Fiere di Parma sta per accogliere la imminente edizione di Mercanteinfiera - dal 25 febbraio al 5 marzo, alle Fiere di Parma - che aprirà con due mostre che raccontano, attraverso la moda, 60 anni di storia italiana. L' esposizione dedicata all'arte della bigiotteria italiana e quella su abiti d'epoca, scatti e affiche pubblicitarie per fotografare il mito del mare nei primi del '900, sono i due appuntamenti da non perdere!
di Alexa Kuhne
Parma, 4 febbraio 2017
La storia si racconta anche attraverso le piccole cose, oggetti di tutti i giorni, 'pezzi' di vita che hanno rappresentato gusto e scelte di un'epoca.
Mercanteinfiera, con la collaterale "L'Oro Matto e il gioiello-fantasia nella prima metà del Novecento", vuole far scoprire gli anni difficili, quelli delle due grandi guerre mondiali, attraverso dei gioielli dell'artigianato.
Perché è stato, certo, un periodo di sconvolgimenti e distruzione, ma anche di ricostruzione, rinascita, fiducia nel futuro, voglia di vivere. Questo stato di cose si rifletteva anche su stile di vita e gusto. Prendeva corpo, soprattutto, all'indomani della Seconda guerra mondiale, l'idea che tutto dovesse essere alla portata di tutti e così la gente cercava il riscatto sociale, attraverso il possesso di oggetti che, fino a poco tempo prima, erano solo per pochi. I simboli di ricchezza, come i gioielli, diventavano piccoli sogni tangibili, trasformandosi in preziosa, abbordabile bigiotteria.
'Gioielleria democratica' si potrebbe definire, proprio perché per le tasche di tutti, forgiata nell' 'oro matto', ma in ogni caso originale per l'ampia gamma di altri materiali impiegati e raffinata per la grande abilità artigiana.
In poco tempo la bigiotteria in Italia ha raggiunto livelli prestigiosi anche grazie alla scoperta del "placcato oro", inventato già da Giulio Galluzzi a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, nel 1882.
L'esposizione che narra di tutto questo, aprirà Mercanteinfiera.
collana imitazione Bulgari per Liz Taylor Francesco di Bona, courtesy Bianca Cappello
Realizzata in collaborazione con il Museo del Bijou di Casalmaggiore (unico museo italiano dedicato alla bigiotteria), è curata da Bianca Cappello, storica e critica del gioiello e da Letizia Frigerio, direttrice del Museo. Un viaggio nella creatività e nel design che si inserisce all'interno del noto appuntamento internazionale di antiquariato, design e collezionismo vintage.
Oltre 100 pezzi realizzati in «placcato oro», in leghe metalliche, materiali plastici, paste di vetro, finto corallo, finti rubini, finti diamanti. Tutto finto, dove a brillare sono la precisione dell'esecuzione e la fantasia degli accostamenti. Un intreccio di stili e tecniche in un percorso in bilico tra moda, arte e design, che oltrepassa i confini dell'estetica restituendo, anche attraverso immagini e documenti dell'epoca, 60 anni di storia d'Italia.
I bijou hanno accompagnato gli italiani negli anni della Belle Epoque, nel dramma della guerra, per riprendersi, divertenti e geniali, negli anni della dolce vita. Un viaggio che a Mercanteinfiera inizia con gemelli da polso e sautoir in preziose perle di vetro murrino stile Grande Gatsby di moda nei primi del 900; spille a "trina" di gusto edoardiano accostate a quelle degli anni '20, ispirate dai personaggi dei fumetti come il Signor Bonaventura o il neonato Micky Mouse. E se l'Italia coloniale è declinata nei bracciali e nelle spille di ispirazione africana, il periodo fascista è segnato dai richiami all'iconografia del regime e alle sue vantate glorie.
Negli anni '40 la bigiotteria, guarda all'alta moda e alla gioielleria riproponendo il "leone" della collezione Circus di Elsa Schiaparelli del 1938 e il famoso "oiseau en cage" (uccellino in gabbia) di Cartier disegnato da Jeanne Toussaint nel 1940 in occasione dell'occupazione di Parigi dai nazisti. Perchè l'alto artigianato, così come l'arte, serve a comunicare emozioni e sentimenti.
Ancor più che l'alta oreficeria, la bigiotteria accompagna le evoluzioni del tempo. Così in mostra compaiono anche le collarette nate per esaltare le generose scollature degli abiti da cocktail, le spille in strass ideali a segnare gli esili giri-vita e la copia coeva della sontuosa collana che Richard Burton comprò da Bulgari per Liz Taylor nel 1964 rendendo il sogno di un décolleté unico, alla portata di ogni donna.
Foto Francesco di Bona courtesy Bianca Cappello
A chiudere la mostra la produzione degli anni '60 del boom economico, firmati da Ornella Bijoux per Biki, (sarta milanese che ha plasmato l'eleganza della Callas), da Emma Caimi e Carla Pellini, da Ottavio Re e Giuliano Fratti, tra i maggiori bigiottieri italiani di metà Novecento.
E il racconto, quasi naturalmente, scivola verso la seconda collaterale in programma a Mercanteinferia. "ll mare sorride da lontano: dipinti, incisioni, manifesti e oggetti intorno all'immaginario del mare" (Pad.4).
Con quali mezzi gli artisti lo hanno raccontato e come è giunto fino a noi il suo mito fatto di storie, tempeste e bonaccia, separazioni e ritorni? E come è divenuto luogo di vacanza, modificando il costume dell'Italia con un fenomeno sociale che ha plasmato per sempre il nostro modo di vivere?
Un percorso a tappe, ideato da Paolo Aquilini, Serena Bertolucci, Luca Leoncini, Laura Cattoni e Simone Frangioni del Museo di Palazzo Reale di Genova, che si snoda tra guide turistiche, abiti d'epoca, fotografie ed affiche pubblicitarie, per raccontare il mare come luogo dell'anima e di passioni. Come fu per Luigi Amedeo, Duca degli Abruzzi (1873-1933), l'ultimo inquilino di casa Savoia che abitò il primo piano nobile del Palazzo Reale di Genova. Noto soprattutto come grande esploratore e navigatore, il duca elesse Genova a sua residenza perchè commissionava le imbarcazioni, da lui stesso disegnate, ai cantieri navali di Sestri Ponente e di Voltri. Proprio In virtù della sua attività nautica nel 1906 fu acclamato presidente onorario dello Yachting Club di Genova, che gli dedicò il porticciolo.
Foto Credit Giulio Cassanelli
Le collaterali vanno a completare un'offerta che a Mercanteinfiera si rivela come sempre ampia ed articolata. I 45.000 metri quadrati di superficie espositiva accoglieranno infatti le novità proposte dei 1.000 espositori presenti. Centinaia sono i buyer che hanno confermato la propria presenza (Stati Uniti, Francia, Germania, Argentina, Austria, Russia e Spagna i paesi più rappresentati).
Nel volgere di uno sguardo, si potrà viaggiare dall'antiquariato più prezioso (troumeau, porcellane, ebanisteria settecentesca), all'orologeria più prestigiosa (Rolex, Audemars Piguet, Vacheron Constantin, ecc..). Dagli arredi pop e di design agli oggetti più stravaganti come la sezione del melo appartenuto a Shakespeare fino al collezionismo vintage: oggetti iconici come i bauli Louis Vuitton, la kelly bag di Chanel o particolari borse-gioiello, veri e propri conversation pieces. Che nessuna donna assennata considererebbe mai effimeri.
Tutto esaurito per lo spettacolo di Ert Emilia Romagna Teatro che ha visto protagonisti, oltre al gruppo di lavoro di attori professionisti, anche i 200 atelieristi.
Di Manuela Fiorini – foto di Claudio Vincenzi
Modena, 30 gennaio 2017
Un progetto sicuramente ambizioso, quello di ERT Emilia Romagna Teatro, che ha inaugurato la prima settimana di Un bel dì saremo con lo spettacolo L'ElettriCittà – Agli albori (sognanti) della modernità con la regia di Claudio Longhi. Sì, perché coordinare i 200 atelieristi, non deve essere stato certo facile. Eppure, grazie alla professionalità degli attori del gruppo ERT Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell'Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia e Simone Tangolo, e dei 19 allievi attori della scuola Jolanda Gazzerro, le quasi due ore di spettacolo hanno tenuto il pubblico incollato alla poltrona. Il Teatro Storchi di Modena ha fatto registrare infatti il tutto esaurito e parecchie persone sono dovute rimanere fuori.
L'ElettriCittà ha voluto esplorare i diversi aspetti della società e i cambiamenti epocali che si sono verificati tra Ottocento e Novecento grazie all'avvento dell'energia elettrica: dalle scoperte di Edison alle applicazioni nell'industria, nell'illuminazione delle grandi città, ai primi grandi black-out della storia, alla scomparsa della plurimillenaria dicotomia città-campagna a causa del boom industriale. Composto da diversi "quadri scenici", che hanno alternato parti recitate e cantate, lo spettacolo, esempio di teatro partecipato, ha saputo coinvolgere il pubblico grazie alla "rottura" dell'immaginario muro tra palcoscenico e spettatori. Gli attori e gli atelieristi, infatti, occupavano e popolavano non solo il palcoscenico, ma anche il sottopalco, la platea, i palchi, creando un piacevole effetto sorpresa grazie anche ai sapienti giochi di luci, che hanno implementato il coinvolgimento generale.
Si è riso e ci si è emozionati, sono nate amicizie e creati sodalizi tra i partecipanti all'atelier, provenienti da Modena, ma anche da altre città d'Italia, che con passione, impegno e un briciolo di follia, hanno aderito al progetto. Meritatissima la standing ovation finale e i numerosi minuti di applausi.
Appena il tempo di godersi il successo che gli instancabili attori di ERT, il giorno dopo sono saliti...su un autobus. E non uno a caso, ma quello di Linea F(uturo) per un viaggio - spettacolo a tappe che ha consentito di toccare e conoscere alcuni luoghi di Modena che hanno svolto un ruolo fondamentale nella storia e nello sviluppo della città, come l'Ex Manifattura Tabacchi, l'ex Amcm, sede di una delle prime centrali elettriche in Italia, ora oggetto di un importante qualificazione che ne farà un importante polo culturale, il Ma.Ta e il Teatro delle Passioni. A fare da "cicerone" ai passeggeri, l'attore Lino Guanciale, volto noto e molto amato della TV , mentre, a ogni tappa, gli altri attori di ERT hanno recitato, interpretato e raccontato la città di Modena attraverso brani di Checov, Calvino e Gaber.
Il progetto Un bel dì saremo proseguirà fino alla primavera del 2019.
Il programma dei prossimi appuntamenti su www.emiliaromagnateatro.com
Tutte le foto continuano nella galleria a fondo pagina
Venerdì 27 gennaio, alle ore 18.30, presso la libreria di via dei Tintori, a Modena, il filosofo, etologo e antropologo bolognese parlerà del suo nuovo libro edito da Mucchi. Lo abbiamo incontrato in anteprima.
Di Manuela Fiorini
Modena, 27 gennaio 2017
Ogni giorno ci confrontiamo con l'altro, o, meglio con l'Alterità, ma, anziché vederla come un'opportunità e occasione di crescita, tendiamo a chiuderci nel nostro egoismo e antropocentrismo, negandoci quindi tutte le occasioni di arricchimento che il confronto con ciò che è "altro" da noi ci può offrire. È proprio l'Alterità il tema dell'ultimo libro del filosofo, etologo e zooantropologo Roberto Marchesini, che oggi, venerdì 27 gennaio, alle ore 18.30, sarà alla libreria UBIK di via dei Tintori 22, a Modena, per presentare il suo libro Alterità. L'identità come relazione, edito da Stem Mucchi Editore con prefazione di Ubaldo Fadini.
Abbiamo incontrato in anteprima l'autore.
Come nasce questo libro e quale messaggio vuole comunicare?
"L'idea è quella di considerare il nostro tempo alla luce della alterità, un tema che io credo oggi centrale. Pensiamo dalle grandi crisi umanitarie, alle crisi geo-politiche, alle crisi ecologiche, alla distruzione della bio-diversità, alla distruzione degli animali, ai grandi rischi dell'individuo stesso, ai grandi problemi e sofferenze dell'individuo stesso. L'individualismo non è assolutamente qualcosa di confortante, anzi è la più grande sofferenza, perché se cerchi il senso dentro te stesso inevitabilmente ti imbatti nell'inutilità di tutto. Questo è il grande problema e il grande tema di oggi: riconoscere le relazioni, l'importanza delle altre alterità, perché solo se siamo in grado di considerare le altre specie non solo sotto il profilo biologico o quello estetico, vogliamo avere un mondo che è diverso (la biodiversità intesa come qualcosa di esteticamente ammirevole o strumentalmente utile, per esempio) o che è più bello, ma qui la questione è ontologica e di attribuzione di senso. Spesso pensiamo che sia un problema pratico: è anche un problema pratico ma non solo un problema pratico. Nel momento in cui non riusciamo più a capire cosa sono gli altri abbiamo perduto di valore noi stessi".
Che cosa è l'Alterità (o le alterità)?
"Il tema dell'alterità è centrale nel nostro periodo storico per diversi motivi. Il primo tra questi è la globalizzazione, attraverso cui ci confrontiamo con altre culture e con persone che hanno stili di vita, lingua e religioni differenti dalle nostre. Il secondo è il rapporto tra uomo e donna, che sono oggetto di una decadenza dei ruoli tradizionalmente imposti loro attraverso il superamento di un paradigma complementativo. Il terzo aspetto riguarda il confronto con l'alterità all'interno della cornice individualista del nostro tempo, in cui si viene a perdere la capacità di relazionarsi veramente con gli altri. Si tende a vedere il mondo come orbitale a sé e quindi a considerare gli altri come degli strumenti di utilizzo per ottenere determinate cose non solo in relazione al non-umano ma in particolare in relazione agli animali, perché viviamo in un'epoca dove le persone hanno affettività verso le altre specie, ma non hanno accettazione delle alterità. L'altro mi si pone di fronte ma alla fine non rimane distanziato, perché alla fine mi sollecita una risposta, che sia integrativa che sia interpretativa. L'influenza che può avere sulla mia bibliografia il tema dell'alterità è centrale".
In che modo possiamo relazionare il nostro Io con l'Alterità?
"Allenando la nostra capacità di superare l'egocentrismo e l'antropocentrismo, cioè superare la tendenza alla gravitazione interna e quindi il sapersi mettere in ascolto, il sapersi decentrare, saper lavorare sull'empatia, sulla propria capacità di cura e sulla capacità di accettare il doppio flusso narrativo. Molto spesso noi parliamo di integrazione dell'altro ma questa rimane superficiale. Integrare significa permettere all'altro di narrarsi, di narrare la sua storia e da parte tua, la voglia di raccontargli la tua. L'integrazione con l'alterità può essere interpretata come una capacità di reciprocità comunicativa e quindi di dare luogo a espressioni. Se vogliamo, la capacità di incontrare un cane e un gatto significa dare al cane e al gatto la capacità di esprimersi e quindi di dare qualcosa che vada al di là delle tue aspettative, da quello che tu pensi, dalle tue proiezioni e quindi aprirsi a questo inaspettato narrativo che l'altro ti dà e nello stesso tempo tu stesso darti nel vero senso della parola. È molto diverso darsi una relazione rispetto all'utilizzo di uno strumento: darsi una relazione significa aprire la propria disponibilità, il proprio cuore, la propria disposizione".
Quando gli "altri" sono diversi da noi, per esempio, gli animali, cani o gatti con i quali abbiamo deciso di condividere la vita, come possiamo entrare in relazione con loro senza fare errori di comunicazione o prospettiva?
"Non è possibile non fare errori e non penso che sia così deleterio avere consapevolezza della propria fallibilità. La fallibilità è una consapevolezza che ci aiuta ad evitare l'arroganza. Il problema più grande non è tanto l'ignoranza, quanto il non sapere di non sapere. È un'arroganza che non ti pone in discussione, che non ti pone in una situazione di problematicità. La società urbana è una società profondamente ignorante e arrogante nei confronti degli animali, quindi molto spesso le persone dicono "questi animali sono viziati", ma spesso sono maltrattati perché non si mette in considerazione la loro peculiarità, la loro diversità e il loro aspetto. Qui si tratta, secondo me, di essere in grado di declinare questo nostro amore in una concezione non egocentrica, quindi avere la voglia di leggerne di più, di saperne di più, di intraprendere un percorso che somiglia a quello di chi vuole andare a Londra e studia l'inglese, quindi il suo desiderio è quello di poter capire, sapersi esprimere e si applica rispetto a questo. Noi invece tendiamo molto allo spontaneismo, ma quando ti trovi di fronte a qualcuno che è portavoce di un linguaggio diverso e di una prospettiva diversa della realtà, la spontaneità non va da nessuna parte. L'autenticità è la capacità di declinare la persona, il personalismo, con la conoscenza dell'altro e quindi non con l'ignoranza".
Che cos'è il post umanesimo?
"È la consapevolezza o, se vogliamo, la riflessione filosofica che prende in considerazione l'essere umano non come un'entità autarchica e quindi un'entità autosufficiente, un'entità che sia realizza da sola, un'entità che produce tutte le sue qualità per creatività propria, per emanazione ma come un'entità che si coniuga al mondo. Quindi, tutte le sue qualità sono frutti ibridi, sono l'esito di questa costante ibridazione, di questo costante meticciamento e di questa contaminazione con il mondo. È riconoscere di avere questa sorta di identità ecologica, un'identità che prende forma attraverso la relazione e non è precedente alla relazione. È la relazione che dà dei connotati, i connotati non sono precedenti, ma esistono nella relazione. Questo è perché siamo abituati a concepire questa idea dell'individuo come monade, come mondo separato disgiunto, che entra in rapporto con altri mondi, ma che sostanzialmente è impermeabile e ha delle qualità che precedono l'incontro. In realtà, se pensiamo a un bambino, il bambino emerge nel rapporto con la madre poi piano piano emergiamo nel rapporto con i nostri simili, con gli altri animali, con il contesto, con il mondo, con le piante. Non siamo delle identità che sono impermeabili al mondo. Il postumanismo sottolinea questa natura ibrida dell'essere umano. Perché è importante? Perché se io avrò consapevolezza della mia natura ibrida, avrò cura delle mie relazioni, se viceversa ritengo che le relazioni possano essere degli strumenti che mi consentano di realizzare delle cose, ma che non hanno effetto su ciò che io sono, allora io avrò una visione fondamentalmente egocentrica.
SCHEDA DEL LIBRO
Roberto Marchesini
Alterità. L'identità come relazione
Stem Mucchi Editore
189 pagine - € 16
www.mucchieditore.it
www.marchesinietologia.it
L'autore
Roberto Marchesini (Bologna, 1959) è filosofo, etologo e zooantropologo. Direttore del "Centro studi filosofia postumanista" e della "Scuola di interazione uomo-animale" (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della filosofia, dell'etologia e della bioetica. Dirige inoltre la rivista Animal Studies. Rivista italiana di antispecismo.
Tra le consolidate proposte di FlashOn Mag vi è sicuramente quella di offrire lo spunto per la lettura di qualche buon libro. Ci pensa CECILIA NOVEMBRI a proporvene uno da cui è stato tratto un film con la regia di Ricky Tognazzi e le musiche di Ennio Morricone.
di Cecilia Novembri
Ci sono libri che trovano un posto nel cuore e lì rimangono per sempre. "Canone Inverso" di Paolo Maurensig appartiene a questa categoria. Considerarlo un libro per musicisti è molto riduttivo perché l'autore ha saputo donare al romanzo spettacolari colpi di scena e situazioni avvincenti da renderlo adatto a tutti.
La storia racconta la vicenda di un uomo, uno scrittore che incontra in una taverna a Vienna un violinista, Jeno Varga, e per scherzo, ma anche per metterlo alla prova, gli chiede di suonare un pezzo molto complicato.
La vicenda ha come protagonisti Jeno e Kuno e un particolare violino che presenta una testa di donna intagliata nel legno, al quale sono legate le tragiche vicende dei protagonisti.
La storia, ambientata in parte poco prima della seconda guerra mondiale, racconta la delicatezza e la ferocia, i sensi di colpa e i rimpianti, di come ogni azione compiuta abbia delle ripercussioni sul destino, proprio e di chi ci circonda.
Archetti e violini, sinfonie e concerti, amore e amicizia, nascita e morte, genio e follia, alcune volte note e melodie sono le vere protagoniste della trama, mentre altre si riducono a semplice sottofondo lasciando la scena ai protagonisti del libro.
Dal romanzo è stato tratto il film diretto da Ricky Tognazzi. Da rispolverare sicuramente con cura!
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L'autrice Alessia Gazzola presenta alla biblioteca Delfini "Un po' di follia in Primavera" con l'attore protagonista della serie televisiva tratta dai suoi libri. Diretta streaming sul sito.
Modena, 28 gennaio 2017
Dopo sei libri continua la brillante carriera di Alessia Gazzola con le avventure dell'impacciata Alice Allievi, protagonista dei libro e della serie televisiva nata dalle storie raccontate nei primi tre di cinque romanzi precedenti. La specializzanda in medicina legale, la giovane Alice è alle prese con casi intricati e con il cuore diviso tra il giovane reporter Arthur e l'affascinante medico legale Claudio Conforti.
Il nuovo libro "Un po' di follia in primavera" (Longanesi 2016) sarà presentato questo pomeriggio alla biblioteca di corso Canalgrande, per la rassegna "Autori in Zona".
Un'occasione per parlare dei rapporti tra scrittura per i libri e per la televisione, di trasposizioni da parole a immagini di personaggi sviluppati sulla carta che acquisiscono in video corpo e fisicità. Ospite insieme all'autrice, l'attore Lino Guanciale - impegnato a Modena con il progetto Un bel dì saremo - che nella serie tv interpreta il bel tenebroso dottor Conforti.
L' appuntamento, a ingresso libero fino a esaurimento posti, è alle 16 nella Sala conferenze accessibile direttamente dal chiostro. In più, grazie a un nuovo servizio attivato, l'incontro potrà essere seguito dalle 16 in diretta streaming, sul sito delle biblioteche www.comune.modena.it/biblioteche.
Aurora Vannucci, parmigiana di 11 anni e appassionata di scrittura, è al suo secondo libro, che in queste settimane sta facendo il giro delle librerie. "Vorrei la sesta elementare" sul tema dell'amicizia.
di Alexa Kuhne
Parma, 28 gennaio 2017
L'amicizia trionfa sempre, a dispetto di tutto.
Un messaggio forte, ma lanciato con la delicatezza della penna di un piccola scrittrice, piena di emozioni e di creatività.
Perché Aurora Vannucci, 11 anni di sogni, passione e purezza, ci crede davvero ai suoi amici e prende le distanze da bullismo e sentimenti cattivi. Vuol farlo sapere con le pagine del suo libro: "Vorrei la sesta elementare", in questi mesi in giro per librerie.
La sua ultima fatica racconta della realtà di tutti i giorni di un ragazzino, quella che si svolge in una classe durante l'ultimo anno di scuola primaria.
Il nostro Fabio, 10 anni, ha l'impegno quotidiano di doversi districare tra i suoi pensieri, le amicizie, lo studio, lo sport, i bulli della scuola, la paura e la voglia di "diventare grande". Con lui, amico di spensieratezza e dissidi interiori c'è Eric, nuovo compagno della quinta elementare, ragazzo enigmatico e problematico, che con il suo arrivo destabilizza le dinamiche di classe.
Il libro è una descrizione dettagliata di fatti, momenti e sentimenti provati dai giovani interpreti: la narrazione fantastica si alterna e si intreccia, inevitabilmente, con momenti autobiografici.
Una storia che ha dentro tutto, ma nella quale trionfa sempre il sentimento dell'amicizia "vera", duratura, in grado di superare qualsiasi ostacolo. Al termine del racconto i ragazzi sono coscienti che per loro è terminata questa importante tappa di crescita: il timore per il futuro viene annullato dalla certezza acquisita di poterlo affrontare, con un filo di nostalgia per quest'ultimo momento di elementari trascorso tutti insieme.
Fabio ed Eric si ritrovano dopo alcuni anni ed entrambi provano la sensazione di non essersi mai lasciati.
Il libro è rivolto ad una fascia di pubblico molto giovane ma, vista la profondità dei temi e la leggerezza nello stile, può essere letto anche da un pubblico adulto. Per riscoprire magari quei sentimenti autentici che la frenesia della vita spesso seppellisce in fondo all'animo, ma anche per conoscere meglio i nostri ragazzi attraverso un racconto genuino del loro quotidiano. Senza artifici, né "effetti speciali".
Ma chi è Aurora Vannucci? E' una parmigiana doc che ha compiuto 11 anni lo scorso 17 maggio e frequenta come tanti ragazzini della sua età la prima secondaria, iscritta al Convitto Maria Luigia di Parma dove ha completato anche il ciclo della primaria. Adora leggere e scrivere: ha pubblicato una prima raccolta di racconti nel 2015 – "Le mie prime cento pagine" – prima che la CSA Editrice accogliesse il suo secondo libro – "Vorrei la sesta elementare" – in uscita in questi giorni in libreria.
Aurora ha inoltre partecipato e vinto svariati concorsi di letteratura per ragazzi: primo premio al concorso nazionale "Il Paese delle Fiabe" a maggio 2016; primo premio al concorso internazionale del comune di Trevi a giugno 2016; primo premio al concorso provinciale nel 2015 e nel 2016 "Alice Battaglioni"; finalista al concorso nazionale "Mario Mosso" a luglio 2016; finalista al contest del Comune di Pennabilli a giugno 2016; terza classificata al concorso nazionale "Anna Savoia" a dicembre 2015; terza classificata al concorso nazionale "Scrivimi una storia" a maggio 2016; menzione speciale narrativa giovani al concorso internazionale "Micheloni" di Aulla a settembre 2016; menzione d'onore al premio "Roncio d'oro" a ottobre 2016; premio narrativa junior al "Premio Bertelli" di Pontedera a novembre 2016. E questo solo per citarne alcuni, visto che è risultata finalista anche in altri concorsi letterari in giro per l'Italia. Per avere soltanto 11 anni, una carriera già ben avviata.
"La seconda generazione" di Michel Kichka inaugura al Museo ebraico di Bologna le celebrazioni in ricordo delle vittime della Shoah. In prima assoluta la mostra di uno dei più grandi caricaturisti e illustratori israeliani. Il presidente della Regione Bonaccini: "Sanare la frattura dell'Olocausto attraverso la memoria e il riconoscimento per non sottrarsi alla responsabilità del male".
Bologna, 23 gennaio 2017
La Shoah raccontata attraverso gli occhi dei figli dei sopravvissuti e trasformata in tavole grafiche in bianco e nero. Un lavoro che ha occupato per dieci anni Michel Kichka, celebre illustratore e caricaturista israeliano, professore di Belle arti a Gerusalemme e membro di Cartooning for peace (la fondazione svizzera creata nel 2006 dall'allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, per sostenere i vignettisti della carta stampata nel loro lavoro in difesa dei diritti umani, della libertà d'espressione e della tolleranza).
Ora, al Museo ebraico di Bologna, in prima assoluta, è possibile ripercorrere la storia del maggiore di due figli maschi di un padre sopravvissuto alla Shoah: un'esperienza che permea tutta la famiglia, un trauma 'indiretto' che invade però totalmente silenzi, racconti e vissuti. La mostra "La seconda generazione" di Kichka, è stata inaugurata ieri alla presenza dei rappresentanti delle istituzioni e della Comunità ebraica bolognese. L'appuntamento apre la serie di eventi previsti nel capoluogo regionale e in tutta l'Emilia-Romagna per il Giorno della Memoria in ricordo delle vittime dello sterminio nazista, fissato il 27 gennaio di ogni anno, la data che nel 1945 vide la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz.
Presentato al WoPa "Genitori come gli altri e tra gli altri: Essere genitori omosessuali in Italia." sul tema estremamente attuale delle unioni civili. Ricerche, esperienze, riflessioni da parte di ricercatori, professionisti, e rappresentanti delle associazioni e delle istituzioni politico-legislative.
Parma, 20 gennaio 2017
Un tema estremamente attuale quello delle unioni civili che nell'ultimo anno ha creato un forte dibattito mediatico sulla scia della discussione, e successiva approvazione, della normativa parlamentare. "Genitori come gli altri e tra gli altri", edito da Mimesis Edizioni, è il primo tentativo di raccogliere in modo sistematico e organico ricerche, esperienze, riflessioni da parte di ricercatori, professionisti, e rappresentanti delle associazioni e delle istituzioni politico-legislative sul tema dell'omogenitorialità.
Il libro, nato a seguito di un evento realizzato nel maggio 2014 presso l'Università di Parma sui diritti delle famiglie omogenitoriali che vivono in Italia, è stato presentato ieri pomeriggio, negli spazi del Workout Pasubio.
La tavola rotonda, moderata da Chiara Cacciani, ha visto la presenza della vicesindaco Nicoletta Paci, della curatrice del volume Marina Everri, di Laura Fruggeri, professoressa ordinaria di Psicologia Sociale all'Università di Parma, e dei rappresentanti delle associazioni e professionisti dei servizi sociali ed educativi.
Marina Everri ha raccolto e integrato i contributi di vari autori che a diverso titolo si occupano di omogenitorialità, con l'intento di fornire uno strumento utile su diversi versanti: decostruire gli stereotipi verso i genitori omosessuali e i loro figli, fornire strumenti operativi per condurre ricerche e realizzare interventi idonei, dare voce a rappresentanti delle istituzioni politico-legislative e delle associazioni per riflettere sui cambiamenti necessari per fare fronte alle crescenti diversità che caratterizzano l'assetto socio-culturale del nostro paese.
In diverse parti del volume si sottolinea come l'omogenitorialità rappresenti solo una delle possibili forme familiari dentro le quali oggi si può manifestare la genitorialità. Infatti accanto alle forme familiari tradizionali troviamo madri single, famiglie migranti, famiglie adottive e affidatarie, famiglie ricomposte, ecc.
Le famiglie omogenitoriali obbligano ricercatori, professionisti, e la nostra società in generale, a interrogarsi sulla diversità in senso ampio e quindi a sfidare preconcetti, modelli di teorici e metodologie di ricerca ormai obsolete, e infine, pratiche di intervento che, se non adeguatamente adattate ai nuovi bisogni delle famiglie contemporanee, rischiano di escludere e marginalizzare invece di includere, accogliere e curare.
Tutte le foto nella galleria a fondo pagina, ph.Francesca Bocchia
Nel suo ultimo lavoro, l'etologo, zooantropologo e filosofo racconta attraverso otto cani che hanno condiviso con lui un tratto di strada della vita che cosa ognuno di loro gli ha lasciato e insegnato. Ma ogni storia è anche uno spunto per parlare più in generale del cane e del meraviglioso rapporto con l'uomo.
Di Manuela Fiorini
Bologna, 21 gennaio 2017
C'è Maya, rottweiler esuberante e in cerca di una guida, il piccolo e buffo Toby, dal caratteraccio impossibile, la labrador Pimpa e le sue passeggiate multisensoriali, la nevrile Isotta, che del tirare al guinzaglio ha fatto una sfida. E poi l' "inadottabile" Spino dal carattere ostico quanto il suo nome, l'amicizia tra la rottweiler Bianca e la gatta Mimmi, la giocosa Belle e Filippo, dall'animo randagio. Sono gli otto cani protagonisti di altrettanti capitoli che compongono l'ultimo libro di Roberto Marchesini, "Il cane secondo me", edito da Sonda.
Bolognese, Marchesini è etologo, zooantropologo, filosofo, Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e di Siua, Istituto di Formazione Zooantropologica e nella sua vita ha avuto a che fare con centinaia di cani. Gli otto amici di cui parla nel libro sono quelli che hanno percorso con lui un tratto di strada della vita. Tuttavia, parlando di loro, l'autore coglie anche l'occasione per riflettere e fare riflettere sulla sostanza del rapporto uomo-cane e prende spunto dalla sua esperienza per suggerire gli atteggiamenti giusti da tenere per costruire un rapporto equilibrato, di fiducia reciproca, di vera amicizia.
Abbiamo scambiato due chiacchiere con lui.
Come nasce il libro Il cane secondo me?
"Nasce con l'intento di mettere in discussione quello lo stereotipo secondo il quale cani e gatti sono "animali d'affezione", "animali da compagnia", come se realmente il loro "compito" fosse solo quello di dare affetto. In realtà, il cane, o il gatto, dovrebbe essere visto come un partner, un amico, un collega di lavoro. Gli animali sono "erogatori" di qualcosa, ma compagni di vita. Non sono "da affezione", ma affettivi, non sono "da compagnia", ma compagni. Questo significa che la loro presenza è globale. Ci danno tanto. Per esempio, ci trasmettono la capacità di farci vivere la natura in un modo completamente diverso, perché ci portano nel loro mondo, ci danno tanti stimoli, arricchiscono il nostro immaginario. Nel libro, ho voluto sottolineare soprattutto il fatto che i cani sono delle entità biografiche. Noi siamo il frutto delle relazioni: siamo quello che ci hanno insegnato i nostri genitori e gli amici, siamo i libri che abbiamo letto, le relazioni amorose che abbiamo avuto. Allo stesso modo, anche gli animali contribuiscono a fare di noi ciò che siamo. In questo saggio ho voluto descrivere come ognuno di questi cani abbia contribuito a mettere la sua piccola parte nella mia identità. Le relazioni non finiscono, rimangono proiettate dentro di noi, entrano nella nostra vita. E anche quando una relazione finisce, anche quando un cane ci lascia perché muore, vive ancora dentro di noi".
Dalla sua esperienza, quale consiglio si sente di dare a chi si appresta ad accogliere un cane per la prima volta?
"Il mio consiglio è sempre quello di avere consapevolezza che si sta per iniziare una relazione. Il cane non è un oggetto. Non è come portare a casa un televisore. Se si adotta un cane, casa tua diventa anche casa sua. Si deve avere ben chiaro che essere in una relazione significa prima di tutto condivisione, cioè accettare che l'altro partecipi alla nostra vita e che noi partecipiamo alla sua. Purtroppo, viviamo in una società che ha una visione individualista e consumista e questo non aiuta nelle relazioni, di amicizia, di amore e anche in quelle con i cani. Le persone tendono a considerare gli altri come entità consumabili. Le relazioni invece sono diverse dalle fruizioni. Nelle relazioni bisogna mettersi in gioco, accettare la sfida sotto il profilo partecipativo, emotivo, competitivo, della responsabilità. Secondo consiglio: cercare di saperne un po' di più sui cani. Viviamo in una società in cui non si cresce più, come un tempo, a contatto con la natura o con gli animali. I bambini di oggi hanno l'idea che gli animali siano quelli dei cartoni animati, ma Peppa Pig non è un maiale, è un essere umano disegnato come un maiale, così come Bugs Bunny, Pongo e molti altri. C'è la tendenza ad antropomorfizzare e a umanizzare. Ed è una tendenza sbagliata. Se si antropomorfizza un animale, significa che non si accetta la specificità dell'altro. Invece quell'amore unico tra uomo e animale può nascere sono se non c'è possesso, ma incontro"
Quali sono gli errori più ricorrenti degli umani nei confronti dei propri cani?
Primo: non rendersi conto che un cane percepisce il "qui e ora" in modo differente da noi. Spesso infatti la mente di un essere umano è proiettato nei ricordi, nei pensieri, nei progetti, nel "domani faccio questo". Abbiamo sempre la mente da qualche altra parte, persa nel passato, nel futuro o nel possibile, quella del cane invece è focalizzata sul qui e ora. Secondo: la comunicazione. Le persone non si rendono conto che ogni specie ha il suo linguaggio. Un abbraccio per me vuol dire "ti voglio bene", ma per il cane è un atteggiamento sbagliato, è una forzatura, come se gli dicessi "io sono più forte di te". Il nostro cane magari lo accetta e lo tollera, ma se lo stringiamo troppo forte, tenterà di scappare o ci leccherà il viso, facendoci capire che non gli piace. Se poi abbracciamo un cane che non conosciamo potremo addirittura rimediare un morso. È importante allora imparare qualcosa sui cani e sul loro linguaggio per relazionarci al meglio".
Lei ha teorizzato il "Parco Canile". Che cos'è e come mai, a suo avviso, una soluzione che avrebbe risvolti positivi sui cani incentivandone le adozioni non è ancora stato realizzato?
"Il Parco Canile parte dell'idea della valorizzazione del cane per favorirne l'adozione. L'idea è quella di un luogo che faciliti il miglioramento dell'animale dal punto di vista comportamentale, che ne consenta la socializzazione, per esempio attraverso la presenza di campetti cinofili, in cui cani e volontari possano fare insieme attività di apprendimento e di gioco. L'idea è quella che il cane passi solo qualche mese all'interno del parco canile. Durante il periodo di permanenza viene formato ed educato in vista dell'adozione. Il parco canile è poi un luogo molto naturale, lontano dall'idea del cane cresciuto in un box, dove fa tutto lì, non ha avuto relazioni corrette con gli altri cani, perché li ha sempre visti al di là di una grata, gli ha sempre abbaiato contro. L'idea è invece quella di un luogo di riabilitazione per i cani con figure professionali dedicate e strutture concepite per fare attività e migliorare le proprie competenze. Sono strutture che favoriscono le visite da parte delle persone e aumentano così le possibilità di adozioni. In Emilia Romagna e Lombardia sono stati fatti molti passi avanti verso questa idea di parco-canile. Poi bisognerebbe vincere l'interesse che molte strutture hanno nel mantenere i cani al loro interno. Nei capitolati delle gare, per esempio, dovrebbe essere inserito non il costo a cane, ma il pagamento dei servizi effettivamente offerti".
Quando si leggono fatti di cronaca di persone aggredite da cani si sentono spesso commenti del tipo "non è colpa del cane, è colpa nel padrone". È davvero così?
"Io penso sempre che bisogna togliere la parola "colpa", perché ha degli aspetti moralistici. Dovremo invece guardare al comportamento come una conseguenza di altri problemi. Per fare prevenzione, bisogna spiegare alle persone quali sono i fattori di rischio, spiegare che un cane ha bisogno di essere bene integrato all'interno del nucleo familiare e non essere tenuto in una situazione di solitudine, perché la solitudine abbassa la socialità dei cani. Tenere costantemente un cane in un box, alla catena, da solo in giardino, sono elementi che vanno a inficiare la socializzazione del cane. È molto importante poi che la persona sia una guida per il proprio cane. Occorre lavorare sull'affiatamento, perché se uno è una buona guida il cane lo segue. Bisogna poi spiegare che tutti i cani sono diversi. Non si può prendere un cane di una certa razza senza saperne niente. Per esempio, il Border Collie è un cane molto nevrile, con una gran voglia di fare, non si può dare in mano a una persona anziana o a chi desidera il classico cane da salotto. Se uno invece vuole un cane pulito non può prendersi un labrador, che si diverte a girarsi ovunque e a gettarsi in acqua. Avere queste consapevolezze aiuta a instaurare le relazioni e prevenire spiacevoli incidenti".
La scomparsa di un animale amato è causa di grande dolore. Si sente di dare qualche consiglio alle persone che hanno perso un amico a quattro zampe per aiutare a elaborare questo lutto?
"Le amicizie sono qualcosa di importante. Molto spesso sento dire: "Era solo un cane", il punto fondamentale è che quando si costruisce un legame è normale provare delle emozioni. Non importa se si tratta di un cane o di un gatto, l'importante è l'empatia che viene generata da quel legame. A chi ha perso un amico a quattro zampe mi sento di dire che deve essere consapevole che la relazione non finisce. Quando qualcuno è stato in relazione con noi non è morto, non può morire. Tutte le persone, tutte le relazioni, amicizie, amori che ci portiamo dentro continuano a vivere dentro di noi. Questa, a mio avviso, è la migliore elaborazione del lutto. Magari si può dedicare tempo al congedo: che può essere la sepoltura o un rituale particolare, ognuno deve darsi i suoi tempi. Il punto centrale è capire che quello che resta la relazione e ciascuno vive dentro l'altro. È poi necessario trovare il modo di trasformare il vuoto in ricordo".
Roberto Marchesini
Il cane secondo me
Edizioni Sonda
Pag 184 - € 14
The Imperial Ice Stars, la più famosa compagnia internazionale di danza su ghiaccio interpreta la celebre favola del Principe Schiaccianoci in uno straordinario spettacolo in scena al Teatro degli Arcimboldi di Milano.
Di Pietro Razzini
Parma, 19 gennaio 2017
Una novità assoluta per il pubblico italiano: "Lo schiaccianoci on Ice" plana sul teatro degli Arcimboldi di Milano, regalando uno show di assoluto valore. The Imperial Ice Stars, la più famosa compagnia internazionale di danza su ghiaccio, è la protagonista di questo show che rimarrà nella metropoli lombarda fino al 22 gennaio. Morbide coreografie, salti estremi ad alta velocità, stupefacenti piroette e strabilianti acrobazie aeree caratterizzano un balletto classico in cui effetti visivi e per gli sfarzosi costumi rendono ancora più speciale l'atmosfera.
LA COMPAGNIA - Quasi quattro milioni di persone nei cinque continenti hanno assistito agli spettacoli di "The Imperial Ice Stars" negli ultimi otto anni: la Royal Albert Hall e il Sadler's Wells Theatre a Londra, il Marina Bay Sands Grand Theatre a Singapore, il Place des Arts a Montreal e la Piazza Rossa a Mosca sono stati teatro delle loro performance di alta qualità. Il gruppo torna in Italia dopo il successo delle ultime due stagioni con "Il Lago dei Cigni On Ice" e "La Bella Addormentata on Ice". Oltre 40.000 spettatori, fra adulti e bambini, a Milano e Roma, hanno ammirato la magia delle versioni "on ice" di questi balletti classici su musiche di Tchaikovsky.
LO SPETTACOLO - Ventisei pattinatori: tutti campioni, alcuni dei quali olimpici e mondiali, hanno deciso di esaltare le proprie abilità su un palcoscenico, dopo aver conquistato la fama internazionale per le proprie capacità artistiche, fisiche e tecniche. Sotto la guida del direttore artistico e regista Tony Mercer, noto a livello internazionale come il principale ideatore al mondo di questo genere di spettacoli, il quattro volte campione del mondo di pattinaggio di figura e doppia medaglia d'oro olimpica, Evgeny Platov, e il due volte campione del mondo Maxim Staviski hanno creato coreografie mozzafiato con salti e lanci ad alta velocità e formidabili acrobazie combinate con la danza su ghiaccio più raffinata e sublime.
LA TRAMA - "Lo Schiaccianoci On Ice" è basato sulla partitura di Tchaikovsky: è ambientato nel 1900 a San Pietroburgo e mette in scena la fiaba classica russa della piccola Maria che, con il suo amore, dona la vita al suo adorato schiaccianoci, l' incantato regalo di Natale del suo misterioso padrino. Iniziano così le avventure con il re dei topi, il principe incantato e la Fata Confetto. Uno show nuovo e dinamico, capace di scaldare il cuore del pubblico e di regalare emozioni a tutti coloro che decideranno di dedicare una serata alla magia dello Schiaccianoci.
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