Di Flavia De Michetti Roma, 20 febbraio 2024 (Quotidianoweb.it) - Ormai, da quasi settantacinque anni a questa parte, l’economia dell’Egitto è alle prese con sfide continue che vedono gli elevati tassi di povertà continuare ad affliggere il Paese.
Le statistiche della Banca Mondiale, infatti, registrano un aumento del tasso di povertà, con la percentuale di popolazione al di sotto della soglia di povertà in aumento dal 25,2%, nel 2010, al 32,5%, nel 2017-2018.
Nonostante l’importante potenziale turistico, anche le entrate relative a questo settore sono rimaste esigue, con una media di circa otto/nove miliardi di dollari all’anno tra il 2014 e il 2022.
Inoltre, l’Egitto ha recentemente registrato un deficit commerciale cronico di trentasette miliardi di dollari alla fine del 2023, in calo rispetto ai quarantotto miliardi di dollari del 2022.
Il Governo, dunque, ha accumulato un debito pubblico considerevole, con stock di debito estero, compreso il credito dell’FMI - Fondo Monetario Internazionale, che sono passati da una media di quaranta miliardi di dollari dopo la primavera araba a centotrenta miliardi di dollari nel 2020, di cui quasi il 70% a lungo termine.
Un’economia tanto fragile sembrerebbe essere aggravata dalla sua dipendenza da alcune fonti di reddito, tra cui il turismo, il Canale di Suez e le rimesse estere. Quindi, eventi esterni come la pandemia, la guerra in Ucraina, la guerra di Gaza e i recenti attacchi del Mar Rosso, hanno esercitato un aggravamento economico su questo Paese.
Mentre l’inflazione in Egitto sale, il Governo, negli ultimi tempi, sta vendendo alcuni “beni statali” a investitori egiziani e arabi, tra cui, una serie di hotel storici.
Recentemente, infatti, è stato venduto lo storico Mina House Hotel al noto magnate immobiliare egiziano Hisham Talaat Moustafa e a due potenti conglomerati emiratini.
La struttura venduta gode di “Un’ampia vista sulle piramidi” ed è stata edificata come residenza di caccia reale prima di essere convertito in hotel nel 1887.
L’hotel storico è ricco di suite lussuose, tra cui la stanza in cui l’ex Primo Ministro del Regno Unito Winston Churchill ha soggiornato durante la Conferenza del Cairo del 1943 e una replica della camera da letto della celebre cantante egiziana Umm Kulthum.
Inoltre, il Mina House Hotel ha ospitato in una delle sue stanze i colloqui di pace tra l’ex Presidente egiziano Muḥammad Anwar al-Sādāt e i rappresentanti di Israele.
Louis Monreal, direttore generale dell’Aga Khan Trust for Culture di Ginevra, che ha visitato a lungo la Mina House, ha confessato “Spero che i nuovi proprietari si rendano conto che gli hotel storici in Egitto hanno un valore che va oltre quello finanziario. Sono parte della storia dell’Egitto e del turismo che ha contribuito all'integrazione del Paese nel mondo”.
Tra gli altri monumenti storici si elencano anche il Sofitel Winter Palace di Luxor, l’Old Waterfall di Assuan e lo Steigenberger Cecil Hotel, sulla costa di Alessandria.
Gli acquirenti, dei quali inizialmente il Primo Ministro egiziano Mostafa Madbouly non ha fatto i nomi, qualche settimana dopo la vendita sono stati rivelati essere l’Abu Dhabi Development Holding Company, un fondo sovrano con sede nella capitale degli Emirati Arabi Uniti, insieme alla sua controllata Abu Dhabi National Exhibitions Company (ADNEC Group).
Negli ultimi anni, inoltre, gli investitori emiratini hanno acquisito proprietà e società egiziane, tra cui anche la vendita per duecento milioni di dollari di un edificio governativo in piazza Tahrir, al Cairo.
Un consorzio emiratino, inoltre, sarebbe in trattative per l’acquisizione del terreno di Ras El Hikma, sulla costa settentrionale dell’Egitto, per un valore di ventidue miliardi di dollari, un accordo che includerebbe anche il gruppo Talaat Moustafa.
Secondo quanto riportato dai media egiziani, alcuni uomini d’affari emiratini sarebbero coinvolti in un progetto multimiliardario per lo sviluppo di terreni nella penisola di Ras al-Hikma, duecento chilometri a ovest di Alessandria.
Oggi l’Egitto è il secondo più grande debitore del FMI – Fondo Monetario Internazionale, dopo l’Argentina, ed è attualmente in trattative per aumentare il suo programma di prestiti.
Ma perché l’Egitto attraversa una crisi economica tanto considerevole?
A questa domanda diversi economisti attribuiscono come risposta “La crisi a una cattiva gestione macroeconomica”, riconoscendo tuttavia l’importanza di una stabilità di questo tipo per la crescita del Paese.
La trasformazione economica lenta e modesta dell’Egitto può essere compresa meglio con la teoria dell’“Economia politica delle idee”. Questa teoria, illustrata dall’economista di Harvard Dany Rodrick nel suo articolo “Ideas Versus Interests in Policymaking”, sottolinea il ruolo centrale dell’ideologia come un fenomeno che favorisce la definizione delle politiche pubbliche e del cambiamento istituzionale.
Quest’ultimo è un concetto che si trova alla base dell’Economia Politica, poiché spiega i motivi per i quali alcune Nazioni crescono più rapidamente rispetto ad altre e perché alcune, invece, rimangono indietro.
Un po’ di storia
Secondo un’attenta analisi dell’importante economista Racha Helwa, tra il 1956 e il 1970, l’Egitto si è trovato sotto il regime di Gamal Abd el-Nasser e, in questo arco di tempo, l’ideologia economica egiziana ha aderito a lungo a un approccio orientato verso l’interno e alla sostituzione delle importazioni, una politica commerciale adottata da molti Paesi a basso e medio reddito prima degli anni Ottanta, volta a sostenere lo sviluppo dei settori domestici proteggendoli dalla concorrenza delle importazioni.
Le caratteristiche principali di tale regime comprendevano la nazionalizzazione dei beni privati, la gestione delle imprese statali, la sostituzione delle importazioni e le restrizioni alle esportazioni.
Negli anni successivi, tra il 1970 e il 1980, il Paese si è trovato sotto la guida del regime di Muhammad Anwar al-Sādāt, il quale ha introdotto una nuova legislazione a favore degli investimenti nel mercato, la “Politica della porta aperta”, tuttavia respinta.
Nel 1981, sale al potere Hosni Mubarak, su uno sfondo di rivolte, come quelle per il pane nel 1977, che gli hanno impedito di avviare simili riforme.
Il Governo Mubarak ha, dunque, attuato sia politiche pro-mercato parziali che frammentarie, concretizzandosi nel lento progresso del programma di gestione degli asset pubblici (privatizzazione) e nella dimensione relativamente ampia del settore pubblico nell'economi.
Uno schema che, stando alla Helwa, troviamo ancora oggi.
Dunque, conclude l’economista Racha Helwa “Perché una Nazione abbracci appieno una posizione favorevole al mercato, deve possedere un forte impegno ideologico verso le politiche a favore di quest’ultimo e incentivi politici per promuovere questa ideologia. In Egitto, l’economia continua a operare con riforme economiche frammentarie, ostacolate da forti residui dell’epoca nasseriana, che si traducono in un modello di attuazione lento e incoerente. Questo approccio misto ha portato a un aumento delle incertezze economiche, ponendo sfide sia agli investitori locali che a quelli globali”.
“Mentre gli investitori possono affrontare l’instabilità politica – sottolinea Helwa - l'incertezza della politica economica scoraggia le imprese dall’assumere, investire e accedere ai mercati. Pertanto, per affrontare le sfide fondamentali dell’economia egiziana, è indispensabile valutare e affrontare i prerequisiti dell’economia politica, non solo concentrarsi sui fondamentali macroeconomici. Senza promuovere una più solida ideologia pro-mercato, sia all’interno del Governo che tra il pubblico, le riforme economiche in Egitto rimarranno intrappolate in un ciclo di stagnazione per gli anni a venire”.
( Immagine tramite screenshot, da .thearabweekly.com.)