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Il silenzio è comunicazione e trasmette messaggi di relazione. È soggetto come qualsiasi altro messaggio a comprensione e fraintendimenti, che sottostà a regole di codifica e decodifica. Il silenzio comunica diventando al momento regolatore del contesto contribuendo a determinarlo in una nuova fisionomia. Da regolatore della situazione diventa un messaggio non più convenzionale – fatto di riti – ma un messaggio intenzionale e, in quanto ambiguo, chiede di essere decodificato. All'interno di un rapporto la parola contiene la parola dell'altro. Il silenzio è un messaggio che parla della relazione, che la commenta e, in quanto tale, si può considerare una forma di meta-comunicazione.
di Guido Zaccarelli Mirandola 8 settembre 2018 - Comunicare significa mettere in comune agendo sulla relazione alla pari, significa trasmettere. Le persone impiegano parole convenzionali per descrivere la trasmissione di un comunicato, come inviare, trasferire, notificare, far vedere, far sentire, illustrare, far conoscere, investire, contagiare, partecipare, unire, mettere in comune con gli altri tutto ciò che è nostro.
La comunicazione avviene tra individui che rappresentano le fonti della trasmissione (ricevente e trasmittente) e impiegano un veicolo, come mezzo per comunicare, e una strada nella quale fare scorre il messaggio che rappresenta l'oggetto della comunicazione. Tutto questo può avvenire in presenza di uno strumento che permette al messaggio di andare da una fonte all'altra e viceversa. Chiunque emetta, o provoca un suono che si manifesta con segnali o simboli, è fonte di trasmissione e deve continuamente tener presente le eventuali interferenze che il messaggio può incontrare durante il tragitto, dal momento in cui è compilato al momento in cui raggiunge il destinatario. Il messaggio può essere vocale, o per iscritto, e favorire la presenza di ragionamenti e/o condizionare le convinzioni, atteggiamenti e comportamenti. Le due forme prevedono la presenza di un codice che incorpori le regole per essere compreso dal ricevente. In tutto questo è fondamentale il modo – il come – il destinatario riceverà il messaggio che dipende anche dalle condizioni del destinatario nel momento in cui viene in contatto.
L'interpretazione è fortemente condizionata dalla presenza di interferenze che ostacolano il naturale scorrimento del messaggio da una fonte all'altra. Un caso tipico e legato al messaggio rivolto al nostro compagno di viaggio in treno, mentre attraversiamo una galleria, dove la mancanza di luce può indurre una sensazione di disagio nel nostro destinatario interferendo sulla nostra comunicazione e sulla comprensione. L'interferenza può essere la forte luce, il calore intenso o il freddo glaciale o il rumore. Può esservi interferenza nello strumento di ricezione. Un altro caso tipico possiamo incontrarlo quando il nostro messaggio verbale non incontra nessun tipo di interferenze dalla fonte di trasmissione allo strumento di ricezione ma il nostro destinatario ha l'auricolare del telefono che non funziona in modo corretto.
Ad esempio non dobbiamo trascurare i vizi di ricezione costituiti dalla mancanza di uno strumento idoneo ( gli occhiali) e da un difetto di vista (daltonismo). Quando le persone parlano apparentemente tutto sembra facile per l'azione messa in atto dal feedback (positivo-negativo–neutro) che le persone ricevono dal contesto nel quale sono collocate. Il problema sorge innanzi alla interpretazione di una comunicazione non verbale che necessita di uno sforzo maggiore per interpretare il messaggio evocato dai gesti. Maggiori sono le situazioni dove è presente il silenzio, indicato come regolatore dell'incontro, in grado di determinare il grado di accettabilità sociale e della sua durata all'interno di una data cultura. Da esso ricaviamo anche il modo di interpretarne il diverso significato: ad esempio stare in silenzio ad un funerale significa osservanza delle regole, prima di tutto, ma significa anche esprimere dolore e rispetto. Trasgredire il silenzio o, in altre occasioni, sfidare le regole mantenendo silenzi più o meno lunghi significa ancora qualcosa. Un silenzio esagerato può volere dire risentimento oppure noia o ancora, altrove, ignoranza oppure insubordinazione.
Cos'è il silenzio, oltre ad essere una cosa in talune circostanze accettabile, in altre auspicabile e in altre ancora cosa? La sua trattazione è importante per il ruolo che svolge nell'atto comunicativo e non trattarlo in questo articolo rischierebbe infatti di venire identificato in modo ambiguo e in negativo o come fenomeno contrapposto a rumore o, in termini interattivi, come mancanza di comunicazione. Il silenzio, inquadrato e governato da particolari regole contestuali come la pausa, la sospensione del contatto, non si pone più come inespressiva assenza intenzionale, mancanza di messaggio tra un emittente A e un ricevente B sospesi nel vuoto, ma come fenomeno indicante una presenza, la presenza di un particolare tipo di comunicazione.
Sono perciò le regole delle diverse interazioni comunicative, quelle stesse che impongono il silenzio, lo proibiscono, ne prescrivono la durata, che definiscono e codificano un certo comportamento come "silenzio". In termini di regole conversazionali, sappiamo che un parlante segnala la fine del proprio turno di intervento all'altro con un silenzio che, però, non è vissuto come silenzio fino a che non superi una certa durata. Qualora ciò avvenga è sempre possibile da parte dell'ultimo locutore eliminare l'imbarazzo che si può venire a creare trasformando l'interruzione in pausa del proprio discorso e riprendere a parlare.
Ad esempio conosco bene il mio partner, lo so mediamente loquace, e uso passare insieme a lui lunghe ore si silenzi e non-silenzi. Torno a casa, magari annunciando un allettante progetto da attuare insieme e non trovo risposta, ma una persona silenziosa che continua a disbrigare le sue solite azioni quotidiane. Che cosa penso io? Che quel silenzio vuol dire qualcosa, che c'è qualcosa che non va? Che ce l'ha con me. E' probabile allora che anch'io, avvertito un clima alterato e di apparente negatività, faccia a mia volta l'arrabbiato, e si inneschi da qui una dinamica particolare di ostilità. Per spiegare la codifica e la comprensione interpersonale del silenzio si può ricorrere anche alle regole generali della conversazione, così come lo descrive il filosofo inglese Paul Grice (1975).
La violazione – nel senso dello sfruttamento – di queste, in particolare del principio di cooperazione: «conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall'intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato», per quanto concerne il silenzio, è proprio ciò che permette di interpretarlo come messaggio significativo. Grice con il principio di cooperazione vuole sottolineare l'importanza delle convenzioni sociali per facilitare l'interazione sociale, ovvero mettere in risalto l'interpretazione degli enunciati che dipendono dal contesto in cui si trovano i parlanti. L'inferenza aggiunge dettagli rispetto a quanto effettivamente viene espresso al momento. Grice definisce quindi le implicature conversazionali riferendosi a ciò che non viene detto ma quello che viene detto contribuisce a definire sottolineando l'importanza del dare intendere qualcosa per qualcosa d'altro rispetto a ciò che si dà per intendere.
A questo punto il silenzio intenzionale passa di nuovo da "sfondo" a "figura" (l'implicito diventa esplicito) e diventa a sua volta regolatore del contesto, contribuendo a determinarlo in una nuova fisionomia. A tale scopo è fondamentale riportare alla mente la teoria della Gestald – della forma – per l'importanza associata al rapporto figura - sfondo correlata alla visione dell'uomo di stati della realtà dove l'immagine osservata è sempre influenzata dallo sfondo che condiziona la percezione del contesto. Da "regolatore della situazione"; diventa messaggio non più convenzionale, rituale, ma messaggio intenzionale e, in quanto ambiguo, chiede di essere decodificato.
Ad esempio un adolescente sta in un angolo silenzioso, con aria infelice. Ad esempio tutto desidera fuorché si rispetti il suo silenzio, che non gli si parli e che si intenda alla lettera il suo messaggio come: voglio stare solo e zitto. Piuttosto, vuole che qualcuno gli si avvicini per chiedergli perché sta solo e zitto. Tanti possono essere i significati del silenzio e tanti i suoi usi funzionali. A dice qualcosa a B, non fa commenti. Lo scopo del suo silenzio è quello di comunicare disapprovazione per quanto A ha detto. A può comprendere il significato del silenzio di B, oppure può fraintenderlo, interpretarlo con disinteresse attivo, ostentato, oppure può interpretarlo come di disinteresse, ma svuotato del suo significato intenzionale, come "nulla da dire". All'interno di un rapporto la parola contiene la parola dell'altro, si pone di fronte ad essa alludendovi, commentandola implicitamente, e così facendo, la conferma o la smentisce, l'accoglie o la contrappone ad essa. Quando il gioco sincronizzato delle parole si sfasa e l'assenza diventa avvertibile, si sostituisce il gioco dei silenzi con il suo codice di rimandi e di interpretazioni. Una grammatica del silenzio non è ancora stata formulata, ed è difficile formularla, perché le regole di decodifica dei silenzi sono fortemente connesse al "contesto implicito" al rapporto particolare che vi è tra gli interlocutori, più che al "contesto esplicito" costituito dalle regole generali dei rapporti sociali.
Il silenzio è quindi un messaggio che parla della relazione, che la commenta e, in quanto tale, si può considerare una forma di meta-comunicazione. Ma, dopo aver insistito sul fatto che il silenzio è comunicazione, che trasmette messaggi di relazione, che è soggetto come qualsiasi messaggio a comprensione e fraintendimenti, che sottostà a regole di codifica e decodifica, sarebbe il caso di domandarsi qual è la peculiarità del messaggio silenzioso.
Cos'è che rende in certe situazioni il silenzio addirittura più comunicativo della parola, più forte, che ne fa esempio un inconfutabile strumento di potere? Scrive Tolstòj: " Che forma ha il silenzio! Lo so per esperienza ci si ingegna ad accumulare gli argomenti più irrefutabili contro l'avversario... Ed ecco che questi non reagisce per nulla, ma proprio per nulla... ci si immagina che egli prepari le obiezioni più probanti, si attende... e poi niente, niente del tutto. Questo modo di essere mi ha sempre colpito".
Questo commento è riferito da Tolstòj ai conflitti coniugali con la moglie: sappiamo dai diari di lui e di lei quanto spesso egli ricorresse a quest'arma e come questa sia stata vissuta come strumento di violenza. Se il silenzio è un'arma spesso vincente di conflitto, e quindi uno strumento di potere, è perché esso ha la funzione di smentire l'altro e la smentita è la situazione più catastrofica in cui possa trovarsi un individuo. Il silenzio comunica: non ho nulla da dirti, perché non esisti.
In questo "gioco del silenzio" un ruolo chiave viene assunto dagli individui i quali differiscono nella capacità di captare l'informazione trasmessa dal viso, dal corpo e dal tono di voce: quindi messaggi senza parole ovvero la produzione della comunicazione non verbale. Ad esempio un padre tace alla presenza del figlio per esprimere disapprovazione, il figlio tace al rimprovero per sottolineare la sua ribellione. Così avendo analizzato la natura comunicativa del silenzio ci troviamo a recuperare la natura silenziosa grazie alla quale, alludendo ad essa anche il silenzio può parlare. In questo "gioco del silenzio" un ruolo chiave viene assunto dagli individui i quali differiscono nella capacità di captare l'informazione trasmessa dal viso, dal corpo e dal tono di voce: quindi messaggi senza parole ovvero la produzione della comunicazione non verbale.
Riferimenti bibliografici: Il silenzio nella comunicazione – UNIMORE – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Guido Zaccarelli.
La Conoscenza Condivisa, verso un nuovo modello di organizzazione aziendale e Dalla Piramide al Cerchio, la persona al centro dell'azienda, Franco Angeli.
GUIDO ZACCARELLI:
Bibliografia: Informatica, insieme verso la conoscenza (2010) - La conoscenza condivisa, verso un nuovo modello organizzativo (2012) - Finestre di casa nostra (2013) - Dalla piramide al cerchio, la persona al centro della azienda (2016)
CURRICULUM
Guido Zaccarelli è referente dl Servizio Informativo dell'Azienda Sanitaria di Modena, presso il distretto di Mirandola. Laureato in Comunicazione e Marketing, ha conseguito un Master in Management per il coordinamento delle professioni sanitarie. Dal 2008 è docente di informatica presso l'Università di Modena Reggio.
Gli ideali vivono in simbiosi con la mente a stretto contatto con i pensieri dai quali ricevono l'energia vitale per trasformare le idee in realtà. La prossimità contagia e consente di adeguare la rappresentazione mentale al contesto reale. Gli obiettivi si raggiungono insieme per raggiungere più facilmente la verità e trovare negli ideali lo sguardo che impreziosire l'oltre.
Di Guido Zaccarelli Mirandola 30 agosto 2018 - Ogni persona vive ogni istante della propria esistenza in continuum con i propri ideali. Si è fatta una idea del mondo, di come è e di come sarà, ma soprattutto di come lo vorrebbe.
La differenza è nei valori personali e nelle azioni che mette in atto per allineare i propri ideali alla idea di un mondo diverso da quello nel quale ha fondato la propria identità. Gli ideali vivono in simbiosi con la mente a stretto contatto con i pensieri dai quali ricevono l'energia vitale per trasformare le idee in realtà.
Gli obiettivi si raggiungono insieme. Le persone nella realtà oggettiva (quella che si vede e si tocca con mano) quanto gli ideali e le idee nella realtà soggettiva (quella astratta) devono viaggiare uniti verso gli scopi comuni. Insieme è un termine che annida nel suo DNA differenti varianti in base al periodo storico e territoriale nel quale ha trovato la sua dimora iniziale, INSĔMUL, INSĬMUL. In ogni caso ciò che a noi interessa è SĬMUL che significa insieme.
Viaggiare in compagnia di altre persone che hanno le stesse idee e perseguono gli stessi ideali genera un diffuso stato di benessere che favorisce il dialogo e la nascita di relazioni sociali che vanno oltre il confine astratto che le persone hanno definito nel mondo reale. La prossimità contagia e consente di aggiornare e adeguare la rappresentazione mentale al contesto reale e di ridurre il gap in relazione ai propri scopi. La rappresentazione mentale è qualcosa che sta per qualcosa d'altro, una strategia che la mente mette in atto per favorire la nascita e lo sviluppo dei pensieri senza i quali le persone non sono in grado di gestire le azioni presenti, di programmare attività future e di esprimere un giudizio sul proprio passato.
Le immagini consentono di vedere ciò che la mente è stata in grado di produrre e creare le premesse per essere realizzate nella realtà. Un brevetto per invenzione industriale si forma nella mente e si realizza attraverso la scomposizione in fattori primi per essere successivamente riprodotti singolarmente e assemblati a fattore comune nella realtà. Il continuo dialogo che insieme mente – azione mettono in atto permette di realizzare l'idea. Le rappresentazioni mentali sono statiche in relazione alla dinamicità che fenomeni che avvengono nella realtà.
Da un lato è positivo per evitare un surplus di attività da parte della memoria di lavoro (working memory), tale da condizionare altre funzioni celebrali che necessitano di godere di elevata attenzione e priorità di esecuzione, dall'altro meno positivo per la presenza di una zona d'ombra che può contribuire a infondere difficoltà nelle scelte e azioni da intraprendere. Filippo Clerici afferma: «da soli si cammina veloci, ma insieme si va lontano...».
Insieme si condivide. Il prefisso - con - trova nella radice latina cum il NOI che rappresenta la dimensione ideale per essere parte di un insieme che unisce ciò che è diviso, rinforzando il senso di appartenenza. Lo sguardo vola verso l'alto. Con un occhio l'uomo vede la realtà da vicino. La presenza di due occhi, (binoculare) permette di alzare lo sguardo e di vedere molto lontano perché solo insieme questo è possibile. Anche la matematica tratta l'insieme con lo svizzero Leonhard Euler (noto come Eulero) impiegando i diagrammi di Eulero per rappresentare con una linea chiusa gli elementi che appartengono o sono esclusi dalla condivisione. Insieme indica il senso di appartenenza alla vita reale sposando l'idea degli ideali comuni che spingono ad andare uniti sempre più lontano.
L'oltre è per Platone il mondo delle idee: l'iperuranio, quella zona che si trova oltre la volta celeste, ben descritta nel Fedro circa nel 370 a.C. sui temi dell'anima, della follia dell'ispirazione divina e dell'arte. L'ispirazione a scrivere una delle più importanti opere della storia della filosofia greca, nasce da un dialogo tra il filosofo e Fedro mentre insieme escono dalla città di Atene per recarsi nella valle dell'Ilisso ad est della città.
L'idea trascende i confini del mondo reale per assumere la dimensione astratta – la dimensione metafisica – che trova la sua linfa vitale nella parte più alta dell'anima, quel soffio di vento, che consente di raggiungere più facilmente la verità in relazione alla propria esistenza e trovare negli ideali lo sguardo che impreziosire l'oltre.
Riferimenti bibliografici: Guido Zaccarelli, La Conoscenza Condivisa, verso un nuovo modello di organizzazione aziendale e Dalla Piramide al Cerchio, la persona al centro dell'azienda, Franco Angeli
Riferimenti sitografici: https://it.wikipedia.org/wiki ,
GUIDO ZACCARELLI:
Bibliografia: Informatica, insieme verso la conoscenza (2010) - La conoscenza condivisa, verso un nuovo modello organizzativo (2012) - Finestre di casa nostra (2013) - Dalla piramide al cerchio, la persona al centro della azienda (2016)
CURRICULUM
Guido Zaccarelli è referente dl Servizio Informativo dell'Azienda Sanitaria di Modena, presso il distretto di Mirandola. Laureato in Comunicazione e Marketing, ha conseguito un Master in Management per il coordinamento delle professioni sanitarie. Dal 2008 è docente di informatica presso l'Università di Modena Reggio.
Problem solving: l'uomo è chiamato ogni giorno a risolvere problemi. Per farlo ci vuole metodo. Il metodo è la strada che l'uomo deve percorrere per raggiungere la dimora di DIKE, la dea della giustizia, che è lieta di accompagnare, chi cerca la conoscenza, nel cuore della verità.
Di Guido Zaccarelli 25 agosto 2018 - Il metodo forma la mente a ragionare. La mancanza di una procedura sistemica impedisce di risolvere il problema.
In primis serve un foglio di carta e una penna. In secundis il problema va descritto in ogni dettaglio fino a raggiunge la dimensione indivisibile. In terzis occorre sostare sul problema avendo contezza che, se la soluzione è lontana rispetto alla via che si sta percorrendo, è necessario fermarsi e accompagnare la nave in porto e riprenderla successivamente, per dare modo e tempo alla pensiero di ricombinare tra loro gli elementi che hanno difficoltà ad organizzarsi tra loro. In questi casi la soluzione arriva sempre per insight, per illuminazione, quando la mente viene privata della dimensione emotiva e la luce rende pura l'azione della razionalità. I particolari sono molto importanti per definire l'insieme, dopo che il tutto è stato analizzato partendo dalle parti. Scrivere significa vedere e l'immagine che si forma nella mente dà forma alla luce delle idee. Lasciare per strada i dettagli significa dare una risposta incompleta al problema.
La parola metodo deriva dal greco methodos (termine composto) che indica la via e l'insieme di regole che gli individui devono seguire per raggiungere in modo razionale il sapere epistemico, il sapere vero, per raggiungere gli strati profondi della conoscenza. Quale è la forza interiore che anima l'esistenza del metodo? L'essere replicabile, modificabile e in grado di confutare i risultati ottenuti.
Il cosmo è l'espressione autentica della perfezione assoluta a cui l'uomo tende per cercare di dare un senso compiuto alla sua esistenza. Ogni giorno affina un metodo per ridurre la distanza che, come essere finito, lo separa dall'in-finito, dall'Assoluto. La delusione assale l'uomo quando il ragionamento deduttivo incontra per strada una serie di barriere insormontabili che devono essere superate e quando il ragionamento è induttivo e parte dal dettaglio per raggiungere l'insieme. Analogamente quando impiega il sillogismo aristotelico dove il ragionamento prefissa determinate premesse alle quali derivano determinate conclusioni: due sono le premesse e la terza è la conclusione. L'esempio classico del sillogismo: «tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, Socrate è mortale».
La soluzione migliore può trovarsi in breve tempo oppure essere annidata in un corpus esterno rispetto a quelle fino a quel momento prospettate. In tutti i casi è molto importante riflettere e osservare, soprattutto come gli altri osservano il problema e agiscono. L'incertezza fa nascere il dubbio e la ricerca segue la linea dell'incerto per il certo. La soluzione che viene trovata non è la migliore in termini assoluti ma relativi ed è proficua per il vantaggio economico che è in grado di esprime in quel preciso momento.
Lo psicologo e informatico statunitense Herbert Alexander Simon, uno dei padri fondatori dell'intelligenza artificiale, ha definito l'uomo un agente a razionalità limitata e la soluzione ai problemi sono l'espressione autentica di una ridotta capacità di elaborare rapidamente, e istantaneamente, una elevata quantità di dati. La soluzione al problema è sempre limitata alla risposta economicamente più vantaggiosa in termini relativi e non assoluti. Altre ricerche, altri metodi daranno risposte sempre diverse e risultati differenti. Il matematico e filosofo francese René Descartes è considerato il padre del metodo e lo formalizza quando si rende conto che non riesce a distingue il vero dal falso, dal valore zero oppure uno se prendiamo come esempio l'algebra binaria. Il dubbio nasce dal fatto che l'uomo esiste e per pensare occorre essere, ovvero esistere.
Una citazione di Cartesio dà sostanza al dubbio: «l'unico aspetto della realtà che viene percepito indubbiamente in modo chiaro e distinto è il pensiero entro il quale il dubbio viene espresso. Il pensiero è l'unica dimensione che resiste al dubbio dal quale si può partire per avviare un ragionamento successivo».
Per risolvere il problema bisogna mettere in campo un metodo. Prima di tutto occorre mettere in evidenza il problema, donargli il volo, affinché emerga incontrastata la forma rispetto al resto delle cose da analizzare: fare chiarezza e distinguere le cose, le une dalle altre.
Successivamente entra di diritto l'analisi che si preoccupa di scomporre il tutto in unità frazionarie sempre più piccole. L'osservazione favorisce la sintesi e la combinazione degli elementi per dare una nuova forma al problema. L'enumerazione controlla le fasi precedenti al pari di una revisione testuale che conferma o modifica parti di un intero testo.
Nasce il dubbio del tutto simile a quando l'uomo deve affrontare una scelta: giusta o sbagliata? Gli elementi in possesso sono sufficienti per risolvere il problema oppure è necessario cercare nuove strade e accedere ad un nuovo dominio di conoscenza? i risultati ottenuti confermano o smentiscono le ipotesi iniziali? Cartesio invita a scartare il genio malignino che si presenta per infondere il dubbio e lasciare l'uomo solo con se stesso a vivere nell'eterna incertezza, nel suo grande mistero: cogito ergo sum.
La creatività è innata e spicca nell'eccellenza di dare risposte a problemi che da sola la razionalità rende difficile. In ognuno delle quattro fasi che la compongono, preparazione, incubazione i, lluminazione (insight) e verifica e la valutazione – prosecuzione, sono presenti i momenti che segnano i passi che l'uomo deve compiere per risolvere i problemi.
Il metodo e la creatività rappresentano i paradigmi fondamentali per il problem solving ai quali si aggiunge l'applicazione rigorosa della condivisione e applicare i principi della Gestald, psicologia della forma, che si rifà alla percezione, alla esperienza e alla soluzione dei problemi dove il valore risultante è maggiore della somma dei singoli elementi.
Riferimenti bibliografici: Guido Zaccarelli, La Conoscenza Condivisa, verso un nuovo modello di organizzazione aziendale e Dalla Piramide al Cerchio, la persona al centro dell'azienda, Franco Angeli Riferimenti sitografici: https://digilander.libero.it/marinomersenne/_private/descartes/glossario.htm
https://it.wikipedia.org/wiki,
GUIDO ZACCARELLI:
Bibliografia: Informatica, insieme verso la conoscenza (2010) - La conoscenza condivisa, verso un nuovo modello organizzativo (2012) - Finestre di casa nostra (2013) - Dalla piramide al cerchio, la persona al centro della azienda (2016)
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Guido Zaccarelli è referente dl Servizio Informativo dell'Azienda Sanitaria di Modena, presso il distretto di Mirandola. Laureato in Comunicazione e Marketing, ha conseguito un Master in Management per il coordinamento delle professioni sanitarie. Dal 2008 è docente di informatica presso l'Università di Modena Reggio.
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