La dinamica positiva riflette il significativo aumento delle vendite all'estero dell'industria alimentare italiana (+13,5% su base annua) e la buona performance dell'export di prodotti agricoli (+6,5%).
Roma, 17 ottobre 2016 - Torna a crescere l'export agroalimentare italiano, dopo la battuta d'arresto registrata a luglio. È quanto sottolinea l'Ismea sulla base dei dati preliminari diffusi dall'Istat sul commercio estero. Archiviato un luglio poco favorevole per le vendite oltrefrontiera di food and beverage (-2,8% sullo stesso mese dell'anno precedente), il mese di agosto chiude con una crescita record delle esportazioni: +12,3%.
Il dato riflette un aumento tendenziale del valore delle vendite all' estero di prodotti agricoli (+6,5% su base annua), e una crescita ancor più importante dell'export dei prodotti alimentari trasformati (+13,5%), la più significativa degli ultimi due anni.
In virtù dell'andamento positivo registrato nel mese di agosto, migliora anche il dato cumulato dei primi mesi del 2016: rispetto al corrispondente periodo del 2015, tra gennaio e agosto 2016 l'export agroalimentare è cresciuto del 3,1%, sempre sospinto dalla dinamica positiva delle vendite dei prodotti trasformati (+3,5%).
L'export agroalimentare, che in valore rappresenta una quota del 9,0% sul totale delle esportazioni nazionali, continua a mostrarsi come una delle componenti più dinamiche di quest'ultimo che, sempre con riferimento al periodo cumulato, è fermo sui livelli del 2015 (-0,1%).
Il settore agroalimentare continua a essere una componente trainante e competitiva, per quanto la frenata del commercio internazionale unitamente al recente lieve apprezzamento dell'euro sia sul dollaro che sulla sterlina, abbiano influito sul trend del settore, che resta dinamico e positivo, ma in rallentamento rispetto all'eccellente performance del 2015 (7,4%).
L'analisi del dato cumulato indica una diminuzione del grado di dipendenza dall'estero dell'Italia per i prodotti agroalimentari, con il saldo normalizzato del valore degli scambi commerciali che passa dal -8,3% dei primi 8 mesi del 2015 al -6,5% del corrispondente periodo 2016.
Si riduce ulteriormente l'incidenza delle importazioni sul totale degli scambi per i prodotti dell'industria alimentare, mentre rimane elevata la dipendenza dall'estero di prodotti agricoli.
Infine, sulla base degli ultimi dati diffusi dall'Istat sulle esportazioni regionali e relativi al primo semestre dell'anno, viene evidenziato che il maggiore contributo al buon andamento delle vendite agroalimentari all'estero è pervenuto nel periodo dalle regioni del Nord- Est e del Centro.
(Fonte Ismea 17 ottobre 2016)
Con i rialzi congiunturali di settembre (+2,1%), prosegue moderata la ripresa dei prezzi, ma i livelli restano sempre inferiori a quelli del 2015 ( -8,6%). L'indice core segnala una deflazione di fondo meno marcata (-7,1%).
I contenuti rialzi riscontrati nei prezzi agricoli nella seconda metà dell'anno proseguono anche nel mese di settembre. L'analisi dell'Indice dei prezzi agricoli Ismea, che si è attestato nel mese in esame a 111,8 (base 2010=100), ha infatti evidenziato un dato congiunturale di crescita moderata dei listini (+2,1% rispetto ad agosto).
Tuttavia il confronto su base annua mostra ancora un calo significativo (-8,6%): infatti a settembre 2015 l'indice aveva registrato un picco dei prezzi agricoli e di conseguenza il confronto risulta sfavorevole. La dinamica ribassista è stata più marcata per i prodotti delle coltivazioni (-13,0%), mentre i prezzi dei prodotti zootecnici hanno mostrato una migliore tenuta (-3,6%).
L'andamento ribassista appare meno marcato secondo l'Indice core (-7,1%). Questo indicatore, elaborato dall'Ismea escludendo le componenti più stagionali e con quotazioni più variabili, quali frutta e ortaggi, ha infatti il vantaggio di cogliere la tendenza di fondo dei prezzi agricoli, smussando eventuali picchi positivi e negativi.
Resta comunque evidente il prosieguo della tendenza deflativa nonostante i rialzi congiunturali del secondo semestre dell'anno.
La flessione dei prezzi all'origine si riflette sui prezzi al consumo di beni alimentari e bevande (inclusi alcolici): si è arrestata la crescita propulsiva dei prezzi degli alimentari non lavorati, ora pari allo 0,4%, mentre i prezzi della componente dei prodotti lavorati hanno riportato una variazione deflativa (-0,1%) (dati provvisori Istat settembre, indice FOODXT).
Tornando ai prezzi all'origine, Il dato tendenziale per i prezzi delle coltivazioni riflette dinamiche eterogenee dei vari segmenti produttivi. Continuano i forti cali nelle quotazioni dei cereali (-18,5%). Andamento ribassista anche per olii e grassi vegetali (-25,0%), con il prezzo dell'olio extra vergine d'oliva che perde 28,3 punti percentuali.
Tra i prodotti più stagionali, calano gli ortivi, per quasi tutte le tipologie di prodotto (melanzane, pomodori, insalate, legumi, patate, radici) ad eccezione delle zucchine (+8,0%).
Positivo invece il confronto annuo per le colture industriali (+8,0%, di riflesso alla risalita del prezzo dei tabacchi), e per i semi oleosi (le quotazioni della soia crescono del 5,6% su base annua).
Relativamente alla frutta (+11,1% annuo), spiccano a settembre per rialzi nelle quotazioni i limoni, il cui prezzo è più che raddoppiato rispetto all'anno scorso (+157%), e la frutta a guscio (+14,9%).
L'analisi congiunturale indica che le variazioni più significative si registrano nei listini dei prodotti frutticoli (+6,4%), dei semi oleosi (-5,1%), e dei cereali (-4,6%).
Per il comparto zootecnico la tendenza risulta meno deflativa, beneficiando di una congiuntura relativamente favorevole al settore (+3,3% rispetto ad agosto). Scende il prezzo del bestiame vivo (-2,2%) per effetto di un generalizzato calo nelle quotazioni di bovini, cunicoli, ovi-caprini e volatili; il suino è l'unico allevamento a distinguersi per una crescita tendenziale del prezzo dell'animale (+13,0%). Relativamente ai prodotti lattiero-caseari, il calo delle quotazioni di 3,2 punti percentuali su base annua traduce i ribassi dei prezzi del latte (-9,0%) e dei formaggi molli, semiduri e fusi, non appieno compensati dalla risalita delle quotazioni del burro (+41,2% la variazione annua, sospinta da un rialzo congiunturale del +21,9%). I prezzi delle uova, anche a settembre, restano stabili su livelli inferiori di circa 20 punti percentuali rispetto a quelli del 2015.
La ripresa congiunturale fa sì che migliori la variazione acquisita dei prezzi agricoli per l'intero 2016: il confronto con il dato medio del 2015 passa dal -7,1% registrato nel mese di agosto al -6,4% di settembre. Migliora leggermente anche la variazione acquisita calcolata per l'Indice "core", passata al -6,8%, dal -7,4% di agosto.
(Fonte Ismea 10 ottobre 2016)
Solo il 4% della produzione agricola prende la via dei mercati esteri, mentre oltre il 20% delle aziende pratica la vendita diretta (più del 40% nel caso delle olivicole).
La vendita diretta è praticata dal 22% delle aziende agricole italiane, e tra queste la metà ricorrono in esclusiva a questa forma di commercializzazione. È quanto si evince da un'indagine Ismea condotta su un panel di mille aziende appartenenti ai vari comparti agricoli.
Più nel dettaglio, l'analisi di vari canali di sbocco indica un'estrema eterogeneità da settore a settore: per le aziende con allevamenti da carne il canale preferenziale è direttamente l'industria di prima trasformazione, a cui destinano il 43% dei capi allevati, mentre per le aziende della zootecnia da latte è più rilevante la quota di produzione (46%) destinata agli organismi associativi (Cooperative, Associazioni, OP, Consorzi), come anche nel caso dei viticoltori (39%), e degli operatori specializzati in seminativi (38%) e legnose (31%). Questi ultimi due settori destinano una quota altrettanto significativa della produzione agli intermediari commerciali.
Dalle risposte fornite, risulta poi che il 35% della produzione nazionale di olio di oliva viene venduta direttamente al consumatore finale. La vendita diretta è infatti molto diffusa tra le aziende olivicole e interessa il 44% delle aziende intervistate, tra le quali la quota maggiore la utilizza come unico canale di commercializzazione.
Relativamente ai mercati di destinazione, complessivamente la quota di prodotto che le aziende destinano all'estero ammonta a 4% del totale, di cui il 3% verso i Paesi europei e l'1% verso i Paesi Extra-Ue. Le percentuali sono analoghe per tutti i comparti, a eccezione delle aziende olivicole e vitivinicole, per le quali la quota estera sul totale commercializzato ha un'incidenza più rilevante (rispettivamente, 7% e 13%).
La destinazione geografica principale rimane la provincia stessa di localizzazione dell'azienda, dove viene esitata una quota pari al 74% del totale commercializzato dalle imprese nell'ultima campagna commerciale.
In riferimento alle tipologie di contratto, sulla base delle risposte fornite dalle aziende intervistate, emergerebbe che il contratto scritto di durata uguale o inferiore all'anno sia molto più diffuso di quello di durata superiore ai 12 mesi e che molti imprenditori pratichino ancora l'accordo verbale, o in fase preliminare al contratto scritto o perché attinente a cessioni di prodotti realizzate in seno a un organismo associativo.
Per più della metà degli operatori, il prezzo viene fissato sulla base di quello praticato dai principali mercati di riferimento al momento della stipula del contratto ma con aggiustamenti alla consegna in base alla qualità. Le aziende che aderiscono a una cooperativa, si basano, infine, sul prezzo di liquidazione fissato da questa.
(in allegato il Report Ismea in formato pdf)
(Fonte Ismea 29 settembre 2016)
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