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Di Matteo Pio Impagnatiello Pilastro di Langhirano, 23 giugno 2025 -Il numero 3/2025 di Eurasia, Rivista di studi geopolitici, dal titolo emblematico "L'UE contro l'Europa?", costituisce un’opera densa, ambiziosa e strutturalmente coerente che si colloca a pieno titolo nel solco della tradizione metapolitica e geopolitica più avvertita.

La rivista, diretta da Claudio Mutti, si conferma come uno degli ultimi bastioni di un pensiero continentale autenticamente critico, sprovvisto di timori reverenziali nei confronti delle ortodossie liberali, e saldamente ancorato a una visione del mondo imperniata sulla sovranità spirituale, culturale e storica delle civiltà. L’interrogativo implicito nel titolo suggerisce sin dalle prime battute una presa di posizione netta: l’Unione Europea, lungi dall’essere l'incarnazione dell'unità europea, rappresenterebbe la sua negazione funzionale, la sua messa in mora programmatica.

Il fascicolo si apre con un poderoso editoriale firmato da Claudio Mutti, "Le metamorfosi storiche dell’Europa", che non si limita ad una ricostruzione storica sequenziale, ma propone una visione integrale e simbolica della civiltà europea come entità imperiale multiforme.

L’autore ripercorre con penetrante acribia le grandi fasi della storia d’Europa – da Roma antica a Bisanzio, dal Sacro Romano Impero al progetto napoleonico, fino agli esperimenti di unificazione euroasiatica – evidenziando come l’elemento unificante non sia mai stato quello giuridico o economico, bensì una dimensione spirituale e culturale superiore, che oggi appare minacciata da un meccanismo tecnocratico acefalo, incapace di evocare fedeltà né appartenenza.

La narrazione, puntellata da riferimenti dottrinali e storiografici di notevole ampiezza (da Pirenne a Volpe, a Toynbee), è sorretta da una visione del mondo imperiale e verticale, diametralmente opposta all’orizzontalismo amministrativo delle istituzioni comunitarie contemporanee.

Il cuore del fascicolo è il dossier tematico intitolato, come l’intero numero, "L’UE contro l’Europa?". Esso raccoglie contributi eterogenei ma unificati da una visione critica della costruzione europea, letta come progetto eterodiretto, volto non alla rinascita dell’Europa storica bensì alla sua dissoluzione nelle logiche del mondialismo.

Il saggio d’apertura di Alessandra Colla, "Armiamoci e partite!", affronta con impeto polemico e solidità argomentativa il paradosso dell’autonomia strategica europea, denunciando la natura subordinata delle scelte militari di Bruxelles rispetto al blocco atlantico. Colla smaschera l’incoerenza della retorica bellicista promossa dalle cancellerie occidentali, mostrandone la funzionalità all’agenda angloamericana.

Segue Daniele Perra con "La lobby sionista in Europa", un saggio che solleva il velo su una delle tematiche più sensibili del panorama geopolitico e culturale: l’influenza pervasiva delle reti filoisraeliane nella definizione delle agende politiche, culturali e mediatiche europee. L’approccio è misurato, basato su fonti eterogenee, e volto non ad una demonizzazione, ma ad una comprensione della dialettica tra sovranità europea e condizionamenti esterni.

Altro contributo di rilievo è quello di Stefano Azzali, che si cimenta con la decostruzione critica del concetto di radici “giudaico-cristiane”, frequentemente evocato come fondamento identitario dell’Unione Europea.

L’autore dimostra, con rigore filologico e teologico, come tale formula sia in realtà una costruzione ideologica recente, funzionale ad una narrazione sincretistica che distorce sia l’eredità classica sia quella cristiana in senso autentico.

Valerio Savioli propone un articolato excursus sulla genesi dell’Unione Europea come prodotto della strategia statunitense nella fase postbellica. Il suo contributo, ampio e ben documentato, restituisce una mappa geopolitica nella quale l’UE emerge come protesi euro-atlantica e non come entità autonoma, aggravando la dipendenza politica e culturale del continente rispetto a Washington.

Un altro saggio estremamente stimolante è quello di Yannick Sauveur, che riflette sull’americanizzazione linguistica della UE come sintomo di un più ampio processo di colonizzazione mentale e simbolica. Il lessico, osserva Sauveur, non è mai neutro: il dominio dell’inglese – lingua franca imposta, e non eletta – testimonia la rinuncia dell’Europa alla sua polifonia storica, e introduce un regime concettuale che veicola valori estranei all’ethos continentale.

In "L’Europa e la Nuova Via della Seta", Giulio Chinappi si colloca su un versante geopolitico piuttosto che storico, offrendo una panoramica sull’asse eurasiatico promosso dalla Cina. Il suo testo suggerisce che la possibile riattivazione di un nesso continentale dall’Atlantico al Pacifico potrebbe rappresentare l’unico reale antidoto alla dipendenza atlantista.

Il saggio di Aldo Braccio, dedicato al rapporto tra UE e Turchia, mette in luce con rara finezza le ambiguità della strategia europea nei confronti di Ankara, oscillante tra attrazione e repulsione, e incapace di affrontare in modo franco la questione della compatibilità culturale e strategica tra l’Europa e il mondo turco-islamico.

Infine, Luca Tadolini, nel suo "Unità europea e liberazione dell’Europa", chiude il dossier con un appello alla riconquista dell’idea imperiale europea quale forma autentica di unità spirituale e politica, opposta alla pseudo-universalità liberal-globalista.

Degna di nota è anche la sezione "Geopolitica e Geostrategia", ove spicca il contributo di Amedeo Maddaluno sull’intelligenza artificiale come arma strategica: una riflessione colta che, pur evitando i toni catastrofici, suggerisce con forza la centralità della dimensione tecnologica nei conflitti di nuova generazione.

La parte finale della rivista è consacrata, come consuetudine, a recensioni e schede bibliografiche di opere selezionate con attenzione. In questa tornata si segnala in particolare l’analisi delle lettere inedite di René Guénon, la cui figura continua a esercitare un’influenza discreta ma costante sulla linea della rivista. Anche la scheda su "Distruggere la Palestina, distruggere il pianeta" di Andreas Malm è degna di interesse, e conferma l’attenzione della redazione verso gli snodi ecologici letti in chiave geopolitica.

Un ulteriore elemento di apprezzamento va alla curatela editoriale: la grafica di Cristina Gregolin mantiene un profilo sobrio ma elegante, il che consente una fruizione agevole dei testi anche più densi. L’apparato di note e bibliografia è puntuale, spesso arricchito da fonti primarie e riferimenti poco noti, a testimonianza di una volontà filologica che nobilita l’intero impianto redazionale.

Nel complesso, il numero 3/2025 di Eurasia rappresenta un contributo notevole alla comprensione critica del progetto europeo contemporaneo. In un’epoca in cui la confusione semantica e l’afasia identitaria regnano sovrane, la rivista riafferma il valore della parola pensata, della visione di lungo periodo e dell’appartenenza ad un’idea di Europa che affonda le sue radici non nei trattati di Maastricht, bensì nei grandi cicli della storia imperiale e nella civiltà dello spirito.

Pur da una prospettiva dichiaratamente alternativa, Eurasia non cade nella trappola della lamentazione sterile o del panegirico ideologico.

Al contrario, articola un pensiero critico strutturato, fondato su dati, testi, genealogie e paradigmi interpretativi coerenti. Per chi rifiuta la sostituzione della sostanza con la procedura, e del popolo con la popolazione, questa lettura risulta non solo stimolante ma necessaria. Un presidio intellettuale raro, in tempi di dissoluzione cognitiva.

 

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