Nessuna emozione per il cuore tecnologico del robot sottomarino. Ma battiti accelerati per il suo inventore e manovratore, l’ingegner Guido Gay; quattrocento metri sopra la verticale della sua creatura hi-tech, sugli schermi della cabina di regia del catamarano Daedalus, ha provato l’ennesima soddisfazione di trovare un relitto.
Gay, come si ricorderà, era balzato alla ribalta delle cronache il giugno scorso per il ritrovamento della corazzata Roma nel golfo dell’Asinara.
Un evento ben documentato nell’ultimo numero di Mare. Ma quel ‘sacrario’ a 1.600 metri di profondità è solo uno, benché il principale, dei tanti relitti scoperti dall’ingegnere italo-svizzero, fondatore della Gay-Marine l’azienda che produce i mezzi subacquei filoguidati. Sono quindici in tutto i relitti scoperti dall’Indiana Jones degli abissi. E fra questi c’è anche quello della nave romana adagiata sul fondo a 17 miglia a Sud dell’isola del Tino. Un «tesoro» distante nel tempo e nello spazio, ma «vicino », o meglio potenzialmente connesso, alle tracce dell’epoca romana, sul territorio spezzino, a cominciare dal sito archeologico della Villa del Varignano Vecchio. Eccole, a corredo di questo articolo, le immagini del ritrovamento: una ’distesa’ di anfore in terracotta, testimonianza dei traffici navali risalenti all’età Repubblicana (IV-III secolo avanti Cristo). «Si tratta di anfore cosiddette greco-italiche, presumibilmente prodotte nell’area laziale e destinate, col loro carico di vino, alla Gallia» dice il dottor Bruno Massabò, il soprintendente ai beni archeologici della Liguria. «Riteniamo la scoperta - prosegue - particolarmente importante non solo per il valore archeologico del sito ma per le prospettive aperte dal metodo investigativo adottato per esplorare aree marine profonde, finora inaccessibili, consentendo inoltre di approfondire la conoscenza delle rotte antiche d’altura. Grazie alla sofisticata tecnologia messa a punto dall’ingegner Gay si spera di giungere nel prossimo futuro ad una mappatura dei relitti antichi nelle aree marine profonde del Mar Ligure».
Insomma dall’alleanza fra Gay e Soprintendenza potrebbe svilupparsi un percorso virtuoso di ricerche e certificazioni di altri tesori sommersi al largo delle coste della nostra regione. E’ già accaduto, ad esempio, in Sardegna e in Corsica, con una proficua collaborazione fra l’ingegnere e le istituzioni locali che si è sviluppata in parallelo alle ricerche del relitto della corazzata Roma. Sorda, invece, si sarebbe rivelata la Toscana, che pure nel mare del suo arcipelago ‘dispone’ di siti archeologici di sicuro interesse.
Ma torniamo al tesoro che ormai, nell’immaginario collettivo, è accostato al nome dell’isola del Tino, benché sia ad una trentina di chilometri da esso.
Quante anfore ci sono sul fondo? «Probabilmente un migliaio» dice Guido Gay che, con Pluto Palla, ha passato in rassegna il giacimento culturale. Una scoperta, rivela, del tutto casuale, effetto dell’uso continuo, in navigazione, del sofisticato sonar di cui è dotato Daedalus . Spiega Gay: «Stavo ritornando alla Spezia dopo un’estate trascorsa nei Mari di Sardegna e di Corsica. Ad un certo punto il sonar ha rilevato un’anomalia nel fondale fangoso: una traccia di qualcosa di solido... Le condizioni meteo erano ideali per dar luogo all’accertamento successivo..».
Sì, perché, per indagare in maniera puntuale sul fondo, occorre stare il più possibili immobili col catamarano ma senza bisogno di ancorarsi. E’ la condizione fondamentale per calare e manovrare Pluto Palla dalla superficie. Tutto ciò avviene grazie anche al cosiddetto «sistema di posizionamento dinamico»: un’elica ausiliaria azimutale comandata da un computer mantiene la barca ferma in un posto preciso.
Entra così in scena il robot che, manovrato dalla pulsantiera del catamarano che trasmette i comandi attraverso il cordone ombelicale costituto dal filo a fibre ottiche, arriva preciso sull’obiettivo.
C’è voluta una manciata di minuti a Gay per capire che, al largo del Tino, aveva scoperto l’ennesimo relitto di nave romana.
«Della nave, in effetti, non c’è traccia sul fondo: è insabbiata, coperta dal fango. Ma con ogni probabilità si trattava di un’unità di almeno una quindicina di metri» spiega Gay.
«Purtroppo - rileva sconsolato - molte anfore sono state ridotte a frammenti per effetto del passaggio distruttivo delle reti a strascico; sono ben visibili i solchi tracciati sul fondo....».
I passaggi avvengono consapevolmente o inconsapevolmente?
«Di certo quelle anfore costituiscono un habitat ideale per gamberi e gronghi e chi fa quella pesca avrà colto le sue potenzialità».
Che fare, dunque, per salvaguardare il tesoro dal rischio di essere ridotto a pezzi?
La Soprintendenza ha interessato la Capitaneria di porto della Spezia per studiare forme di tutela. La materia è complessa: quelle sono acque internazionali. Intanto un deterrente
è sicuramente costituito dai rilievi satellitari sul punto nave del relitto, là dove è desumibile il passaggio dei pescherecci d’altura dotati del sistema di localizzazione Ais (Automatic
identification sistem).
Chi passa dà lì, casualmente o coscientemente, sarà chiamato a risponderne.
Intanto già si è pensato a valorizzare il ritrovamento.
E’ accaduto il 24 ottobre scorso, nell’ambito della cerimonia per la consegna al Comune di Porto Venere, da parte della Soprintendenza ai beni storici, dei beni demaniali onumentali:
Castello Doria, Castelletto, Cinta muraria con relative Torri e Mulini a vento, Batteria Umberto Primo dell’isola Palmaria.
Come ciliegina sulla torta del cerimoniale, in piazza Bastreri sono state proiettate le immagini ’girate’ da Pluto palla.
Lì Gay ha spiegato le tecniche di ricerca e le belle sorprese che ne sono scaturite: «Per me è un modo per sperimentare le invenzioni e ottimizzare la produzione dei robot sottomarini che produco. La ricerca si fa test e stimoloal tempo stesso».
Parte delle immagini immortalate dalla telecamera di Pluto palla, col corredo di qualche reperto recuperato dal fondo, costituiranno le chicche della mostra di archeologia subacquea in programma alle Grazie, città dei palombari, nel mese di settembre 2013, nell’ambito del raduno di barche d’epoca al Cantiere Valdettaro.
Mostra curata dalla dottoressa Lucia Gervasini responsabile dei siti archeologici spezzini, autrice di numerose pubblicazioni, tra le ultime quelle relative ai tesori della Villa Romana del Varignano Vecchio, nei cui magazzini sono anche custoditi i reperti (un’anfora e frammenti di anfore) venuti alla luce attraverso le ricerche sviluppate nel canale di
Porto Venere. Non sono mai stati mostrati pubblicamente. Ma il conto alla rovescia è iniziato....
COME DIFENDERE UN TESORO INDIFENDIBILE
(Ancora una volta la soluzione è lo Scuttling)
Il sito archeologico scoperto dall’Ingegner Gay, è teoricamente indifendibile per due ragioni fondamentali: si trova in acque internazionali, giace alla cospicua profondità di - 400 metri. Ebbene, sarà sufficiente girare il problema e far diventare positivo tutto ciò che apparentemente è negativo. I quattrocento metri impediscono di fatto le immersioni dei “tombaroli” anche con i moderni e pericolosi rebreather, e difenderlo dalle strascicanti sarà facilissimo. Non servono né controlli né disposizioni, basta dare un’occhiata alle carte dei fondali che ogni capitano di peschereccio ha nel suo scrittoio e che oggi, forse, ha lasciato il posto alla carta elettronica satellitare: per rendersi conto che gli ostacoli conosciuti sono tutti segnalati (relitti, carrelli delle vecchie mine difensive, massicci rocciosi), il più delle volte vengono indicati come afferramenti da evitare, pena la perdita delle reti. Ed ecco la soluzione più economica e immediata: grazie al GPS sappiamo esattamente dov’è il sito.
Sempre con il GPS, tracciamo due sbarramenti a monte e a valle dello stesso, dove caliamo quei blocchi di cemento che vengono normalmente utilizzati per le dighe foranee e “con una fava, prendiamo due piccioni”. Le piccole barriere artificiali ripopoleranno il fondale con pesce pregiato e gamberi. I pescherecci saranno costretti a cambiare rotta in considerazione dei nuovi afferramenti. In sostanza, grazie allo “scuttling” che da questo podio abbiamo caldeggiato in occasione di ben due articoli, difendendo il tesoro archeologico ripopoliamo anche il fondale, le spese sono minime i controlli a zero e non servono divieti.
Sperando che ci si vegli anche con lo scuttling tradizionale, che in tutto il mondo porta centinaia di migliaia di turisti subacquei in tutte le stagioni dell’anno. Vedi M.A.R.E. n.22