Di Tamara Viotto Belluno, 13 aprile 2023 - Il giorno di Pasqua un bambino viene deposto nella culla della speranza. Deposto, non depositato, non è un pacco, è una creatura, ha un nome: Enea, nome importante, biblico, mitologico. Forse è una casualità, ma l’eroe virgiliano Enea è noto per la sua pietas, un sentimento che lo rende devoto alla famiglia e agli dei anche accettando il suo destino.
La lettera che lo accompagna dice che è un bimbo sano, nato in ospedale, nessun problema tranne il fatto che non può, per qualche ignaro motivo, essere cresciuto dalla donna che lo ha messo al mondo.
Questi i fatti. La cronaca si esaurisce in pochi e intensi dettagli. Oltre c’è posto solo per le congetture, per le ipotesi, per i commenti e i giudizi non richiesti.
Non è noto il vero motivo che ha spinto la mamma di Enea ad agire in quel modo; non si può determinare se la decisione sia stata presa da lei solamente o se sia stata in qualche modo condizionata o, peggio ancora, costretta. Non si conoscono le sue generalità, ne ha tutti i diritti.
Tra quelle righe strappa lacrime si può percepire la sofferenza umana, ma anche la razionalità di un gesto. Cosa di preciso abbia provato, stia provando e pensando non è di nostro dominio.
Il chiasso mediatico non aiuta
Il rispetto per le vite umane, tutte, vorrebbe che di fronte a un tale fatto di cronaca si smorzassero commenti e giudizi. Invece, nell’epoca dell’”intervento facile” in cui viviamo si è scatenato un chiasso mediatico tale da spostare l’attenzione su chi commenta che cosa.
La frenesia della notizia e le conseguenti reazioni non permettono una comunicazione educata e riflessiva; spesso si assiste ad un vero e proprio accanimento di idee estranee ai fatti reali, opinioni mal poste che non alimentano una giusta critica.
L’aiuto, un gesto delicato
Offrire una speranza è di norma un gesto altruistico. Un aiuto sincero offre solamente, non condiziona le scelte; un aiuto è un gesto che arriva con la delicatezza di una luce fioca che non abbaglia, ma che permette di vedere una strada diversa, permette un pensiero prima proibito. Questa forma di aiuto vive nel silenzio.
Tornando ai fatti quindi si può immaginare una donna che per nove mesi ha potuto accudire una vita nel suo grembo, ma non sappiamo in quale contesto; questa stessa donna ha sofferto i dolori del parto e poco dopo ha dovuto prendere una decisione ancor più sofferta, quella di affidare in mani diverse dalle sue la sua creatura.
Può sembrare un mero resoconto, se vogliamo anche cinico, ma si tratta dell’unica verità narrata dai fatti, tutto il resto è un romanzo che manca di rispetto ad Enea e alla sua mamma.