Venerdì, 26 Maggio 2023 05:45

Gilberto Trombetta: “Alluvione in Emilia e dittatura europea sono collegati” In evidenza

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Sono un migliaio le frane che hanno massacrato l’Emilia Romagna, 36mila gli evacuati, 15 vittime. Danni ai raccolti non ancora calcolabili.

Di Giulia Bertotto Roma, 25 maggio 2023 (Quotidianoweb.it)  - Il 23 maggio il Cdm ha approvato il decreto legge sull'emergenza maltempo, con misure ad hoc per l'alluvione che ha colpito l'Emilia-Romagna e le Marche. Il premier Giorgia Meloni: "È un dl con i primi interventi urgenti, ci sono molte misure. Complessivamente questo primo provvedimento prevede uno stanziamento di oltre due miliardi di euro per le zone colpite. Il decreto prevede la sospensione dei termini relativi ai versamenti tributari e contributivi fino al 31 agosto".

Proclamato il lutto nazionale per la giornata del 24 maggio 2023.

Cosa c’entra la cementificazione scellerata con l’estensione della Ztl di Roma e lo smantellamento del settore sanitario? C’entra eccome, e in pochi sanno spiegarlo in maniera chiara e suffragata da dati come Gilberto Trombetta, giornalista e segretario del Fronte per la Sovranità Popolare. Lo abbiamo intervistato mentre l’Italia cerca di spalarsi via il fango di dosso.

La mattina del 16 maggio l’Emilia Romagna si è svegliata devastata da piogge torrenziali che hanno provocato frane, alluvioni, allagamenti e l'inondazione delle aree costiere. E come al solito viene fuori che i rischi si conoscevano.

L’ultimo report dell’Ispra, del 2021, ha realizzato una mappatura di tutte le zone soggette a rischio non solo idrogeologico ma anche a rischio frane, terremoti, erosione delle coste. Restringendo il campo al solo rischio idrogeologico è impressionante vedere come queste zone fossero quelle già segnalate come maggiormente soggette a smottamenti in caso di piogge. L’Emilia Romagna è la regione italiana più soggetta a rischio frane, seguono poi Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria. In questo rapporto sono evidenziati anche i tipi di argini e gli interventi necessari. In Italia quasi il 94 % dei comuni sono a rischio frana e alluvione, 1,3 milioni di abitanti. 1 famiglia su dieci nel nostro paese vive in zone a rischio inondazioni.

Ma come sempre non sono stati fatti gli interventi necessari. Sì, si sapeva tutto. Si conoscono perfettamente tutte le zone potenzialmente suscettibili di frane, alluvioni e allagamenti. Si sa persino dove e come intervenire. Ma negli anni non sono stati stanziati i fondi necessari.

Proprio in questi giorni il caso del Ponte Morandi è tornato sulle prime pagine perché, l'ex ad Mion ha dichiarato che “Nel 2010 seppi dei rischi però non feci niente. L'opera aveva difetti di progettazione”, questo è il paese dell’impunità.

Per affrontare l'emergenza maltempo in Emilia-Romagna il governo sta pensando a risorse provenienti da lotterie aggiuntive e dal ricavato delle aste di auto sequestrate alla criminalità organizzata. Lo ha affermato il viceministro dell'Economia Maurizio Leo e lo riporta l’Ansa il 23 maggio.

Sono delle misure da Stato straccione. Ci sono anche richieste di raccolte fondi lanciate da privati, ma uno Stato sano e civile non può reagire ad una calamità naturale -e meno che mai a quello che è un problema strutturale del territorio- come abbiamo detto sopra, con questi mezzi di fortuna. Dovrebbe finanziare le misure preventive a debito, cosa che però in Italia non possiamo fare perché abbiamo rinunciato alla sovranità monetaria, come del resto alla sovranità fiscale e con l’appartenenza all’Unione Europea e all’Eurozona e alle sue regole di bilancio molto stringenti. E veniamo anche al motivo per cui negli anni non sono stati stanziati i fondi necessari. Lo Stato avrebbe dovuto emettere titoli di stato e finanziare non solo la zona colpita ma tutte quelle aree ad alto rischio. Gli interventi emergenziali inoltre sono anche più costosi di quelli preventivi, perché devono riparare i danni subiti oltre a rimettere in sicurezza le aree per il futuro. Prevenire insomma costa meno, è più logico, è più etico; tuttavia non è quello che siamo abituati a fare nel nostro paese. E’ un incredibile cortocircuito.

E’ accaduto lo stesso in ambito sanitario: è stata smantellata la sanità territoriale e non è stato aggiornato il piano pandemico e poi all’arrivo del Covid abbiamo speso denaro in presidi igienici e politiche anticontagio dalla quanto meno dubbia efficacia.

Di più, nel caso della sanità c’è un obiettivo: spostare i cittadini dalla sanità pubblica a quella privata, parliamo di un giro d’affari da miliardi di euro. I dati ci dimostrano infatti che c’è una crescita degli introiti della sanità privata corrispondente ai tagli di quella pubblica. Perché parliamo di un servizio a cui il cittadino non può rinunciare. Se lo stipendio non glielo consente, il cittadino, seppur a malincuore non andrà in vacanza. Ma di certo non potrà rinunciare a visite e terapie mediche. Sono aumentate le famiglie che si sono indebitate per curarsi. E’ un fenomeno che abbiamo già visto con l’ondata di privatizzazioni negli anni ’90, una su tutte la privatizzazione dell’Eni. Pensiamo al mercato dell’energia: come nel caso delle alluvioni, le bollette non sono aumentate per via del destino cinico o della guerra, ma a causa di politiche economiche che hanno l’obiettivo di mettere il cittadino in mano al libero mercato. Negli anni Duemila è stato liberalizzato il mercato del settore energetico e oggi l’ultima stangata: il settore tutelato verrà cancellato mettendo tutti i cittadini in mano al mercato dei prezzi che però è altamente speculativo. Si tratta di un trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto, dai cittadini verso le aziende private. E non è vero che questo sistema di cose -in cui a guidare le politiche è il mercato- causa poi l’abbassamento dei prezzi. Attenzione poi, perché non serve che un settore sia necessariamente privatizzato per anteporre il guadagno privato al servizio alla cittadinanza. Pensiamo a molte controllate pubbliche oggi: l’acqua è a maggioranza pubblica in diversi comuni, ma l’ente pubblico che gestisce l’acqua è una società per azioni, insomma è nominalmente pubblico ma viene gestito come un’azienda privata. Detto altrimenti mettendo il profitto davanti al costo del servizio e alla qualità dello stesso.

Facciamo un esempio.

A Roma, negli ultimi dieci anni, Acea ha triplicato i dividendi e contemporaneamente sono raddoppiati i costi e anche le perdite della rete idrica perché non vengono fatte le manutenzioni. Quindi è vero che è nominalmente pubblica ma viene gestita come fosse privata, a scapito del servizio ai cittadini.

Cosa pensa dell’ipotesi che queste piogge anomale siano causate da interventi di modificazione del clima o ingegneria ambientale di natura artificiale?

L’inseminazione artificiale delle nuvole (che è diversa da quelle che chiamiamo scie chimiche) è una pratica conosciuta, praticata da diversi decenni, nulla di fantascientifico. Mi pare perciò verosimile che agendo in questo modo sulle condizioni meteorologiche prima o poi si possa causare qualche danno. Non è il mio campo, ma questa è l’idea che mi sono fatto.

Cosa dovrebbe fare il nostro paese per portarci fuori dal fango, reale e metaforico, in cui stiamo annaspando?

Le stime più conservative per mettere in sicurezza il territorio italiano parlano di 33 miliardi di euro secondo il database ReNDis, nel quale vengono presentati i progetti dei comuni per la messa in sicurezza. Dico “stima” perché non tutti gli interventi necessari sono stati già trasformati in progetti. E questo a causa del blocco del turn over e del taglio alla spesa pubblica: infatti molti enti pubblici dei comuni non hanno il personale tecnico sufficiente o in grado anche solo di scriverli questi progetti, necessari per ottenere i finanziamenti. Il Ministero dell’Agricoltura parla invece di 40 miliardi ma il Pil dell’Italia è circa 1900 miliardi di euro. In ogni caso dovrebbe essere una cifra ridicola per l’economia italiana! Eppure questi soldi non vengono stanziati.

Perché?

Perché c’è il patto di stabilità e crescita. Persino della cifra più bassa, di quei 33 miliardi, ne sono stati finanziati solo 6 e mezzo. Non si può quindi accusare il cambiamento climatico per quelle che sono invece le conseguenze di politiche ideologiche, stupide e legate all’austerità. Dal 2009 ad oggi abbiamo tagliato 255 miliardi di euro di investimenti pubblici per una media di 20 miliardi l’anno. Abbiamo anche i dipendenti pubblici più vecchi d’Europa. Non possiamo certo pensare di risollevarci mantenendo questo sistema di cose.

Se da un lato non si è investito sulla messa i sicurezza è pur vero che in alcune zone c’è stato un eccesso di cementificazione e di urbanizzazione che combinati con fenomeni climatici particolarmente intensi (i quali invece ci sono sempre stati) mettono il suolo a dura prova.

Proprio così. La natura è rimasta la stessa, il pubblico ha indietreggiato e così ha fatto spazio ai privati, consentendo la costruzione in territori nei quali è particolarmente pericoloso tirare su immobili.

Intanto il Governo pensa alle nostre caldaie. La proposta della Commissione Europea contenuta nella bozza di revisione del regolamento 813/2013/UE che verrà discussa il prossimo 12 giugno prevede lo stop alle caldaie a gas nelle abitazioni a partire dall'1 gennaio 2029.

Rientra nella grande narrazione della “rivoluzione verde” o “transizione energetica”. La nostra classe politica “ci sta suicidando” per conto di Bruxelles, e in parte anche per Washington. Prendendo per buono che il problema sia non anche di tipo ambientale ma solo di cambiamento climatico, prendendo per buono che il cambiamento climatico dipenda principalmente dall’azione antropica e che il problema sia la Co2 (tutte cose che non credo), se si va a vedere la produzione complessiva e pro capite di Co2 dell’Italia, scopriamo che negli ultimi 50 anni noi l’abbiamo già dimezzata. L’Italia emette lo 0,8% della Co2 a livello mondiale. Il problema non è l’Unione Europea e di certo non lo è l’Italia.

I cittadini romani vedono anche estendersi la Ztl, rischiando di restare emarginati dalla propria città.

Si parla solo di cambiamento climatico e Co2 che se mai fossero problemi non sarebbero che la minima parte, e mai della questione ambientale intesa come abuso delle risorse, consumo del suolo, inquinamento dei fiumi, perché parlare di questo significherebbe mettere in discussione il sistema di produzione capitalista iper-globalizzato degli ultimi 40 anni. Però come sempre la responsabilità viene fatta ricadere sul cittadino: la sua macchina inquina, la sua caldaia è nociva, la sua dieta è criminale. Io credo che nessuno sia contrario ad un modello di sviluppo che impatti di meno sull’ambiente (e che non significa produrre meno Co2), però dovremmo responsabilizzare chi impatta di più, come le grandi multinazionali invece di colpevolizzare i cittadini facendo ricadere su di essi il costo di questa transizione.

Lei parla spesso di vincolo esterno. Può spiegare facilmente di cosa si tratta?

Il vincolo esterno è stato teorizzato da Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia, il quale sostanzialmente diceva che noi italiani non ci vogliamo rassegnare a una vita da precari e sottopagati e che quindi ci servisse appunto un vincolo esterno al nostro paese che ci obbligasse a fare le riforme che noi non volevamo fare e che soprattutto la nostra Costituzione non avrebbe consentito. Questo ha significato mettere tutti gli strumenti che lo stato possiede soprattutto la politica fiscale ed economica (dove a scanso di equivoci la politica fiscale non è quella delle tasse ma quella del bilancio del Governo) nelle mani di stati altri o di enti sovranazionali come l’Ue. Noi abbiamo rinunciato alla sovranità economica e monetaria e non ci hanno neppure obbligato con la forza, non ci hanno invaso, c’è stata una rovinosa cessione della nostra sovranità nazionale da parte della nostra classe politica.

In questo stato di cose che abbiamo esposto, cosa pensa dell'atteggiamento di disfattismo e antipolitica, molto diffusa nell’area del “dissenso”?

Negli ultimi anni c’è stata un’infantilizzazione del dibattito pubblico in Italia, il quale implica la polarizzazione delle idee e delle posizioni. Spesso nell’area della dissidenza viene preso per vero ciò che non lo è soltanto perché è l’opposto di quanto afferma l’informazione ufficiale o “mainstream”. Ma il mondo è complesso e probabilmente la verità è più vicina al grigio che all’estremità nera o a quella bianca. Da 30 anni a questa parte assistiamo alla disarticolazione di quelli che vengono chiamati corpi intermedi come grandi partiti di massa o sindacati, ovviamente perché abbiamo una classe dirigente politica e sindacale (soprattutto i confederati come CGIL, CISL e UIL) di traditori che si sono venduti agli interessi privati del grande capitale prevalentemente estero e quindi è comprensibile una certa disillusione degli elettori verso questi corpi intermedi. Ci si aggiunga poi anche il fatto che le elezioni sono state svuotate di significato con le riforme elettorali, come il passaggio dal proporzionale puro al maggioritario o la sottrazione del finanziamento pubblico ai partiti.

I social media hanno poi potenziato questo effetto centrifugo e divisivo come mai prima d’ora.

Sì. L’atteggiamento antipolitico è quindi stato creato anche artificialmente, a mio avviso, e molti ci sono cascati con tutte le scarpe. Non condanno l’astensionismo, è una scelta legittima, però chi lo pratica deve sapere che è una scelta personalistica, individualistica, di ritiro dalla società. Non è vero che l’astensionismo è una scelta politica, e che se vanno a votare dieci persone la classe politica fa un passo indietro. L’astensionismo militante è invece proprio nefasto, frutto di ingenuità solo nella migliore delle ipotesi. La soluzione non è ritirarsi dalla vita politica ma riprendersela.

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