“Valori condivisi, conoscenza dei reciproci progetti, regole comuni di lavoro, sedimentazione di buone prassi partecipative, informazione attualizzata e puntuale, adesioni a reti internazionali, impostazione di campagne concordate con le istituzioni saharawi. Questi – spiega Ivan Lisanti, presidente della Rete Saharawi – sono stati i primi obiettivi, perseguiti e in parte raggiunti”. Le condizioni di emergenza sanitaria hanno condizionato ma non arrestato il processo costituente, ma hanno impedito l’attivazione nel 2020 dell’accoglienza in Italia dei “Piccoli ambasciatori di pace saharawi”, il progetto che da anni porta durante l’estate i bambini saharawi in Italia, accolti in famiglie e in comunità, per trascorrere l’estate tra giochi, studio e controlli medici. “La distanza però non ha impedito – precisa Lisanti – la riunione di direttivi allargati a tutti i presidenti, dal mese di aprile ad oggi, con cadenza settimanale in remoto, l’istituzione di dieci gruppi di lavoro e la condivisione di strumenti informativi accessibili a tutti. In questa fase è stato determinante il lavoro della Rappresentanza della RASD in Italia nel fornire a Rete Saharawi notizie aggiornate e documentazione di studio”.
Oltre all’incontro e alla progettazione, sul piano operativo la Rete si è concentrata sull’adesione e sulla promozione di tre progetti. In primis la campagna internazionale per il finanziamento straordinario di 15 milioni per fronteggiare i rischi connessi al COVID-19 nei campi dei rifugiati a Tindouf, rivolta ai governi, promossa da tre agenzie dell’Onu, da cinque Ong e dalla Mezzaluna Rossa saharawi. Poi la campagna internazionale di sensibilizzazione per le condizioni dei prigionieri politici detenuti nelle carceri marocchine, rivolta a Enti Locali e associazioni della società civile italiana, promossa dall’associazione di giornalisti Equipe Media, attiva nei territori occupati. Infine la campagna internazionale per la raccolta di fondi a sostegno di un progetto estivo alternativo all’accoglienza all’estero, dedicato a bambine e bambini, tra gli otto e i quattordici anni, che vivono nei campi dei rifugiati.
Tutte azioni mirate a trasformare, alla luce dell’emergenza sanitaria mondiale, le tradizionali prassi di solidarietà messe in campo a sostegno di questo popolo, che nella complicata condizione di vita nei campi di rifugiati collocati nel deserto algerino vicino Tindouf sta affrontando il lockdown e puntando a contenere il rischio di diffusione della pandemia.
“La prima risposta da parte del governo della Repubblica Araba Saharawi Democratica – spiega Fatima Mahfud, rappresentante in Italia del Fronte Polisario – è stata la chiusura delle frontiere e dell’emissione dei visti, con il rientro di tutto il personale straniero a casa propria. Poi l’istituzione di luoghi isolati e protetti in cui accogliere i cittadini saharawi che rientravano dall’estero. Poi l’approvvigionamento di dispositivi per gli ospedali, l’incremento di posti letto dedicati a eventuali pazienti COVID e, dopo la dichiarazione di pandemia dell’OMS l’11 marzo, il lockdown”.
Misure radicali ma efficaci, che hanno permesso il contenimento del virus – giacché ad oggi non sono registrati casi nei campi di rifugiati saharawi – in coincidenza con l’arrivo della stagione calda e del Ramadan. “Un elemento da non trascurare – precisa Mahfud – perché per abitudine, per diversificare la dieta, le persone in questo momento cercano frutta fresca e datteri, alimenti costosi, non più disponibili con l’ulteriore impoverimento dovuto al blocco di ogni attività lavorativa nei campi. Anche gli aiuti che arrivano dall’estero, le carovane di stranieri delle associazioni, le famiglie che visitano i bambini nei campi: tutto si è fermato. Compresa la consegna dei medicinali, fra cui alcuni specifici che necessitano del trasporto a freddo”.
E nonostante queste difficoltà la realtà più caratteristica dell’emergenza è stata la solidarietà di ritorno espressa dal popolo saharawi verso i Paesi europei più colpiti dal virus, fra cui appunto l’Italia e la Spagna. “La nostra gente si è preoccupata di mandare molti messaggi – racconta la rappresentante del Polisario in Italia – anche a seguito di momenti molto impattanti per la nostra cultura. Penso alle immagini dei camion con i deceduti di Bergamo o delle fosse comuni a New York. Contesti che per una società religiosa come la nostra, molto legata al tema della compassione, hanno dato un ulteriore chiarezza di cosa stessimo affrontando. Fornendo anche la certezza che non siamo immuni, nonostante il caldo del deserto”.
La situazione attualmente sembra sotto controllo. Con l’identificazione di alcuni casi sospetti nella città algerina di Tindouf le autorità di Algeri hanno messo a disposizione un ospedale specifico nei campi, per evitare che la popolazione saharawi dai campi si rechi in città, rischiando di esporsi al contagio. “L’Algeria inoltre – precisa Mahfud – ha donato strumenti per il personale sanitario e moltissimi aiuti umanitari. Per il resto si attende, come tutti, nel dubbio, che l’Oms dichiari un giorno la fine di questa emergenza. Non si può parlare di futuro adesso. Il futuro è ogni due settimane, e questo vale per noi, per l’Italia, per il resto del mondo. Viviamo in eterna emergenza e in un continente che ha a che fare spessissimo con le epidemie”.