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di Mario Vacca Parma 24 marzo 2019 - Tra le procedure che mirano a dare una soluzione allo stato di crisi di un'impresa attraverso la regolamentazione con i rapporti con i fornitori troviamo i Piani di risanamento disciplinati dall'art. 67 ex legge fallimentare.
Il piano di risanamento – detto comunemente piano attestato - è ritenuto uno strumento concorsuale "Minore" in quanto è uno strumento nella mani dell'imprenditore per risanare l'impresa e riportarla in equilibrio attraverso una serie di operazioni strategiche - se non straordinarie - senza che vi sia un vero e proprio controllo del tribunale come avviene con le altre procedure e si differenzia anche perché non è soggetto ad alcun regine pubblicistico. Possono farvi ricorso tutti gli imprenditori potenzialmente assoggettabili alla procedura del fallimento; il presupposto soggettivo per ricorrere al piano di risanamento è rappresentato dalla condizione di imprenditore commerciale soggetto a fallimento ai sensi dell'articolo 1 Legge fallimentare.
La ratio dell'istituto è quello di salvaguardare gli atti posti in essere in esecuzione di un piano di risanamento credibile e quindi di garantirli dall'azione revocatoria fallimentare salvaguardando, in questo modo, i nuovi rapporti economici tra l'impresa e i suoi fornitori, clienti, collaboratori e finanziatori che agiscono in modo attivo nell'operazione di risanamento, dagli effetti dell'eventuale successivo fallimento dell'imprenditore.
Il piano attestato di risanamento deve avere due caratteristiche sostanziali per poter godere della protezione prevista dal legislatore, deve permettere il risanamento dell'impresa, sia dal punto di vista dell'esposizione debitoria che dal punto di vista della situazione finanziaria, e deve essere attestato da un professionista indipendente che accerti la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Il documento dovrà identificare ed esporre nei termini più precisi possibili le operazioni che l'imprenditore intende porre in essere quando la crisi aziendale è ancora reversibile ed è ancora possibile ripristinare gli equilibri economici e finanziari che garantiscono la continuità aziendale.
L'obiettivo cui mira l'imprenditore tramite il piano e il relativo accordo è ottenere il consenso dei partners in merito all'opportunità di garantire la continuità aziendale e al relativo programma economico-finanziario. Si potrebbe affermare che per il risanamento dell'esposizione debitoria si intenda:
- Riduzione dell'entità dei debiti;
- Rimodulazione e rinegoziazione delle scadenze;
- Rinegoziazione delle condizioni, e dei tassi di interesse;
- Rimodulazione degli strumenti finanziari;
La credibilità del piano passa anche per la previsione di un cambio – o un affiancamento – del vecchio management - che potrebbe essere imputato come l'attore stesso della crisi – con un manager di comprovata esperienza che, sarà affiancato da un Advisor ( che costruisce le linee guida del piano e lo negozia con i creditori), dal legale, che rende conforme il piano alle normative, dai consulenti (commercialista e consulente del lavoro) ed infine dall'attestatore che valuta il piano e ne attesta la veridicità.
Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 febbraio u.s. sarà pienamente operativo dal 15 agosto 2020, prevedendo indicatori di crisi, strumenti di allerta e monitoraggio ma alcune disposizioni sono entrate in già in attuazione a partire dal 16 marzo 2019.
Tra esse sono entrate in vigore articoli 377-379 sugli assetti societari e le nomine di amministratori ed organi direttivi.
Diventa obbligatoria la nomina di un organo di controllo o di un revisore per tutte le imprese che superano i 2 milioni di ricavi oppure occupano almeno dieci dipendenti.
L'obbligo cesserà soltanto dopo che per tre esercizi consecutivi non viene superato nessuno dei sopra citati limiti (di fatturato o dipendenti).
Ho già avuto modo di scrivere che le regole più severe sul monitoraggio dei fattori di crisi saranno rilevanti sul fronte della concessione del credito, diventando strumenti a disposizione per valutare il merito creditizio. Siffatta valutazione potrebbe portare gli imprenditori ad adeguarsi sin d'ora con l'adozione di idonei strumenti da implementare nel novero di un più ampio programma di Controllo di Gestione.
di Mario Vacca Parma 17 marzo 2019 - Con ordinanza n. 31117 del 03 dicembre 2018 la Corte di Cassazione ribadisce il concetto di inversione dell'onere della prova in caso di accertamenti fondati sui conti correnti bancari.
Per quanto concerne quindi l'accertamento delle imposte sui redditi basato sulle verifiche di conti correnti bancari l'amministrazione può ben fondare il proprio onere probatorio sui dati e sugli elementi riscontrati da tali conti, in ottemperanza all'articolo 32 D.P.R. 600/1973.
Si rammenta che l'articolo 2697 c.c. prevede che "chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento mentre chi ne eccepisce l'inefficacia deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda".
Per analogia la norma si applica anche al diritto tributario pertanto l'amministrazione finanziaria è tenuta a procurare la prova dei fatti costituenti l'eventuale reato.
Con riferimento all'ordinanza poc'anzi richiamata qualora l'accertamento da parte dell'Agenzia si fondi su verifiche di conti correnti bancari, si dà luogo ad un'efficacia dell'onere probatorio dell'Amministrazione e pertanto si genera un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente; quest'ultimo dovrà dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non siano riferiti ad operazioni imponibili, e dovrà fornire prove circostanziate riguardo ogni movimentazione.