive del Metaverso: AI, VR, AR, Avatar
Ma di metaverso nel mondo IT si parla da tempo, trattandosi del portato del continuo sviluppo delle tecnologie di realtà virtuale (VR) e realtà aumentata (AR), a loro volta frutto sempre più maturo delle conquiste dell’intelligenza artificiale (AI).
Il metaverso è un universo di spazi virtuali dove comunicare, creare, operare, esplorare, giocare, acquistare, commerciare attraverso propri io digitali (avatar) tridimensionali.
A differenza dell’interfaccia tradizionale con la Rete, il metaverso supera le barriere fisiche dei device e può rendere possibile il ‘feeling of presence’, cioè la sensazione di essere veramente lì, in quel luogo dove interagiamo con gli altri avatar di persone che si trovano in luoghi fisici diversi.
Un luogo costruito digitalmente: sia esso un ufficio, una sala riunioni, un edificio in costruzione, un supermercato, un campo di tennis o una barca a vela che solca l’oceano.
Vita ‘reale’ in un mondo virtuale: le esperienze immersive del Metaverso
Insomma, una varietà potenzialmente infinita di luoghi e di situazioni in cui noi, esistenti come avatar 3D, attraverso i poteri della realtà aumentata (AR) e della realtà virtuale (VR), possiamo muoverci liberamente, dialogando e interagendo con gli altri, vivendo scenari di vita reale ma in un mondo virtuale.
Esperienze ‘immersive’, dunque, che ci consentiranno progressivamente di simulare il più possibile il contatto fisico diretto con luoghi e persone reali, o con meraviglie del presente e del passato (ad esempio una passeggiata tra i palazzi dell’antica Roma), quasi riproducendo l’antico miraggio fantascientifico del teletrasporto.
L’azzeramento di distanze e barriere: il potenziale rivoluzionario del Metaverso
E nel lavoro, così come nella formazione, l’avvento del metaverso può davvero significare una rivoluzione.
Fino ad ora la tecnologia è servita principalmente a mantenere la comunicazione e l’interazione sul lavoro nonostante la distanza fisica. Ma conosciamo le controindicazioni: ci manca il contatto fisico, il linguaggio del corpo e dei gesti, le occasioni informali in cui si condividono idee e opinioni con i colleghi.
Si tratta di sottrazioni di stimoli che possono portare a forme di demotivazione e a cali di creatività. Mancanze che l’uso delle chat, delle videochiamate e delle piattaforme di teleconferenza non riescono a compensare.
Proprio quello che invece si propone il metaverso, con la possibilità di unirci al nostro team in spazi di lavoro virtuali che replicano quelli reali, trovandoci seduti di fronte agli avatar dei nostri interlocutori.
E con in più la possibilità di accedere in tempo reale ad innumerevoli opportunità irraggiungibili nel reale: ad esempio la profilazione degli altri partecipanti o la traduzione simultanea.
L’inarrestabile progresso dell’intelligenza artificiale e degli strumenti di VR
Visioni eccessive? Sviluppi prematuri che si scontrano con la difficoltà a replicare digitalmente l’agire umano?
In realtà i progressi nell’AI sono continui ed i passi avanti sono stati enormi. Già oggi esistono diverse piattaforme in uso e sperimentazioni in atto da parte di aziende globali, quali ad esempio Accenture attraverso la piattaforma social VR Altspace di Microsoft.
Così come è in grande sviluppo la creazione di strumenti tecnologici portabili che consentono l’accesso alla realtà virtuale e aumentata: visori, caschi, occhiali, guanti ‘motion capture’ capaci di catturare accuratamente ogni nostro movimento per riprodurlo fedelmente, pilotando strumentazioni sofisticate che operano a distanza e, in taluni casi, in condizioni estremamente rischiose oppure per imparare, in contesti simulati e protetti, a gestire situazioni critiche che potrebbero condurre a risultati drammatici nella realtà in caso di errore umano.
Anche in Coopservice stiamo investendo in ricerca e innovazione nel campo della realtà virtuale, dell’IoT e dell’intelligenza artificiale, scommettendo su un futuro in cui la tecnologia avanzata migliorerà significativamente le performance dei servizi di facility, incluso il cleaning, nella gestione degli smart building.
Il Metaverso ‘indossabile’
L’evidente tendenza è quella di ‘alleggerire’ progressivamente l’ingombro della strumentazione necessaria, prefigurando l’evoluzione verso dispositivi indossabili e sempre meno invadenti.
Fino ad arrivare alla visione estrema dell’AD di Microsoft Satya Nadella secondo cui grazie alla progressiva digitalizzazione dello spazio potremmo arrivare addirittura a non avere bisogno di nulla per entrare negli spazi VR e AR.
Perché “l'intera idea di metaverso è fondamentalmente questa: sempre più, man mano che incorporiamo l'informatica nel mondo reale, potremo persino incorporare il mondo reale nell'informatica”.
Una nuova dimensione dell’esperienza umana o fuga dalla realtà?
Non tutti tra gli addetti ai lavori condividono la previsione entusiastica del successo del nuovo mondo del metaverso.
Secondo Jacob Silverman, della storica rivista culturale statunitense New Republic, il metaverso può essere visto come “un’emozionante fuga digitale dal nostro mondo”, ovvero una sovrapposizione edulcorata su quello esistente e imperfetto.
John Hanke, fondatore e amministratore delegato di Niantic, la società produttrice del videogioco per smartphone Pokémon Go, ha definito il metaverso “un incubo distopico”. “Non nego che il metaverso sia un concetto affascinante da un punto di vista tecnologico”, ha scritto Hanke, dicendosi però fermamente convinto che la tecnologia sia più gratificante quando coinvolge l’interazione nel mondo reale e migliora l’esperienza umana: “In Niantic incoraggiamo tutti, inclusi noi stessi, ad alzarsi, camminare all’aperto e connettersi con le persone e il mondo che ci circonda.
È ciò per cui noi esseri umani siamo nati, il risultato di due milioni di anni di evoluzione umana e, di conseguenza, queste sono le cose che ci rendono più felici. La tecnologia dovrebbe essere utilizzata per migliorare queste esperienze umane fondamentali, non per sostituirle”.
Come sempre il futuro sarà l’unico arbitro della questione.