Di Giulia Bertotto Roma, 30 novembre 2022 (Quotidianoweb.it) - Siamo tornati ad intervistarlo per parlare con lui delle riforme economiche del nuovo Governo di centrodestra e delle preoccupazioni, e pressioni, dell'Unione Europea in merito al debito pubblico del nostro paese.
Professor Galloni, cosa pensa della prima manovra economica del Governo Meloni?
Credo che la prima manovra economica del Governo Meloni risenta di due circostanze. La prima è che avremmo bisogno di un governo che innanzitutto si preoccupasse di gestire risorse non a debito. Una parte di queste risorse non a debito ci è stata fornita dall'Unione Europea ma il grosso del PNRR è a debito. Si sottovalutato dunque il fatto che la sovranità monetaria appartiene ancora agli stati nazionali. Noi -con il Trattato di Lisbona- ci siamo impegnati a non stampare banconote in euro perché di competenza della Bce e a non superare il plafond assegnatoci per le monete metalliche. Ma nulla impedirebbe di avere banconote esclusivamente nazionali con cui ci si potrebbero pagare le tasse e di cui un esempio lontano, ma efficace in tal senso, è stato il credito di imposta del 110%: è macchinoso ma siamo già sulla strada giusta.
Questo influisce su tutte le scelte che vengono fatte, poiché anche se abbiamo la coperta del PNRR per centinaia di miliardi, tale coperta resta troppo corta: se consideriamo che un piano adeguato per il riassetto idro-geologico del paese (dato quello che è successo ad Ischia) ci costerebbe 400 miliardi, noi dobbiamo ragionare su come trovare questo denaro. E' chiaro che se si lavora sulla Scuola non si lavora sulla Sanità, se si lavora sulla Sanità restano scoperte la Scuola o le infrastrutture e così restiamo in un rovinoso circolo vizioso in cui non si soddisfano le esigenze del paese.
La seconda circostanza è in parte in conseguenza della prima, ossia sembra quasi che si annunci una “necessaria” guerra tra poveri: in Italia le fasce sociali vedono esserci i poverissimi, i poveri, la parte della classe media che si sta impoverendo, e la classe media, e sembra che quasi tutte le misure siano preparatorie a situazioni drammatiche che le vedono in conflitto. Prendiamo l'adeguamento delle pensioni: invece di dare una copertura adeguata a tutti i pensionati, si fa una selezione in base al reddito il che però un domani potrà anche far sollevare dei dubbi di costituzionalità.
Il Reddito di cittadinanza verrà modificato nel 2023, gli obblighi occupazionali diventeranno più stringenti perché il sussidio decade dopo due e non tre offerte di lavoro rifiutate. Inoltre aumenteranno i controlli su chi riceve questo sostegno. E ne è prevista l'abolizione nel 2024.
Il Reddito di cittadinanza aveva un vizio originario. Invece di configurarsi come una misura di welfare doveva essere un'incentivazione all'occupazione, anche perché in Italia abbiamo un bisogno enorme di figure che si occupino del patrimonio artistico, culturale, verde, paesaggistico e via così. Invece si è voluta creare una netta separazione tra coloro che lavoravano e quindi avevano un reddito (anche basso, considerando che i nostri redditi sono sempre più bassi), e coloro che necessitavano di un aiuto in quanto non in grado di lavorare per una causa di forza maggiore, il cosiddetto “disoccupato involontario”. La misura è stata buona perché necessaria e ha dato sostegno reale a persone e famiglie in difficoltà, al netto dei “furbetti”.
Quando si parla di furbetti dobbiamo a mio avviso sempre distinguere chi delinque, è irregolare, che “ci prova” con la gran parte della popolazione interessate da situazioni sociali di degrado e di emarginazione. La destra si vanta di disciplinare gli “italiani sfaticati” strumentalizzando una narrazione che inferocisce l'opinione pubblica, raccontando dei soliti giovani che scelgono di non impegnarsi in alcun impiego e beneficiare in pantofole di questo sussidio.
Noi siamo più prigionieri delle narrazioni che della realtà e questa versione dei fatti ha funzionato ma non è ciò che davvero accade nella maggior parte dei casi. Insomma se l'obiettivo del Governo è quello di rivedere anche profondamente il reddito di cittadinanza per farne uno strumento che agevoli l'occupazione, le imprese, il mercato del lavoro, allora si può ragionare in termini di riforma. Se punta ad eliminarlo per accettare supinamente i dettami del libero mercato non ci siamo affatto.
L'Italia, come la Grecia e Cipro, è indicata dalla Commissione Europea come un paese caratterizzato da "squilibri eccessivi", con un "debito pubblico elevato e una debole crescita della produttività, in un contesto di fragilità del mercato del lavoro e di alcune debolezze sui mercati finanziari, con rilevanza transfrontaliera". L'Europa sta dunque lavorando al commissariamento dell'Italia perché non siamo in regola con i conti pubblici.
Quando parliamo di debito pubblico si devono chiarire innanzitutto due punti. Il primo è che una parte di esso -quando è in possesso della Banca Centrale o di una istituzione pubblica- viene retrocesso e quindi a scadenza non viene ripagato il debito principale; dunque noi dobbiamo ridurre il debito pubblico di questa percentuale. La quale percentuale può aumentare nella misura in cui la Bce compra i titoli del debito pubblico italiano per tutta una serie di motivi, come è stato il Quantitative Easing voluto da Draghi a suo tempo.
Il secondo punto: il nostro debito pubblico è aumentato drammaticamente durante gli anni '80 quando si è deciso di ricorrere al mercato per finanziare i disavanzi dello Stato; prima si ricorreva alla Banca Centrale la quale emetteva denaro corrispondente ai titoli che il Tesoro non riusciva a vendere perché i tassi di interesse erano mantenuti volutamente bassi e , infatti, il debito pubblico non raggiungeva neppure il 60% del Pil.
Dopo di che è stato fatto quell'errore esiziale del 1981, poi, dopo il 1992, quando sono calati i tassi di interesse, i nostri responsabili sono caduti nella trappola dei derivati, orchestrata dalle banche creditrici. Così, il debito ha continuato a crescere nonostante che la spesa pubblica al netto degli interessi sia stata quasi sempre inferiore alle entrate fiscali. Inoltre l'indagine sui derivati ha portato all'apposizione del segreto di Stato da parte della direttrice generale competente.
La domanda fondamentale da porsi è: indebitarsi per fare cosa? In Italia abbiamo una marea di risorse che non vengono valorizzate, a cominciare dai cosiddetti rifiuti che meriterebbero di essere trattati come ciò che sono, ossia risorse energetiche. Ci sono tecnologie che consentirebbero di ricavare dall'indifferenziato che consentirebbe di produrre energia elettrica quasi a costo zero. Per quanto riguarda invece l'economia circolare siamo invece tra i più virtuosi in Europa a riciclare plastica, carta, vetro ecc
Il nostro patrimonio culturale, monumentale e ambientale meriterebbe maggiore attenzione, perché investendo su questi beni possiamo far crescere l'occupazione e il Pil e far diminuire il debito pubblico. Pil maggiore significa più gettito che possiamo utilizzare per ridurre il debito pubblico. E questo è un circolo virtuoso.
Occorre anche smettere di pensare che vada estinto in un giorno solo -altrimenti fa solo paura- e va anche rapportato alla ricchezza nazionale. E soprattutto bisognerebbe imboccare quella strada, che già indicammo alcuni di noi qualche anno fa sotto il nome di Piano di salvezza nazionale, per avvicinare i cinquemila miliardi di risparmio italiano all'acquisto di titoli che hanno un buon rendimento che possano poi restituire loro liquidità al momento del bisogno. Quindi il debito pubblico non è il grande problema del paese ma è non saperlo affrontare.
A proposito, è vero che l'ex presidente del consiglio Mario Draghi ha lasciato un debito pubblico più alto di quando è arrivato a Palazzo Chigi e ha incrementato di 48 miliardi il debito pubblico del nostro paese? Si vocifera che lo abbia fatto proprio un paio di giorni prima di lasciare il governo avrebbe invece reso del denaro alla Bce.
Draghi ha fatto più debito pubblico, ma scegliendo di indebitarci non con la Bce, ma con l'Unione Europea. Come dicevo prima, se ci avesse indebitati con la Bce, avremmo potuto poi retrocedere il debito stesso e così cancellarlo. Aveva promesso questo prima di diventare presidente del Consiglio, poi però ha agito diversamente.
Così l'Unione Europea ci chiederà indietro, nella migliore delle ipotesi, tutti i soldi del PNRR al netto di quello che è a fondo perduto (la gran parte non lo è), ma, nella peggiore delle ipotesi, sulla scorta della narrazione che dipinge l'Italia insolvente, irresponsabile e spendacciona, verranno aggiunte quelle famose condizionalità, il che significa che perderemo libertà, opportunità e quant'altro. Questa è la peggiore eredità che ci ha lasciato Mario Draghi.
Una domanda ingenua o forse lapidaria: considera questo un errore, o Draghi non poteva fare altrimenti, una scelta come dire obbligata, o una cattiva intenzione?
Alcuni dicono che ci sia stata una cattiva intenzione da parte sua. Il dubbio resta, la verità è che non posso saperlo.
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