Una buona notizia per i "carnivori", verrano meno le pressioni per cambiare abitudini alimentari. Le proteine della carne migliori di quanto la cultura popolare moderna supponesse o intendesse fare credere.
Parma, 03 novembre 2014 --
Premesso che la miglior dieta è quella mediterranea, perfetto mix tra carboidrati, proteine animali e grassi sia di origine vegetale sia animale (olio e burro per intendersi), sta finalmente smontando la convinzione che vegetariano è "felicità e benessere".
Un contro ordine che viene da uno studio condotto nell'Università Medica di Graz, in Austria, pubblicato dalla rivista PLos One.
I risultati ai quali i ricercatori sono giunti stravolgono, e perciò è facile prevedere ben presto delle contro ricerche, le convinzioni più popolari e comunque suffragate anch'esse da ricerche. Secondo i ricercatori, infatti, coloro che eliminano la carne dal proprio regime alimentare hanno il 50% di possibilità in più di ammalarsi di cancro o di subire un infarto, e non solo. I vegetariani hanno il doppio delle probabilità di soffrire di allergie e risulterebbero anche più esposti alla depressione e all'ansia.
Pur riconoscendo che i vegetariani hanno un body mass index inferiore e abitudini migliori (ad esempio, in genere fanno più attività fisica, bevono meno alcool e non fumano) la ricerca, intitolata Austrian Health Interview Survey, si contrappone nettamente a quanto finora conosciuto ovvero che le diete ricche di vegetali e frutta riducono il rischio del cancro e di altre malattie croniche in tutti i gruppi demografici.
A onor del vero, la ricerca in esame, stabilisce che il problema non starebbe nel fatto che frutta e vegetali sono dannosi, ma nella dieta sbilanciata. Infatti anche i grassi animali, assunti in dosi ragionevoli, hanno una missione positiva da portare avanti nel metabolismo corporeo.
Corsi e ricorsi storici. La scienza e in particolare quella connessa alla nutrizione, continua a sorprenderci. Dopo il burro sta cadendo il tabù del cioccolato.
di Virgilio. Parma, 04 novembre 2014 --
Nell'era moderna a salvare il cioccolato era solo il il suo effetto "droga" sull'umore. La capacità riconosciute a stimolare la produzione di endorfine (ormone della felicità), polipeptidi presenti nel cervello e nell'ipofisi ad attività oppiaceo-simile, da parte del cioccolato è stata incontrovertibilmente certificato dalla comunità scientifica.
Ma, e c'è sempre un ma quando qualche alimento diventa troppo attrattivo, il cioccolato è sempre stato osteggiato per i suoi grassi e conseguentemente per i problemi connessi al colesterolo. Almeno al colesterolo "cattivo" perché uno "buono" è già stato trovato e chissà che, ben presto anche questo tabù potrà anch'esso decadere.
Il cioccolato per la felicità e come analgesico, grazie appunto alle endorfine in grado di stimolare i centri del piacere creando situazioni soddisfacenti e riducendo dolore e malessere, ma non solo.
Recentissime ricerche, infatti, dimostrano come il cioccolato sia in grado di "ringiovanire la mente" di trent'anni. La notizia è stata pubblicata da Nature Neuroscience e divulgata da Huffington Post.it lo scorso 27 ottobre a firma di Ilaria Betti.
L'elisir di giovinezza albergherebbe quindi nei chicchi di cacao. Il cioccolato avrebbe quindi il potere di rallentare il processo di perdita della memoria nelle persone anziane. "I flavonoli, gli antiossidanti contenuti nei chicchi di cacao, possono far tornare la memoria di una persona di 60 anni a quella di un trentenne o di un quarantenne", spiegano gli studiosi della Columbia University.
Ci voleva proprio il "Time" per riabilitare il burro?
di Lamberto Colla - Parma, 31 ottobre 2014 -
Nella culla del "parmigiano", in quelle terre a scavalco del PO che comprendono le province di Parma, Reggio nell'Emilia, Modena e una parte di Mantova e un'altra di Bologna, il burro è sempre stato, come il famoso formaggio DOP "parmigiano Reggiano" un componente importante della dieta alimentare.
Sciolto sui "tortelli d'erbetta" piuttosto che sulle paste in "bianco" o usato per cucinare la carne, il "burro", per lo più prodotto dalla panna di affioramento residuale della lavorazione del "Parmigiano Reggiano", magari accompagnato da un velo di zucchero o di marmellata spalmato sulla fetta di pane è stato il quotidiano compagno di merende dei bambini di campagna e di città. Chi non ha nostalgia di quegli anni, quando la mamma ci rincorreva per farci fare la sacrosanta merenda. Estate - inverno sempre a giocare, nelle periferie delle città, tutte uguali. In quelle disordinate terre di nessuno a fare da interdizione tra la campagna e la città che da lì a poco sarebbero divenute territori di conquista delle gru, simbolo della rinascita dell'Italia negli anni '60.
Cresciuti tutti bene e sani a differenza degli americani, coloro i quali iniziarono la guerra contro il nostro burro, proprio loro, mangiatori a "sbafo" di margarina. Già la margarina, il surrogato del "burro". Quel prodotto "inventato" per soddisfare i soldati napoleonici durante le lunghe campagne di guerra. Parente solo per il colore e la spalmabilità al più prezioso e nutriente burro, la margarina è il risultato dall'idrogenazione dei grassi vegetali, venne "spacciata" per alimento "leggero" quando invece era nota, almeno a tutte le comunità scientifiche, l'indigeribilità dei grassi trasformati nel processo di idrogenazione.
E gli effetti negativi sulla salute degli statunitensi non hanno tardato a manifestarsi con una obesità diffusa e oggi finalmente contrastata dalla First Lady Michelle Obama.
Forse, anche in forza di questa spinta politica, è per questa ragione che molte delle tradizioni mediterranee stanno per essere riabilitate dalla cultura scientifica d'oltreoceano.
Ed è proprio dell'estate scorsa che, attraverso il "Time", è stata data una spallata al comune pregiudizio sulla pericolosità del burro.
"La sua riabilitazione, scrive adnkronos lo scorso 21 giugno commentando la copertina di TIME, sembra dunque annunciare una vera e propria rivoluzione negli Usa. La rivista cita uno studio dell'Università di Cambridge (Uk), pubblicato su 'Annals of internal medicine', che ha passato in rassegna circa 80 ricerche su oltre 500 mila persone. I ricercatori sono giunti alla conclusione che i grassi saturi non aumentano il rischio di incorrere in patologie cardiovascolari.
Secondo lo studio, inoltre, anche i cosiddetti grassi 'buoni' sembrano non avere effetti protettivi rispetto al rischio".
Una notizia che può avere sorpreso molti ma non sicuramente il Dr., Dr. H.C., Prof. Giovanni Ballarini, illustre scienziato ma anche appassionato di culinaria tant'è che dal 2008 è stato chiamato a presiedere la prestigiosa Accademia Italiana della Cucina, il quale scrisse, circa una decina d'anni fa, addirittura l'Elogio del Burro, "Butter is Better".
Uno scritto che è sempre un piacere leggere per la preziosità dei contenuti narrati da mano appassionata e capace.
Per questa ragione, credo conveniente, riportare alcuni stralci che, ne sono sicuro, gradirete.
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CENNI STORICI SUL BURRO
Il rapporto che l'uomo ha con gli alimenti non è mai stato unicamente ed esclusivamente di tipo nutrizionale o, come oggi si dice, fisiologico, e neppure di tipo soltanto economico. La scelta degli alimenti e di conseguenza anche il loro valore è dipeso e continua a dipendere anche dal soddisfacimento d'altre esigenze, di tipo psicologico interno spesso inconscio, ma anche di riferimento e legittimazione di valori e significati culturali. Questi potevano anche essere il frutto di condizionamenti spirituali e religiosi, poi tradotti in regole di vita od in rituali, quando non erano la fonte di pregiudizi culturali, che spesso vediamo ancora persistere od assumere nuove forme nelle attuali "religioni laiche". In quest'ambito, soprattutto per lo storico dell'alimentazione e del costume, ma anche dell'economia e della salute, una particolare importanza assumono i condimenti sia come fondi di cottura, sale ed aceto, spezie, ma soprattutto le sostanze grasse, che sono una componente irrinunciabile ad ogni sistema alimentare, definendone caratteri, specificità ed identità, tanto da poter essere inquadrati tra i marcatori culinari. In quest'ultimo ambito il burro non può essere considerato da solo, ma in rapporto anche ad altri grassi.
Lunga è la storia del burro, anzi la sua preistoria, in quanto si fa risalire all'inizio della domesticazione degli animali da latte, anche se con una contrapposizione ai latti fermentati. In modo molto schematico si ritiene che la vasta area della domesticazione degli animali produttori di latte, fin dai primordi sia stata inizialmente divisa in due sottoaree: a meridione ed in ambito della fertile mezzaluna
la temperatura elevata ha favorito lo sviluppo dei latti acidi; a settentrione il clima freddo ha favorito la produzione e l'utilizzo dei burro.
Nella Naturalis Historia (libro XXVIII) Plinio il Vecchio scrive che dal latte si ricava il burro e che questo è l'alimento più raffinato, e non soltanto un condimento, dei popoli barbari: un prodotto alimentare il cui consumo distingue i ricchi dai poveri (E lacte fit et butyrum, barbararum gentium lautissimus cibus et qui divites a plebe discernat). Il burro, condimento di lusso e grasso di élite dei popoli settentrionali, definiti "barbari", si contrappone all'olio d'oliva in uso presso i romani ed i greci, popoli "civili".
Oltre questa contrapposizione tra barbari e civili s'inseriscono già gli usi non nutrizionali del burro. Sempre Plinio ricorda che il burro ha attività protettive dai raggi solari e dall'umidità, per molti versi peraltro simili a quelle dell'olio. Se i barbari hanno l'abitudine di spalmarlo sulla pelle, Plinio ricorda che "anche noi lo facciamo con i nostri bambini". A Roma, infatti, il burro era reperibile, ma per usi diversi da quelli alimentari. Per questo Caio Giulio Cesare si stupisce quando, nella Gallia Cisalpina, gli sono offerti asparagi cotti nel burro. In tempi precedenti, in Grecia Ippocrate ricordava che il burro era importato dall'Asia per essere usato come unguento.
Nell'antichità la contrapposizione olio/burro era costantemente rappresentativa di un contrasto tra civiltà e barbarie. Riferendosi ai montanari dei Pirenei, Strabone con disprezzo afferma che "il burro serve loro da olio".
Passando al Medioevo JeanLouis Flandrin individua il burro come alimento popolare e provinciale, in contrapposizione anche all'olio. E' soprattutto nel medioevo che però si stabilizza la gran divisione dell'Europa in due parti. Nell'area mediterranea domina incontrastato l'olio d'oliva e successivamente d'altri vegetali, mentre nell'area continentale dominano i grassi animali, da quello di maiale (lardo e strutto od oleum lardinum) al più prezioso e raffinato burro. Una bipartizione tra grassi vegetali ed animali che comporta anche pregiudizi: se il burro nei paesi nordici era ritenuto ricco di virtù terapeutiche, e capace di alleviare la fame e la sete, oltre che imprimere energia, nell'Italia meridionale era considerato pericoloso, e causa di terribili malattie, quali la lebbra. Una concezione razzista quest'ultima che vediamo ripetersi per ogni alimento esotico: tipica è l'accusa, ancora nel settecento, alla patata di causare la lebbra.
Nell'ora accennata bipartizione s'inserirono anche valutazioni d'ordine religioso e soprattutto quelle relative ai concetti di "magro" e "grasso" e dell'astinenza dalle "carni". Termini questi che devono essere virgolettati in quanto di valore religioso che non coincide con quello odierno di tipo "botanico" o "zoologico". Infatti, già durante il Medioevo, il burro fu ammesso come alternativa all'olio per i giorni di magro, dapprima sporadicamente e, poi, in maniera sempre più generale. Negli ultimi secoli del Medioevo le autorità ecclesiastiche di diverse comunità dell'Europa settentrionale concessero il burro come condimento "magro" e nel capitolare de villis di Carlo Magno il butirum è elencato fra i prodotti quaresimali. In questo modo il burro viene a collocarsi vicino all'olio nella cucina "magra", mentre il lardo rimane sempre nella cucina "grassa".
Anche se non strettamente necessario, è utile accennare a quello che sembra sia stato il criterio religioso per discriminare tra "magro" e "grasso", qui di nuovo virgolettati. Con riferimento prima alla quaresima, poi per estensione alle vigilie ed a tutte le altre occasioni d'astinenza, sembra sia il criterio preso come riferimento sia stata l'arca di Noè che durante quaranta giorni (la stessa durata della quaresima) portò in salvo anche gli animali che, ovviamente non furono mangiati. Ciò che era fuori dell'arca poteva essere mangiato da Noè e dalla sua famiglia: dal pesce alle rane fino ad alcuni uccelli acquatici come le folaghe. Quest'ultima, almeno, era, infatti, l'interpretazione data dai monaci dell'abbazia di Pomposa. Inoltre tutto quello che era dentro all'arca era definito come "grasso" e quello che era fuori, invece, era giudicato "magro". La regola poteva tuttavia essere interpretata ed è ovvio che se sull'arca vi era una mucca, Noè e la sua famiglia si sarà cibato del latte e dei suoi derivati, ad iniziare dal burro. Per questo il burro poteva essere definito "magro".
Con il procedere dei tempi e soprattutto con il diminuire della forza delle concezioni religiose, pur interpretate come facevano i monaci dell'abbazia di Pomposa... assumono maggiore importanza le componenti economiche e da non trascurare quelle gastronomiche. Infatti, i caratteristici punti di fusione dei diversi grassi li indirizza ad usi specifici: gli oli per condire, i grassi per cucinare, ecc. In questa situazione il burro non ha un posto di rilevo. Da una parte è confinato tra gli Alimenti "magri" e dall'altro è ritenuto un alimento per poveri, come sopra già indicato. Nel XV secolo in Italia vi è ancora una certa ambivalenza di significazioni.
Il Platina nel suo famoso trattato De honesta voluptate et valetudine composto a circa la metà del XV secolo afferma che il burro si può usare "in luogo del grasso e dell'olio per cucinare qualsiasi vivanda", ma nello stesso periodo il padovano Michele Savonarola sostiene che "molti (il burro) l'usano in loco de olio ( ... ) ma el buthiero nuoce allo stomaco e ai soi villi, quelli relaxendo, e a chi non l'ha usato, ge turba el stomaco".
Nell'etá moderna il burro assume un ruolo di èlite. Già a metà del secolo XVII Vincenzo Tanara nella sua opera L'economia del cittadino in villa non solo riconosce la particolare vocazione nei paesi settentrionali di quest'alimento, ma anche il suo utilizzo da parte dei ceti abbienti. Presso gli antichi, riferisce Tanara, il burro era la separazione della nobiltà dalla plebe, del ricco dal povero, perché il plebeo povero non poteva usare il burro per il suo prezzo elevato. Oltre alla possibilità di usare il burro al posto dell'olio e d'altri grassi, molte proprietà medicinali gli sono ascritte: dalle malattie respiratorie da raffreddamento al catarro ed alla tosse; dalle scottature alla cura dei foruncoli; dall'azione benefica sulle gengive e di rendere più fermi i denti alle screpolature delle labbra ed infiammazioni della bocca; dalla capacità di far sputare, fino all'attività contro il veleno di vipere ed aspidi, senza dimenticare le benefiche attività quando è spalmato sul corpo. Nell'alimentazione è sottolineata la sua capacità di sostituirsi all'olio, ma anche di essere utilizzato nelle decorazioni dei piatti e come medicamento.
Poco tempo dopo, il cardinale Alberoni, proponendo al re di Spagna, per le seconde nozze avvenute nel 1714, Elisabetta Farnese la descriveva "impastata di butirro e di formaggio piacentino" e cioè nutrita con quanto di meglio vi era, il che doveva far immaginare una pelle liscia e vellutata. Un rapporto tra burro e pelle d'altronde ben radicato anche negli allevatori che dalla sottigliezza ed untuosità della pelle dicevano di poter individuare la vitella o la vacca che avrebbe dato un latte ricco di grasso.
Come si vede il burro ha sempre avuto ma duplice valutazione: positiva e negativa, ma sempre per motivi estranei alla sua composizione. Una lunghissima preistoria ed un'ampia e diversificata storia ha comunque spesso celebrato gli aspetti positivi del burro, nelle sue molteplici applicazioni, ma soprattutto in quelle alimentari, sia nutrizionali sia gastronomiche, senza dimenticare le applicazioni cosmetiche e le utilizzazioni medicinali. Aspetti positivi che sono ampiamente documentati dalla tradizione, ma anche dal suo valore simbolico e, non da ultimo, anche dal suo valore commerciale, quando ad esempio in pianura padana il burro aveva un prezzo almeno pari a quello del formaggio grana.
Negli ultimi anni e per una non sempre limpida serie di motivi vi è stata un'inversione di valutazione e dall'amore sembra che si sia passati ad un odio, fino ad un'ingiusta criminalizzazione del burro che, nel quadro di una religione salutistica "laica", non è molto diversa dalla concezione che derivava da una religione "fideista" che lo inseriva tra i cibi "magri", in quanto prodotto da un animale portato da Noè sull'arca.
Il recente sviluppo della ricerca sulle attività non soltanto nutrizionali, ma anche sulle attività extranutrizionali e sulle caratteristiche salutistiche degli alimenti, non solo sta dimostrando che la tradizione aveva ragione, ma che il burro è dotato di particolari attività salutari, forse più d'altri alimenti oggi di moda
"Recenti indagini indicano come i grassi del burro hanno rilevanti attività salutistiche, in particolare di tipo extranutrizionale: attività immunostimolanti ed antinfettive, ormonali, psicodietetiche, anticancerogene, protettive cardiovascolari, antiartritica ed antiosteoporotica che rivalutano un alimento ingiustamente criminalizzato.
Inoltre il burro ha inimitabili doti che lo rendono insostituibile in cucina."
(Diritti del professor Giovanni Ballarini)
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- Informazioni sul burro -
Attività nutrizionali
Il nuovo orientamento nutrizionale e la rivalutazione del burro è una rivoluzione dovuta essenzialmente al nuovo posizionamento che i grassi hanno assunto nel fabbisogno giornaliero procapite:
il 30% delle calorie deve necessariamente derivare dai grassi.
In una normale dieta si dovrebbe consumare una quantità di grassi pari a 60-90 grammi al giorno: se si compie una discreta attività fisica o se si è in fase di accrescimento la quantità di grassi giornaliera dovrebbe arrivare a 100 grammi o più.
Ai grassi oggi sono collegate una serie di attività cosiddette extranutrizionali: i grassi sono importanti non solo quali apportatori di energia ma quanto apportatori di altri elementi che sono necessari per una vita sana e per un buon livello di salute.
Parlare di burro significa evocare il fantasma di un'altra parola ben più temuta: colesterolo.
Oggi le nuove conoscenze hanno stabilito che non è tanto importante la quantità: ma il rapporto tra colesterolo e lecitina.
Se infatti al colesterolo viene affiancata una discreta quantità di lecitina esso si trasforma in "colesterolo buono".
Nel burro ci sono circa 15 parti di lecitina per una sola parte di colesterolo.
Nel grasso del latte sono presenti inoltre degli acidi grassi che sviluppano un'ottima azione anti-tumorale, le vitamine A ed E che hanno proprietà antiossidanti ed il selenio.
Le attività salutistiche dei grassi del latte e del burro sono molteplici: dalla protezione dalle malattie cardiovascolari, ad una attività immunostimolante e di regolazione contro le allergie, ad una attività protettiva contro l'osteoporosi.
Senza dimenticare che i grassi del latte svolgono anche un'attività, più difficilmente dimostrabile, di natura psicodietetica ovvero di controllo psichico del senso di fame.
Il Burro in Cucina
Le caratteristiche gastronomiche del burro sono essenzialmente due:
la prima è quella che permette una cottura dolce legata al fatto che il burro contiene una discreta quantità d'acqua e proteine; l'altro aspetto è caratterizzato dalla presenza di lecitina che conferisce alle preparazioni gastronomiche particolare fragranza e morbidezza.
Pensare di produrre pasticceria di qualità senza l'apporto del burro è praticamente impossibile.
Vi è anche un altro aspetto importante da valutare: non esiste infatti un solo tipo di burro ma tanti tipi di burro così come esistono tanti tipi di vini e di oli di oliva.
L'originalità e la tipicità del burro dipende dal tipo di alimentazione della vacca da latte.
Un tempo la caratteristica di un burro era determinata esclusivamente dalla stagionalità. Le mucche partorivano in primavera, si cibavano di foraggio fresco, il periodo estivo era quello della lattazione che si protraeva fino agli inizi di novembre, quindi il risultato era un burro di colore giallo, molto fluido e spalmabile per la presenza di acidi grassi corti.
Oggi la situazione è ben diversa. Il latte viene prodotto tutto l'anno e la sua produzione, legata tendenzialmente alla creazione di formaggi di tipo industriale, punta molto sulla quantità di latte prodotto.
Nella nostra regione, precisamente nella zona di produzione del Parmigiano-Reggiano, i produttori di latte hanno voluto continuare nel solco della tradizione alimentando le vacche da latte esclusivamente con foraggio fresco e con alimenti rigorosamente approvati dal Consorzio del Parmigiano-Reggiano.
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Per maggiori informazioni sulla manifestazione "November Porc".
Per scoprire altri luoghi della nostra meravigliosa Italia: Italian Tourism Expo
Prevale l’aspetto edonistico per il pesce rispetto alle caratteristiche nutrizionali. Analizzando dati degli acquisti rilevati dal panel famiglie Ismea GFK-Eurisko, si evince poi un deciso taglio nel segmento del fresco
di Virgilio - Parma, 23 marzo 2014.
Il perdurare della crisi economica incide sempre più profondamente sugli stili e comportamenti d’acquisto delle famiglie italiane anche nel settore alimentare.
L’ultima conferma arriva dalla analisi effettuata da ISMEA GFK-EURISKO nella quale si evince un deciso taglio agli acquisti di pesce fresco. “Tra le mura domestiche - sottolinea l’Istituto d’indagine ISMEA - il consumo di pesce fresco e trasformato è calato nei primi undici mesi del 2013 del 3,5% in quantità su base annua, in un contesto che vede il consumo ittico pro-capite scendere in Italia sotto la soglia dei 20 kg/annui, per la prima volta dall'inizio del nuovo millennio. Ma a far riflettere, oltre alla riduzione quantitativa, è la significativa flessione della spesa corrispettiva (-13,2% nel periodo in esame) che ben incarna il crescente orientamento degli italiani verso modelli di consumo low cost.”
L’indagine inoltre indica come lo scenario dei consumi ittici sul canale extra domestico sia legato prevalentemente a occasioni di festa e al tempo libero privilegiando il consumo in ristoranti specializzati e più frequentemente nella stagione estiva. A dimostrazione di un atteggiamento più orientato alla soddisfazione del palato piuttosto che a un consumo qualitativo più ampio.
"Non solo latte" o meglio il latte presente anche in alimenti insospettabili come certi farmaci.
di LGC --
Parma, 07 gennaio 2014 - L’intolleranza al lattosio è un disturbi dell’alimentazione, peraltro neanche troppo diffuso in Italia, dovuto alla parziale o totale incapacità di “digerire” (idrolisi) dello zucchero, lattosio appunto, in galattosio e glucosio che sono le due forme assorbibili dall’organismo umano.
L’enzima capace di scindere lo zucchero specifico è il lattasi e non viene prodotto direttamente dall’organismo bensì dalla flora microbica che si annida nell’intestino crasso.
Tutte le cause, grandi o piccole, che determinano stress nell’intestino determinano una alterazione della flora che può portare a intolleranza temporanea da lattosio.
Ma nei soggetti nei quali l’intolleranza fosse conclamata, allora anche le più piccole dosi di lattosio presente negli alimenti può determinare disturbi come meteorismo, flatulenza, diarrea e dimagrimento.
Quindi è opportuno controllare le etichette di tutti gli alimenti e non solo, anche medicinali, per accertarsi della assenza del lattosio.
Infatti alcuni medicinali utilizzano il latte sia allo scopo di favorire il gusto sia per accelerare l’assorbimento del principio attivo.
Nel caffè solubile e in altri alimenti preparati come purè di patate, viene utilizzato per rendere maggiormente gradevole il prodotto e per rendere la soluzione meglio pronta all’uso senza i cosiddetti grumi.
Ma il lattosio si può trovare anche in prodotti ancor più insospettabili: alcol e margarina.
Nella prima categoria, il lattosio, può rientrare in quei prodotti alcolici cremosi e nell’etichetta si potrà leggere “panna o latte” mentre addirittura nella margarina, nota per essere un surrogato del burro e per di più di origine vegetale, può rientrare il lattosio per “assomigliare” ancor più al gusto di “burro”. Su quest’ultimo prodotto molto ci sarebbe da dire sulla digeribilità e quindi sulle sua azioni nutrizionali che magari riserveremo a altro e specifico articolo.
In conclusione, per difendersi da queste piccole o grandi insidie, è sempre meglio leggere attentamente tutte le etichette. Si possono fare delle interessanti scoperte. Non è tutto oro ciò che luccica.
A sostenerlo il Dr. Saverio Pandolfi, ricercatore presso il Consiglio nazionale ricerche-Istituto genetica vegetale.
di Virgilio --
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Olio d'oliva extravergine nutriente come il latte materno.
L'occasione per affrontare il tema l'ha offerta la presentazione a Roma della Maratona dell'olio, in programma dal 15 al 17 novembre in Provincia di Terni.
Le qualità nutrizionali ascrivibili all'olio di oliva sarebbero da imputare agli Omega 3 e gli Omega 6, in grado di rendere gradevole e fruibile questo ingrediente anche a popolazioni che non ne hanno fatto uso prima.
Come ha spiegato il dott Pandolfi, l'olio extravergine d'oliva di qualità è il grasso più simile al latte materno, in termini di Omega 6 e Omega 3, composti di alto interesse salutistico contenuti nel prodotto principe della dieta mediterranea, ma solo se viene fatto un corretto lavoro in frantoio. A questo si aggiunge poi anche la presenza di oleocantale, un antinfiammatorio naturale in gradi di riprodurre gli effetti garantiti dall'ibuprofene.
Assumere olio d'oliva extravergine risulta quindi importante per molteplici motivi, inclusa la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
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