di Roberta Minchillo (Quotidianoweb.it) Roma, 21 novembre 2024 - Sembra che questi versi della Divina Commedia abbiano abbattuto il muro del tempo, per diventare così attuali. Sono versi che riecheggiano nella mia mente, quando penso alle donne iraniane, a quelle donne che hanno dato la vita per essere libere; perché è vero, per alcune persone, la morte è meglio di una vita vissuta senza libertà.
Penso alla sedicenne, Nika Shakami, inseguita e rapita dalle forze di polizia mentre partecipava ad una manifestazione di protesta a Teheran. Nika è stata sequestrata dagli uomini delle forze di sicurezza che la trascinano prima in un furgone e poi tentano di violentarla, e a seguito dei suoi tentativi di opporsi, la uccidono a manganellate.
Aveva 16 anni anche Sarina Esmailzadeh, quando è stata uccisa a Karaj, due anni fa. Le forze di sicurezza l’hanno colpita ripetutamente alla testa.
E la lista, purtroppo, continua con: Setareh Tajik, 17enne di origine afghana, anche lei morta, Sarina Saedi, 15enne di origine curda, e Hasti Narouie, una bambina di appena sei anni, è lei la più giovane vittima delle manifestazioni di protesta contro il regime, uccisa a settembre del 2022, da un candelotto di gas lacrimogeno che l’ha colpita alla testa, lanciato dalla polizia sulle persone uscite da una moschea e radunatesi davanti a una caserma a Zahedan.
E ancora, come non dimenticare Mahsa Jina Amini, morta per un velo messo male il 16 settembre del 2022 e considerata un'eroina dell'Iran. Dalla sua vicenda nasce il movimento: Donna Vita Libertà.
Per fortuna (se di fortuna si può parlare), sorte diversa è toccata ad Ahoo Daryaei, la studentessa iraniana che aveva protestato contro l'hijab, spogliandosi nel giardino dell’università e che dopo il suo gesto di protesta, che ha fatto il giro del mondo, è stata forzatamente “ricoverata” in un ospedale psichiatrico.
A lei non è toccata la stessa sorte delle altre, a lei non è toccata in sorte la morte (evidentemente gesto troppo eclatante e che avrebbe alimentato l’indignazione), a lei è toccata in sorte, qualcosa di subdolo e tendenzioso: l’infamia.
Si, perché è stato accertato, sicuramente da medici altamente professionali e scrupolosi, che è malata e ora è stata consegnata alla famiglia che si prende cura di lei. Inoltre, nei suoi confronti non è stato avviato nessun provvedimento “giuridico”.
Perfetto, è acclarato, non c’è stata nessuna protesta, non c’è mai stata una ragazza coraggiosa che ha rivendicato la sua libertà con il gesto “fortissimo”, di spogliarsi in pubblico. No, nessuna eroina, solo una “malata di mente”. Ottimo escamotage per nascondere una realtà che vede protagoniste le donne iraniane, da anni.
Con l’ascesa al potere, nel 1979, dell’ayatollah Ruhollah Khomeyni ha inizio la svolta repressiva nei confronti delle donne iraniane, inizialmente con l’annullamento di tutti i tornei sportivi femminili, a cui hanno fatto seguito il divieto alle donne di frequentare la facoltà di Giurisprudenza e la conseguente privazione dell’incarico a tutte le giudici, fino all’obbligo di indossare il velo per tutte le donne.
Accanto all’obbligo di indossare l’hijab (il velo islamico) le donne, fin da ragazze, devono sottostare a tutta una serie di restrizioni dei loro diritti e delle loro libertà.
Restiamo in tema di abbigliamento: oltre all’obbligo del velo le donne possono indossare i jeans, purché non siano aderenti, e le gonne, che però devono arrivare alla caviglia; possono truccarsi ma, ovviamente non devono eccedere, non possono cantare, a meno che non siano accompagnate in duetto da un uomo, non possono ballare e ovviamente non possono viaggiare all’estero da sole. Anche il diritto all’aborto è fortemente limitato.
Per fortuna ci sono donne coraggiose che lottano contro questo stato di cose, ma che purtroppo, per questo, sono costrette a pagare un prezzo altissimo.
Ad esempio, una donna può essere fermata per strada dalla polizia morale perché non indossa correttamente il velo, infrazione questa, che può costare abusi, maltrattamenti e persino la vita come ha dimostrato la tragica morte di Masha Amini nel settembre 2022, che abbiamo già ricordato.
Emblematico è il caso dell’avvocata Nasrin Sotoudeh, condannata in diverse occasioni a lunghe pene detentive e frustate (in un’occasione ben 148) per “incitamento alla corruzione e alla prostituzione”, per “essere apparsa in pubblico senza velo” e per “aver preso le difese di donne che avevano protestato contro l’obbligo di indossarlo”.
Quella descritta è solo in parte la situazione drammatica in cui versano le donne iraniane, ma nonostante la forte repressione, il coraggio e il desiderio di libertà di queste donne sono ancora più forti.
È proprio il caso di dirlo: “la libertà è donna!”.