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Nella nave si è aperta una falla, ma il mare, in religioso silenzio, aspetta che i marinai la riparino, perché possa riprendere a navigare sulle onde della felicità.
Giacomo Rizzi, architetto
di Guido Zaccarelli Mirandola 8 gennaio 2020 - Incontro spesso imprenditori che hanno fatto la storia delle loro imprese e giovani promesse che hanno creato, o stanno creando, la loro fortuna personale, e professionale, con impegno, volontà e determinazione, ma soprattutto con tanto entusiasmo, coinvolgendo anche le famiglie nei loro progetti.
Lo scopo è realizzare il proprio sogno: creare qualcosa con le proprie mani che rimanga nel tempo e consenta ad altri di condividere il successo. Per fare questo dicono «occorre essere resilienti». Negli ultimi anni, la parola resilienza ha trovato il modo per costruirsi una propria identità in molti ambiti della nostra vita quotidiana. Spesso la sentiamo enunciata all’interno di un dialogo tra persone e, in altre occasioni, è proferita nel contesto professionale. Viverla nella pienezza della propria etimologia attraverso il racconto di vita vissuta, da parte di giovani imprenditori ha il sapore dell’antico, che avvolge i ricordi di quanti sudavano e lavoravano duro per costruirsi un futuro migliore. Per quanto mi riguarda, «le nuove generazioni non sono diverse. Agiscono in tempi diversi e con strumenti moderni, ma conservano dentro di sé il DNA di chi li ha preceduti e dai quali hanno ereditato il valore del lavoro e del fare impresa». La resilienza nasce in ambito scientifico per descrivere il comportamento di un materiale di re-sistere ad un urto e di rilasciare l’energia assorbita in tempi variabili. Questa frase può essere similmente riferita al comportamento di un imprenditore che deve contrastare gli urti provocati dagli attori presenti nel mercato di riferimento e trovare il modo per rilasciare l’energia positiva con la quale assolvere in pieno al proprio ruolo di riferimento, impegnato a garantire prosperità alla propria azienda.
La resilienza interviene nel fornire il carburante necessario per affrontare con coraggio le avversità. Facile a dirsi, più difficile da realizzare quando l’imprenditore decide di in-sistere nel proprio sogno nonostante segnali poco incoraggianti lo invitino ad ancorarsi ad un ormeggio tranquillo. «Scegliere di abbandonare i privilegi lavorativi offerti da una splendida realtà aziendale per virare oltre confine e decidere di intraprendere la strada dell’imprenditore non è facile» è quello che sento ripetere dai giovani quando decidono di allontanarsi dal mito casa e bottega, che aveva contraddistinto le generazioni precedenti, per mettersi alla prova e sperimentare, sulla propria pelle, il valore della loro intraprendenza, decisi ad approdare nel mondo imprenditoriale per fare impresa. De-cidere è re-cidere, è come essere sul crinale ghiacciato di una montagna e d’un tratto sprofondare senza accorgersi del perché. «Ritrovarsi dalla sera alla mattina in una angusta realtà aziendale dove partire da zero per apprendere l’arte dell’operare, fa la differenza, non solo al tempo presente, in riferimento alla perdita di benefit, ma anche in proiezione futura, del doman non v’è certezza».
I giovani sanno di vivere nell’era del mutamento, soggetto a variabili che cambiano in modo improvviso, come una barca dove si è aperta improvvisamente una falla …, desiderano mettersi alla prova e sperimentare, come i marinai, il valore delle loro capacità in grado di riparare l’imbarcazione per continuare il viaggio… , per portare alla luce i doni di cui sono in possesso senza farsi condizionare dal posto fisso, dalle debolezze dei mercati o incertezze delle nuove economie. L’unica evidenza è offerta dalla possibilità di gettare le basi dell’apprendere. Per chi vuole fare impresa, affermano, «l’operaio è una figura fondamentale in un qualsiasi contesto lavorativo in quanto esprime “l’arte del fare” grazie all’energia messa in campo dall’ingegno. Per fare l’imprenditore occorre partire dalla base e apprendere l’arte del fare dove attingere le risorse per creare l’impresa del futuro: la bottega è il luogo da cui partire per apprende il mestiere». Agire in modo diverso significa “irrigare il terreno del fallimento”.
L’impresa è il cuore dove nasce e si dispensa l’arte del fare condiviso. Per crescere occorre creare basi solide e durature nel tempo: è lì che bisogna in-sistere per dare forma al proprio sogno ed entrare in possesso della resilienza necessaria per evitare di de-sistere nei momenti meno favorevoli ed entrare a capofitto nella spirale della sconfitta. Il pensiero ricorrente della disfatta apre scenari imprevedibili che sfociano nel dis-astro, ovvero pensare di avere gli astri avversi. Significa abbandonare la nave dell’essere imprenditore per salire a bordo di una zattera in balia del vento che può sopraggiungere all’improvviso. Il sogno a questo punto s’infrange sugli scogli portati alla deriva da un mare in tempesta pur covando dentro di sé il bi-sogno di e-sistere. La vita è e-sistere. L’imprenditore è nato per dare la vita alla propria azienda assolvendo di fatto alla funzione esistenziale di “in-sistere per e-esistere”, indispensabile per adempiere ad una funzionale sociale di creazione di valore e di benessere collettivo.
Un giovane imprenditore: «fare impresa nell’era 4.0 è molto difficile, servono competenze trasversali continuamente aggiornate e polifunzionali al contesto, combinate tra loro con azioni multidisciplinari messe in campo da ogni persona che ambisce ad operare insieme all’interno di gruppi di lavoro coordinati, dove ritrovarsi per identità e senso di appartenenza»
La cultura è l’arte di coltivare la terra da predisporre per la semina e ottenere i frutti sperati. La conoscenza è il frutto che terrà in vita e deciderà le sorti delle nostre aziende nel futuro. Occorre in-sistere nello studio e nella ricerca, ambiti dove formare gli imprenditori del futuro e godere, in senso ampio, della loro e-sistenza resiliente.
CURRICULUM - Guido Zaccarelli, è docente di informatica, giornalista, saggista, consulente aziendale e collaboratore redazionale di Gazzetta dell'Emilia. È laureato in Comunicazione e Marketing, ha conseguito un Master in Management per il coordinamento delle professioni sanitarie e frequentato la scuola di alta specializzazione per formatore e consulente d'impresa. È stato referente del Servizio Informativo dell'Azienda Sanitaria di Modena, presso il distretto di Mirandola e dal 2008 al 2018 docente a contratto di informatica presso l'Università di Modena Reggio.
Bibliografia: Informatica, insieme verso la conoscenza (2010) - La conoscenza condivisa, verso un nuovo modello organizzativo (2012) - Finestre di casa nostra (2013) - Dalla piramide al cerchio, la persona al centro della azienda (2016)
Rivolgo ogni giorno lo sguardo al cielo, mentre navigo in mare aperto, alla ricerca della felicità
Di Guido Zaccarelli Mirandola 17 novembre 2019 - La vita è una lunga strada che si dispiega innanzi a noi offrendo, in dono, all’uomo i frutti della sua presenza quotidiana, da impiegare per dare un senso e “una ragione di vita” alla nostra esistenza terrena.
Al mattino, la strada può aprirsi in discesa e invitare l’uomo a percorrerla a forte velocità, sospinto dalla forza di un vento alato che lo tiene sorretto mentre cammina proteso verso il suo destino. La fatica, in certi casi vissuta tempo addietro, è solo un lontano ricordo e la mente vola accarezzando la brezza di un nuovo giorno che s’appresta ad essere vissuto nella pienezza del tempo.
Altre volte s’appropria di una nuova identità, cambiando la traiettoria precedente, obbligando l’uomo a percorrere una strada completamente in salita, cosparsa di ciottoli dal volto aculeo, che rendono difficile camminare in equilibrio, proprio “dove la notte è l’alba di un nuovo giorno”.
La speranza che tutto questo possa finire all’istante, pone la mente nelle condizioni di guidare l’uomo a elaborare nuove opportunità fino ad indurlo a svoltare l’angolo per intraprendere una nuova strada, forse in pianura o in discesa, ma differente, che lo porta ad esplorare un nuovo cammino. I ripensamenti che possono avvenire dopo aver preso la decisione, sono la cornice che fanno da sfondo alle circostanze che consentono di dare ragione alla mente o di porre fine alla sua “ragione” di decidere sopra ogni cosa, e il tempo, in questi casi, fa la differenza.
Ogni decisione che l’uomo prende è sempre un’esperienza che coinvolge contemporaneamente la ragione e l’istante nel quale la scelta viene effettuata. In molti casi occorre prendere una pausa per riflettere, un tempo che si snoda tra due istanti, fondamentale per riflettere e osservare il mondo nelle diverse prospettive e angolazioni, con lo scopo di interpretare in modo differente l’ambiente nel quale gli individui sono calati e le circostanze nelle quali sono immerse, perché quando credi in qualcosa non puoi fuggire da te stesso.
Spesso gli eventi avvengono in modo contemporaneo, incontrando la mente e il tempo vivere in simbiosi il singolo istante e contribuendo, da prospettive differenti, a ispirare l’uomo nel seguire le indicazioni della ragione o seguire la logica dei singoli eventi che si susseguono, uno dopo l’altro, istante dopo istante, in rapida sequenza.
In tutto questo succedersi di ragioni, che conducono l’uomo a decidere del proprio, e altrui destino, ecco apparire all’orizzonte un’altra “ragione”, quella del cuore che mette a soqquadro la mente e il tempo per prendere possesso della situazione, mettendo in dubbio le certezze e il castello delle credenze costruite con tenacia nel corso della propria vita, sottoposte al vaglio, e al giudizio, dell’emozione e della passione: “è il momento nel quale l’uomo deve rastrellare ogni pezzo di carta che ha lasciato cadere per terra, o scritto sul tavolo o in chissà quale angolo sperduto della casa e unirlo per dare ordine alle idee in attesa di decidere dove andare e cosa fare, per se stesso, ma soprattutto per gli altri”.
Le decisioni si prendono con coraggio, e come la sua etimologia suggerisce, (avere cuore), occorre portare il cuore oltre il confine disegnato dalla mente e dal tempo, perché sono poche le occasioni nelle quali l’uomo ha la possibilità di rivedere le decisioni assunte, per sé e per gli altri e ritornare sui propri passi.
La difficoltà nasce dalla presenza di una nuova realtà, differente da qualche istante prima appena sfumata dietro l’angolo, rendendosi invisibile agli occhi. Solo ascoltando se stessi è possibile dare un volto diverso al proprio destino, soprattutto comprendere che ogni decisione che una persona prende per se stessa, o per gli altri, deve solo portare a migliorare la propria e vita altrui.
La contemporaneità degli eventi che si vengono a creare e delle decisioni che si vengono ad assumere, sono la presa cosciente dell’uomo rispetto al quale nulla poteva essere diverso rispetto a cosa è stato scelto di fare, e come poteva andare perché privo di certezze, rispetto a quell’istante del tempo dove la mente, il cuore il tempo si sono ritrovati per dare un senso e “una ragione di vita” alla nostra e soprattutto “altrui” esistenza terrena: «la mia strada ha un cuore, fallo battere».
Riferimenti bibliografici:
Guido Zaccarelli, La Conoscenza Condivisa, verso un nuovo modello di organizzazione aziendale e Dalla Piramide al Cerchio, la persona al centro dell’azienda, Franco Angeli Editore.
CURRICULUM - Guido Zaccarelli, è docente di informatica, giornalista, saggista, consulente aziendale e collaboratore redazionale di Gazzetta dell'Emilia. È laureato in Comunicazione e Marketing, ha conseguito un Master in Management per il coordinamento delle professioni sanitarie e frequentato la scuola di alta specializzazione per formatore e consulente d'impresa. È stato referente del Servizio Informativo dell'Azienda Sanitaria di Modena, presso il distretto di Mirandola e dal 2008 al 2018 docente a contratto di informatica presso l'Università di Modena Reggio.
Bibliografia: Informatica, insieme verso la conoscenza (2010) - La conoscenza condivisa, verso un nuovo modello organizzativo (2012) - Finestre di casa nostra (2013) - Dalla piramide al cerchio, la persona al centro della azienda (2016)
La felicità è un dono che deriva dal latino arbor felix che produce frutti in abbondanza per nutrire l’anima degli individui e condurli ad una vita eudaimonica.
Di Guido Zaccarelli Mirandola 9 novembre 2019 - Così i greci pensavano della felicità quando osservano la pianta nel suo lento fiorire che, a stagione matura, donava i frutti del loro suo lavoro agli uomini per saziare il benessere quotidiano. Dono e regalo sono tra loro agli antitesi per il fine a cui entrambi tendono, proveniente dalla etimologia che li proietta nel valorizzare rispettivamente la relazione e l’oggetto della relazione tra le persone.
La felicità nasce quindi nell’uomo quando riesce a dominare il demone cattivo che è in lui (eudaimonica – demone buono) con lo scopo di rendere felice il prossimo con il quale entra in contatto. Erodoto è stato uno storico greco di grande importanza per il valore che egli stesso ha attribuito alla storia, per il modo con il quale raccontava gli accadimenti quotidiani, come fatti legati tra loro da un filo logico, rispetto agli avvenimenti che avvengono uno dopo l’altro seguendo la linea del tempo. Questa diversa interpretazione di raccontare la storia, porta il filosofo a esprimere i fatti in maniera veritiera inserendo circostanze che hanno come sfondo la favola per orientare il comportamento del pubblico in una direzione rispetto all’altra. Lo spazio che si viene a creare, tra queste due dimensioni contrapposte, viene colmato dal lettore che agisce hic et nunc verso una dimensione razionale, se in grado di valutare, e interpretare le circostanze, oppure di seguire l’energia delle viscere che lo guidano istintivamente a prendere una direzione rispetto ad un’altra, sperando nell’eldorado.
Umberto Eco, definito il padre della semiotica interpretativa, in uno dei suoi passaggi sull’uomo, e sul linguaggio dei segni, innanzi al lettore che gli chiedeva come affrontare un testo, gli suggeriva di “riempire ciò che il testo in quel momento non diceva e di colmare lo spazio lasciato in bianco, tra una parola e l’altra, con ogni aspetto personale che lo legava al contesto letterario che stava vivendo”. Le parole, come un libro di testo, non raccontano l’assoluto, ma esprimono sempre una parte di loro, una sponda per realizzarne un’altra dove creare un canale entro il quale fare scorrere la parte mancante di sé.
Con il mutare del tempo anche la felicità subisce differenti interpretazioni. Con Socrate la felicità viene posta come domanda all’uomo: in che modo possiamo essere felici?, lasciando intravedere che l’agire degli individui è influenzato dallo stato d’animo della persone. Uno dei passaggi importanti che appare alla luce di questa semplice disamina è Aristotele che vede nell’autorealizzazione il punto più alto per compiere il proprio demone. I filosofi citati, a semplice fondamento di questa analisi, conducono entrambi ad una riflessione sull’uso del linguaggio per raggiungere uno scopo soggettivo, inteso come un fondamento di benessere collettivo, che potrebbe anche essere frainteso per il modo con il quale viene enunciato. Ecco quindi che la parola diventa uno strumento fondamentale per agire sulla felicità delle persone, perché racconta fatti esposti alla luce della verità o contornata da storie favolistiche, entrambe che appaiono e scompaiono con la stessa rapidità con la quali vengono enunciate e allo stesso tempo contraddette, e per questo, continuamente esposte allo spettro di infinite interpretazioni. Da parte di chi legge e ascolta, nasce un profondo senso di smarrimento e come suggerisce Erodoto, pone in serie difficoltà gli individui tra ciò che sentono e ciò che vedono rispetto a quello che viene raccontato. Il divario che si crea tra questi estremi conduce l’uomo a riempirlo di propri significati che, in carenza di fondamenti, si muovono in direzioni avverse e improvvise. Ecco come oggi appare il mondo dei social ai nostri occhi, diventando il protagonista assoluto dell’ascolto e della visione di chi enuncia fatti di verità rispetto a quelli che li avvolgono nelle storie delle favole. La ricerca della felicità promessa (la favola) rispetto a quella vissuta nella realtà, (la verità), induce inizialmente l’uomo a dare al tempo il valore dell’attesa, lasciando spazio ad una consecutio logica degli accadimenti, in attesa di vedere apparire la verità camminare sotto ai propri occhi rispetto alla favola che svanisce nel nulla.
La disattesa promessa degli enunciati narrati condiziona rapidamente l’agire delle persone che il mondo social fa emergere favorendo la perdita della felicità degli individui, quel frutto che l’albero dona all’uomo per saziarsi di ogni bene. Occorre sempre mostrare il vero volto di sé e agire come Androcolone, un personaggio della mitologia romana, che tolse la spina (la favola) dal piede del leone facendolo tornare buono e felice. Il mondo social è sempre più esposto alla ricerca della felicità, di qualcosa in più che ogni uomo cerca di raggiungere: la verità.
Riferimenti bibliografici:
Guido Zaccarelli, La Conoscenza Condivisa, verso un nuovo modello di organizzazione aziendale e Dalla Piramide al Cerchio, la persona al centro dell’azienda, Franco Angeli Editore.
Riferimenti sitografici:
http://www.anaso.it/2018/03/20/la-felicita-nella-filosofia/
CURRICULUM - Guido Zaccarelli, è docente di informatica, giornalista, saggista, consulente aziendale e collaboratore redazionale di Gazzetta dell'Emilia. È laureato in Comunicazione e Marketing, ha conseguito un Master in Management per il coordinamento delle professioni sanitarie e frequentato la scuola di alta specializzazione per formatore e consulente d'impresa. È stato referente del Servizio Informativo dell'Azienda Sanitaria di Modena, presso il distretto di Mirandola e dal 2008 al 2018 docente a contratto di informatica presso l'Università di Modena Reggio.
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