Il percorso espositivo presenta una significativa selezione di opere – oltre cento lavori – provenienti da importanti collezioni italiane e si propone di ricostruire il rapporto dell'artista con il nostro Paese di cui è stato ospite assiduo, dagli anni Settanta a tutti gli anni Novanta, da solo o con altri artisti della galassia Fluxus, impegnato in performance, mostre, scambi e dialoghi con critici, collezionisti, istituzioni.
Il nucleo principale della mostra è costituito dai numerosi lavori appartenuti ad Antonina Zaru, che con l’artista coreano ha intrattenuto un rapporto duraturo e fecondo. Sono inoltre esposti documenti e testimonianze fotografiche e filmate scaturite da un’ampia ricognizione condotta sul territorio emiliano, dove Paik ha trovato molta attenzione da parte di galleristi appassionati come Rosanna Chiessi e Carlo Cattelani e di accorti collezionisti.
Esponente di spicco del movimento Fluxus, considerato il principale precursore della videoarte, è stato definito "un artista consapevole del proprio tempo", capace di utilizzare l'oggetto televisore e la telecamera sia come elementi con cui produrre videosculture e videoinstallazioni sia come componenti vere e proprie di performance.
Tra i protagonisti della stagione dell'happening newyorkese nel corso della sua vicenda artistica Paik ha agito fra arte, musica, teatro e fotografia, spesso insieme alla violoncellista Charlotte Moorman con la quale ha intrattenuto per circa trent'anni una intensa collaborazione, in particolare, nel decennio tra il 1964 e il 1974. A partire dagli anni Ottanta la sua ricerca si è concentrata sulla tecnologia satellitare e sul mondo del computer. Nel corso della sua carriera ha collaborato, fra gli altri, con John Cage, Peter Moore, Laurie Anderson, Joseph Beuys e Merce Cunningham.
"Il "bel canto" è stato il primo rapporto che ho avuto con l'Italia" ha affermato "La cosa che più mi intriga della cultura italiana è certamente la qualità e la complessità della Grande Opera Italiana. L'Opera rappresenta quello che ricerco nell'arte elettronica, in un'Opera c'è tutto: la musica, il movimento, lo spazio. Così, se un'operazione di arte elettronica riesce con successo, ritengo che debba essere considerata un'Opera elettronica".
Testimoniano questo particolare legame dell'artista con la nostra cultura i robot dedicati a Luciano Pavarotti e Maria Callas e l'opera del 1995 dal titolo "Oriental Painting, Direttore d’Orchestra".
Presenti in mostra altre importanti opere come "Sfera. Punto elettronico" del 1990-92, "TV Cello", 1992 e "Young Buddha on Duratrans Bed", 1989-1992.
Il catalogo bilingue italiano/inglese a cura di Silvia Ferrari, Serena Goldoni e Marco Pierini è pubblicato da Silvana Editoriale.
Note biografiche
Nam June Paik nasce a Seul (Corea) nel 1932. Compositore, performer, videoartista e grande sperimentatore mediatico, è stato uno dei protagonisti di spicco del movimento Fluxus.
Diplomatosi alla Tokyo University con una tesi su Arnold Schöenberg, continua i suoi studi in Germania alle Università di Monaco di Baviera e di Colonia e al Conservatorio di Musica di Friburgo. Dal 1958 al 1963 lavora con Karl-Heinz Stockhausen presso gli studi WRD di musica elettronica di Colonia. In questi anni conosce John Cage e comincia a partecipare ai festival Fluxus a seguito dell'incontro, nel 1961, con George Maciunas. Nel 1963 inaugura la sua prima mostra personale alla Galleria Parnass di Wuppertall, un'installazione di 13 video-monitor le cui immagini venivano distorte attraverso l'uso di magneti. Nel 1964 si trasferisce a New York dove inizia la collaborazione con la violoncellista Charlotte Moormann. Nel 1965 filma il traffico newyorkese durante la visita di Paolo VI con la prima telecamera amatoriale appena lanciata sul mercato dalla Sony, filmato che presenterà lo stesso giorno delle riprese con il titolo "Café Gogo", opera sancita come il primo video d’arte della storia. Nel 1970 costruisce con Shuya Abe il sintetizzatore video colori, un dispositivo che permette di creare immagini autonome senza referenze nella realtà, e nel 1971 lavora al WNET's TV lab di New York.
Nel 1974 espone all’Everson Museum of Art a Syracuse (New York) e nel 1976 e al Kilnischer Kunstverein di Colonia. Nel 1982 il Whithney Museum of American Art di New York gli dedica un'importante retrospettiva.
Nel 1984 lavora a "Good Morning, Mr. Orwell", una trasmissione intercontinentale in diretta televisiva realizzata via satellite, il giorno di capodanno, dal Centre Pompidou, Parigi e dal Museum of Modern Art di New York che vede coinvolti personaggi come Laurie Anderson, Peter Gabriel, John Cage, Merce Cunningham, Salvador Dalí e Joseph Beuys. Nel 1987 viene eletto membro dell'Akademie der Kunste di Berlino e nel 1988 realizza "The More the Better", una "torre dei media" per i giochi Olimpici di Seul costituita con 1003 monitor.
Nel 1990 tiene una personale a Reggio Emilia ai Chiostri di San Domenico.
Nel 1993 è ospite con Hans Haacke del Padiglione Tedesco alla XLV Biennale di Venezia, padiglione premiato con il Leone d'Oro.
Nel 1995 il Kunstmuseum di Wolfsburg gli dedica una personale, a cui seguono quelle del Solomon R. Guggenheim di New York, nel 2000 e di Bilbao, nel 2001. Muore a Miami il 29 gennaio 2006.