di Daniele Trabucco (*) Belluno, 17 gennaio 2021 - La maggior parte delle crisi di governo della storia repubblicana italiana sono state, quasi sempre, di natura «extraparlamentare» in quanto estranee all’approvazione di una vera e propria mozione di sfiducia ai sensi dell’art. 94 della Costituzione repubblicana vigente. In particolare, sia nel caso della crisi del Governo Conte I, sia nel caso di quella del Conte II, si è verificata un’alterazione della coalizione governativa formata dai partiti politici di maggioranza.
Il segretario nazionale di Italia Viva, sen. Matteo Renzi, ha deciso di ritirare due suoi Ministri ed un sottosegretario, spingendo in questo modo il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. avv. Giuseppe Conte, ad un «chiarimento politico» fissato per lunedì 18 gennaio 2021 alla Camera dei Deputati e per martedì 19 gennaio 2021 al Senato della Repubblica.
In primo luogo, sarebbe stato più opportuno, sul piano politico, che Conte, sebbene il suo Esecutivo non sia stato sfiduciato, avesse rassegnato prima le dimissioni e, solo in seguito a questo atto, presentarsi ai due rami del Parlamento per spiegare le ragioni della decisione assunta e, in questo modo, consentire una pubblicizzazione dei termini politici soprattutto a vantaggio dell’opposizione.
In secondo luogo, se da un lato è vero che il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, è anche vero, dall’altro lato, che questo sostegno non deve ottenere necessariamente la maggioranza assoluta dei deputati e dei senatori. La possibilità, dunque, che alcuni si astengano o escano dall’aula porta a concludere che il Conte II possa continuare ad operare, ma con una maggioranza relativa (c.d. Governo di minoranza).
In terzo luogo, ci si potrebbe chiedere se questo Parlamento, benché legittimo, sia anche legittimato, o meglio se la rappresentanza politica sia collegata o meno ad una rappresentatività (concetto politologico) effettiva. La perdita di consensi da parte del Movimento 5 Stelle nelle diverse tornate elettorali (europee, regionali, amministrative) svoltesi dal 2018 al 2020, la scissione avvenuta all’interno del Partito Democratico con la nascita di Italia Viva, la chiara volontà espressa dal corpo elettorale in occasione del referendum dei giorni 20-21 settembre 2020 sulla riduzione del numero dei parlamentari e l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/2020 potrebbero sollevare qualche dubbio sulla mancata rispondenza tra rappresentanza parlamentare e corpo elettorale con conseguente depotenziamento della capacità di tradurre, da parte dei membri delle Camere, le istanze dell’elettorato. In altri termini, l’esistenza di una distanza tra Parlamento ed elettori, evidente anche dalla strisciante e non celata insofferenza verso la gestione dell’emergenza sanitaria da Covid-19, dovrebbe indurre il Presidente della Repubblica a valutare seriamente l’ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere ai sensi dell’art. 88 della Costituzione. In realtà, non accadrà alcunché sia perché le forze politiche di maggioranza, con le elezioni, rischiano un forte ridimensionamento, sia perché nessuno, in questa fase delicata e complessa per il Paese, ha davvero la volontà di andare al voto, rischiando di dover gestire una pandemia oramai poco controllabile nonostante le (discutibili e poco efficaci) misure fino ad ora adottate.
In conclusione, dunque, è altamente probabile che la legislatura si concluderà nel 2023 (dal 01 agosto 2021 inizia il semestre bianco per cui il Capo dello Stato non potrà esercitare il suo potere di scioglimento fino all’elezione del successore). Il problema, semmai, sarà come l’Italia giungerà a questo appuntamento.
(*) Professor Daniele Trabucco - Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato e Dottrina dello Stato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/Centro Studi Superiore INDEF. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.