L'essere è la più comune e la più universale delle qualità.
Se, infatti, considerando un oggetto si prescinde dalle sue qualità proprie e poi da quelle meno comuni e, infine, da quelle più comuni ad altri oggetti, ciò che rimane è l'ente, il qualche cosa. Se si dovesse prescindere anche da questo, non rimarrebbe nel pensiero più nulla dell'oggetto dal quale si era partiti. Ha ragione, quindi, il beato Antonio Rosmini (1797/1855), riprendendo la lezione di Aristotele e di Tommaso d'Aquino, nel sostenere che l'ente "è l'ossatura comune da tutte le altre qualità che abbiam rimosse". Attenzione: non siamo davanti ad un giudizio, alla persuasione che un certo oggetto sia un ente, dal momento che il processo di astrazione può astrarre anche dalla persuasione con la conseguenza che quello che rimane non è più un giudizio, ma un'idea: quella dell'essere "virtuale" che, spiega ancora il Rosmini, "soprastà nella mente, anche tutta sola e nuda", cioè non ha bisogno di un'altra idea per essere pensata.
Tuttavia, l'idea dell'essere "possibile" rosminiana non è solo la condizione stessa dell'oggettività del conoscere, ma, riprendendo Agostino e Bonaventura da Bagnoregio, è innata perché voluta "ab aeterno" da Dio. Poiché l'essere "iniziale" è virtualmente infinito tra le sue attuazioni nell'essere reale, ci dovrà essere un Ente realmente infinito il quale non può che essere Dio. Siamo oltre le forme a priori e le categorie kantiane che sono vuote di contenuto, come siamo al di là dell'idealismo tedesco (Hegel in particolare) dove la concezione dell'essere è un quid indeterminato che coincide con il nulla (si veda la "Scienza della Logica") in cui sono comprese tutte le contraddizioni, mentre l'essere "possibile" di Rosmini non si presenta mai come vuotezza, ma quale essenza dell'essere che fin dall'inizio è atto. Detto diversamente, è una delle forme dell'essere accanto a quello reale e morale e non, come obiettava Gioberti, una realtà puramente psicologica.
Non mancano le accuse neotomiste di "ontologismo", condannato dalla Chiesa con il Decreto del Sant'Uffizio 18 settembre 1861 inteso come risvolto gnoseologico del panteismo, tuttavia, oltre la Nota del 2001 che scagiona il roveretano da questa accusa, va detto come ciò che viene condannato (Del Noce) è l’identificazione del "lumen intellectuale" con la immediata "Dei cognitio" che, però, non può applicarsi a Rosmini (semmai a Vincenzo Gioberti) per il quale il lume intellettuale è appunto l’idea dell’essere.
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.