Resta alta e sarà in ripresa all'inizio del 2020, ma intanto è prevista in rallentamento l'offerta di lavoro delle imprese reggiane negli ultimi due mesi dell'anno rispetto allo stesso periodo del 2018.
I risultati dell'ultima indagine Excelsior analizzati dall'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Reggio Emilia parlano, infatti, di 10.490 contratti che le aziende reggiane dell'industria e dei servizi intendono attivare nel trimestre novembre 2019-gennaio 2020, circa 2.500 in meno rispetto allo stesso periodo di un anno fa.
A pesare sulle decisioni delle imprese è la crescente incertezza del quadro internazionale, la frenata, anche al livello locale, della produzione manifatturiera, la decelerazione dell’industria tedesca e la minor crescita delle principali economie asiatiche.
Queste incertezze si riflettono soprattutto sugli orientamenti degli ultimi due mesi del 2019.
La quota più contenuta di ingressi – poco più di 2.000 entrate, pari ad un quinto dei rapporti di lavoro del trimestre - dovrebbe riguardare, infatti, il mese di dicembre, mentre a gennaio 2020 i contratti previsti dovrebbero essere circa 5.500.
Fissando l'attenzione al mese corrente, le entrate previste dovrebbero essere poco più di 3.000 e dovrebbero concentrarsi per il 61%, nel settore dei servizi, con una prevalenza dei servizi alle imprese (670 entrate), come i servizi di trasporto e logistica o quelli avanzati di supporto alle imprese; a seguire, la filiera turistica (servizi turistici, alloggio e ristorazione) con 540 ingressi, il commercio (350) e i servizi rivolti alla persona (290).
Nel settore industriale i contratti previsti saranno 1.160 e a trainare la domanda di lavoro dovrebbero essere i comparti della meccanica ed elettronica (330 unità) seguiti dalle industrie metallurgiche (240) e da quelle della filiera alimentare-bevande (120).
Quasi due terzi dei 3.010 nuovi ingressi dovrebbero essere coperti dalle imprese di piccola dimensione, ovvero fino a 49 dipendenti; nel 37% dei casi, inoltre, le entrate previste saranno stabili, ossia con un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato, mentre nel 63% saranno a termine (a tempo determinato o altri contratti con durata predefinita).
Permangono ancora, come rileva l'indagine, le difficoltà da parte delle aziende reggiane nel reperire le figure professionali richieste: il 39% delle figure previste risulta, infatti, non facile da trovare. Operai nelle attività metalmeccaniche ed elettromeccaniche, operatori dell'assistenza sociale, in istituzioni o domiciliari e conduttori di mezzi di trasporto sono le professioni più difficili da reperire, con percentuali superiori al 50% se non addirittura al 60%.
Rimangono ancora in campo positivo, ma rallentano, le previsioni macroeconomiche per il 2019 della provincia di Reggio Emilia. I dati previsionali per la nostra provincia aggiornati ad ottobre, infatti, parlano di un Pil in crescita dello 0,1%, valore che va a dimezzarsi rispetto alle elaborazioni del luglio scorso, secondo le quali la crescita avrebbe dovuto attestarsi allo 0,2%.
L’andamento previsto per Reggio Emilia risulta lievemente al di sotto sia del dato nazionale (+0,2%) che della crescita ipotizzata per l’Emilia-Romagna (+0,5%).
Le cose dovrebbero andare meglio nel 2020 quando il Pil reggiano, secondo l'analisi dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Reggio Emilia sugli "Scenari per le economie locali" elaborati da Prometeia, dovrebbe riprendersi e raggiungere il +1,0%, risultato migliore rispetto alle precedenti previsioni, quando era prevista una crescita dello 0,8%.
Il lieve rallentamento della crescita del Pil è da attribuire alle previsioni riviste al ribasso per l’industria, cui fa capo circa un terzo del valore aggiunto provinciale. Il valore aggiunto del manifatturiero, infatti, viene ipotizzato in flessione dell’1,3%, con un secco peggioramento rispetto alle previsioni di luglio, quando si stimava un calo dello 0,6%. Per il 2020, comunque, le previsioni parlano di una ripresa del settore con una crescita che dovrebbe raggiungere l’1,0%.
A mantenere in territorio positivo l’andamento dell’economia reggiana nel 2019 sarà il comparto dei servizi – che incide per il 60% sulla formazione del valore aggiunto provinciale – per il quale è previsto un aumento dello 0,4%, performance migliore rispetto al +0,3% delle stime precedenti.
Anche l’agricoltura dovrebbe dare un apporto positivo al mantenimento del segno “più” nelle previsioni macroeconomiche reggiane: il Pil del settore, infatti, dovrebbero crescere dell’1,7% rispetto al +1,6% stimato in precedenza.
Per quanto riguarda le costruzioni, l’aumento dovrebbe attestarsi al 5,2% rispetto al +5,3% dell’elaborazione di luglio.
Il rallentamento della crescita dell’industria, oltre all’effetto di rallentamento sul Pil, comporta intanto anche una frenata delle esportazioni. Le ultime previsioni parlano di una crescita che dovrebbe fermarsi allo 0,6%, mentre nelle stime precedenti era ipotizzato un aumento dell’1,8%. Nel 2020 le vendite reggiane oltre frontiera dovrebbero poi riprendere quota raggiungendo un incremento del 3,7%.
Anche per il reddito disponibile delle famiglie si prevede un 2019 in leggero rallentamento, dal +2,4% di luglio al +2,0% di ottobre; analogo discorso per l’andamento della spesa per i consumi finali delle stesse che, nelle ultime elaborazioni, dovrebbe aumentare dell’1,3% rispetto al +1,4% calcolato a luglio.
Sul fronte del mercato del lavoro le elaborazioni effettuate da Prometeia stimano, in provincia di Reggio Emilia, un’ulteriore flessione del tasso di disoccupazione che dovrebbe scendere al 3,7% dal 4% precedente.
Con 39 fallimenti aperti in provincia di Reggio Emilia, il primo semestre 2019 conferma sostanzialmente il dato osservato un anno fa: fra gennaio e giugno dell’anno scorso, infatti, erano 40 le procedure fallimentari aperte nel nostro territorio.
Per quanto riguarda i primi sei mesi del 2019, come sottolinea l’analisi effettuata dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio su dati del Tribunale di Reggio Emilia, il manifatturiero è il settore nel quale si sono riscontrati il maggior numero di dissesti; sono stati 15 i fallimenti aperti nell’industria, quasi il doppio di quelli registrati nello stesso periodo del 2018, quando erano stati 8.
L’industria della fabbricazione di prodotti in metallo – che ha visto salire da 2 a 6 le imprese del comparto che hanno dichiarato fallimento - è stata quella che ha pagato il prezzo più alto, rappresentando, da sola, il 40% delle procedure fallimentari registrate nell’industria manifatturiera.
Sempre nel manifatturiero sono presenti 3 fallimenti nell’ambito dell’industria meccanica, 2 nel tessile-abbigliamento, altrettanti sia nella ceramica che negli “altri prodotti manifatturieri”.
In calo, invece, le procedure aperte nelle costruzioni che si riducono di cinque unità passando dalle 11 del gennaio-giugno 2018 alle 6 dell’analogo periodo dell’anno in corso.
Sono stati 9, poi, i fallimenti aperti nel settore del commercio e dei pubblici esercizi, dato in leggera crescita rispetto a quello del 2018, quando se ne contavano 8. Delle 5 procedure fallimentari del commercio, 2 hanno riguardato attività all’ingrosso e 3 negozi di vendita al dettaglio, con una prevalenza di commercio di articoli di abbigliamento.
Relativamente ai pubblici esercizi, i dissesti sono passati dai 2 del 2018 agli attuali 4.
Per quanto riguarda le attività immobiliari, il primo semestre dell’anno in corso ha visto l’apertura di 3 fallimenti, confermando il dato del 2018.
Nel comparto dei servizi di supporto alle imprese, le procedure fallimentari sono state complessivamente 6 e hanno riguardato attività di logistica (3), editoriali e di noleggio.
Infine, non si è registrato alcun fallimento aperto nel corso dei primi sei mesi di quest’anno nell’ambito dei servizi rivolti alle persone, mentre erano stati 4 nel 2018.
Fonte:Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Reggio Emilia
Mentre si vanno ricomponendo gli organi di governo sulla base dei nuovi equilibri politici sanciti dalle elezioni del 26 maggio scorso, la UE economica premia le esportazioni reggiane con un rialzo del 4,4% nel primo trimestre 2019.
Secondo l’analisi all’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Reggio Emilia su dati Istat, infatti, da gennaio a marzo le imprese del nostro territorio hanno esportato beni, negli altri 27 Paesi dell’Unione Europea, per un valore pari a 1,85 miliardi, mentre nell’analogo periodo del 2018 la cifra si era fermata a 1,77 miliardi.
Oltre 78 milioni in più si sono dunque orientati verso un’area che ha assorbito 67,3% delle vendite di prodotti “made in Reggio Emilia” oltre frontiera.
Germania, Francia, Regno Unito e Spagna si sono confermate ai vertici della graduatoria degli acquisti, assorbendo, con 1,14 miliardi, quasi i due terzi dell’intero export provinciale del trimestre.
“Tra i dati più significativi – sottolinea il presidente della Camera di Commercio, Stefano Landi – va segnalato l’incremento del 6% sul mercato tedesco, sul quale sono stati collocati beni per 407,7 milioni; indicatore esplicito dello storico apprezzamento della Germania nei confronti delle imprese reggiane, ma anche dell’efficacia delle iniziative di incoming che continuiamo ad alimentare proprio con gli operatori commerciali tedeschi, coinvolti anche in questi giorni in nuove iniziative per il comparto agroalimentare e il settore della meccanica-meccatronica”.
Molto buone anche le notizie provenienti dal Regno Unito, con un export reggiano salito a 211,6 milioni nel primo trimestre 2019 grazie ad un incremento del 13,9%. In crescita del 2,9%, poi, le esportazioni verso la Francia, con un saldo trimestrale a 365,3 milioni, mentre la Spagna, con 166,4 milioni, ha registrato dati stabili sui livelli 2018.
Dai dati elaborati dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio emerge anche l’ottimo posizionamento reggiano nei 13 Paesi di più recente adesione all’Unione Europea.
La graduatoria è guidata dalla Polonia (che si colloca anche al sesto posto assoluto) con 87,8 milioni, seguita dalla Romania con 50,3 milioni e un incremento del 13,7%. La Croazia, l’ultima nazione ad aver aderito all’Unione europea (2013), acquista prodotti reggiani per quasi 16 milioni (+2,4% rispetto allo stesso periodo del 2018) e si conferma al diciannovesimo posto.
La graduatoria generale è chiusa da un Paese storicamente presente nella UE, cioè il Lussemburgo, che nel primo trimestre 2019 ha importato prodotti reggiani per poco più di 3 milioni di euro, ma un significativo incremento percentuale (+22,4%).
Quanto alle dinamiche dei settori, anche nel primo trimestre dell’anno i prodotti manifatturieri, con quasi 1,84 miliardi, hanno rappresentato la quasi totalità dell’export reggiano.
In termini di valore, in testa (con un’incidenza superiore al 50%) si è confermata la metalmeccanica (938 milioni, con un incremento dell’1,7%), che occupa il primo posto in tutti i Paesi UE, eccezion fatta per Regno Unito, Cipro, Lettonia e Malta, verso i quali vanno prevalentemente merci del tessile-abbigliamento, e il Lussemburgo, al quale sono destinati prevalentemente prodotti ceramici.
Un quinto dell’export manifatturiero reggiano verso i Paesi della UE è rappresentato, infine, dai prodotti del tessile-abbigliamento che hanno raggiunto i 371 milioni (+9,3%); la ceramica, con 189 milioni, è apparsa in lieve flessione (-0,4%) rispetto al primo trimestre 2018, precedendo i prodotti dell'alimentare-bevande, apparsi in poderosa crescita, con un +18,5% e un valore pari a 115,7 milioni.
Pur rimanendo moderatamente positive, sono state riviste leggermente al ribasso le previsioni macroeconomiche per il 2019 della provincia di Reggio Emilia, ad eccezione dell’andamento dell’interscambio commerciale.
I dati previsionali per la nostra provincia aggiornati ad aprile, infatti, mostrano un rallentamento della crescita del Pil che, secondo l’elaborazione di gennaio, per l’anno in corso avrebbe dovuto attestarsi al +0,5%, mentre le ultime stime parlano di un +0,1%. L’andamento previsto per Reggio Emilia risulta in linea con il dato nazionale (+0,1%), ma lievemente al di sotto della crescita ipotizzata per l’Emilia-Romagna (+0,3%).
Le cose dovrebbero andare meglio nel 2020 quando il Pil reggiano, secondo l'analisi dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Reggio Emilia sugli "Scenari per le economie locali" elaborati da Prometeia, dovrebbe riprendersi e raggiungere il +0,9%.
Relativamente alle esportazioni, invece, le previsioni parlano di una crescita che dovrebbe essere superiore al dato ipotizzato a gennaio.
I primi segnali di rallentamento dell’economia provinciale erano già emersi dalle interviste con gli imprenditori che ipotizzavano, per il primo trimestre del 2019, una frenata sia della produzione manifatturiera che del fatturato, e una flessione degli ordinativi, in particolare quelli interni.
Il lieve rallentamento della crescita del Pil è da attribuire alle previsioni riviste al ribasso, anche se con intensità differenti, in tutti i settori economici. Ad influenzare maggiormente la performance più contenuta dell’economia della provincia di Reggio Emilia è l’industria, per la quale il valore aggiunto viene ipotizzato in flessione dello 0,1% rispetto alle previsioni di gennaio, quando si stimava un incremento dello 0,3%. Per il 2020 le previsioni parlano di una ripresa del settore con una crescita che dovrebbe raggiungere l’1,3%.
Ad incidere sul lieve rallentamento della crescita dell’economia reggiana prevista per il 2019 c’è anche l’andamento del settore dei servizi, per il quale è previsto un aumento dello 0,1% rispetto allo 0,5% delle stime precedenti.
Per quanto riguarda le costruzioni, l’aumento dovrebbe raggiungere l’1,5%% rispetto al +1,8% dell’elaborazione di gennaio. Le previsioni di crescita dell’agricoltura, poi, dovrebbero fermarsi al +0,4% rispetto al +1,2% stimato in precedenza.
Anche per l'occupazione si prevede un 2019 in leggero rallentamento, ma sempre in territorio positivo, con un incremento degli occupati pari allo 0,3% (era +0,7% nelle stime precedenti), mentre il tasso di disoccupazione dovrebbe essere confermato al 4,2%.
Dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Reggio Emilia
“La storia dell’export reggiano degli ultimi dieci anni, le sofferenze vissute anche negli scambi con l’estero, ma anche la straordinaria capacità di reazione del nostro sistema imprenditoriale sono racchiuse in poche ed emblematiche cifre: nel 2018 abbiamo raggiunto, con un nuovo record a 10,7 miliardi, un valore superiore del 27,1% a quello ante-crisi e addirittura più alto del 66,4% rispetto a quello del 2009, anno in cui toccammo il punto più basso con 6,4 miliardi di esportazioni e un calo del 23,6% sul 2008”. Così il presidente della Camera di Commercio, Stefano Landi, commenta l’analisi dell’Ufficio Studi dell’Ente camerale sulle dinamiche delle esportazioni reggiane nell’ultimo decennio.
“L’economia e la società reggiane – sottolinea Landi – hanno pagato anch’esse un prezzo molto alto alla crisi finanziaria ed economica mondiale partita dal crac della Leman Brothers, con una crescita della disoccupazione (salita fino al 6,6%) e una drastica riduzione della produzione legata al crollo degli ordini interni e a quelli internazionali: i dati sono tornati ad essere più confortanti su tutti questi fronti e, in particolare, proprio a proposito di scambi con l’estero, che sono quelli che hanno maggiormente inciso sulla ripresa e che, da soli, valgono più del 60% del valore aggiunto provinciale”.
Dall’analisi dell’Ufficio studi della Camera di Commercio emerge, innanzitutto, l’immediato e pesante effetto, sul 2009, della crisi avviatasi a fine 2008, quando le esportazioni di “made in Reggio” valevano 8,4 miliardi e il nostro territorio si collocava all’undicesimo posto della graduatoria nazionale delle province esportatrici.
Nel 2009, infatti, l’export reggiano diminuì di quasi due miliardi, scendendo a poco più di 6,4 e facendo registrare una flessione del 23,6%; anche la collocazione di Reggio Emilia fra le province esportatrici subì un primo contraccolpo, con la perdita di una posizione in classifica.
Nonostante un aumento di quasi 885 milioni (+13,7%), che portò le esportazioni della provincia a oltre 7,3 miliardi, nel 2010 Reggio Emilia registrò un’ulteriore discesa in graduatoria, scendendo al tredicesimo posto.
Negli anni successivi – come attesta la ricostruzione camerale, le esportazioni reggiane hanno continuato a crescere superando, nel 2012, gli 8,4 miliardi; si trattava, in sostanza, dello valore ante crisi; ma diverse altre province italiane stavano crescendo molto più rapidamente, tanto che Reggio Emilia continuava a perdere posizioni: in quell’anno, la nostra provincia era scesa ancora di tre posizioni, collocandosi al sedicesimo gradino.
Dall’anno successivo la provincia reggiana ha imboccato la strada per una ripresa più spinta; nel 2013 e nel 2014, infatti, Reggio ha salito a due a due i gradini della graduatoria delle province esportatrici. Nel 2013 il valore dell’export provinciale, con un incremento del 2%, ha superato gli 8,6 miliardi e garantendo alla nostra provincia la quattordicesima posizione su scala nazionale; l’anno successivo le vendite reggiane oltre frontiera hanno quasi raggiunto i 9 miliardi con un incremento del 4,3% e la nostra provincia ha guadagnato la dodicesima posizione della graduatoria, mantenuta per i due anni successivi.
I flussi di merci verso l’estero hanno continuato poi a crescere altrettanto bene e nel 2015 hanno superato i 9,2 miliardi (+3%), mentre nel 2016, con un incremento del 2,5%, hanno sfiorato i 9,5 miliardi.
Poiché i prodotti leader dell’economia provinciale sono riconosciuti certamente come delle eccellenze a livello internazionale, nel 2017 il valore del “made in Reggio Emilia” ha superato i 10,3 miliardi (+8,7%) e la nostra provincia ha salito un’ulteriore posizione nella graduatoria nazionale, collocandosi all’undicesimo gradino.
Tale posizione è stata mantenuta anche nell’anno appena trascorso; con un ulteriore incremento del 3,9% nel 2018 le esportazioni reggiane hanno raggiunto un nuovo record, superando i 10,7 miliardi.
Fonte: Camera di Commercio Reggio Emilia
Costruzioni a +0,5% nel 2018 grazie alla fiammmata dell'ultimo trimestre (+2,8%). Nonostante l'andamento instabile, migliorano le previsioni degli imprenditori.
Con una fiammata nell'ultimo trimestre (+2,8%), il volume d'affari del settore delle costruzioni ha chiuso in rialzo il 2018.
Dopo un andamento molto altalenante, infatti, proprio il balzo dell'ultimo periodo dell'anno ha consentito un incremento medio dello 0,5% rispetto al 2017.
Un saldo positivo che replica, sostanzialmente, quello del 2017, ma che alla luce dell'instabilità che ha caratterizzato l'ultimo biennio non induce ancora a parlare di nuovo decollo per il comparto.
Dalle analisi dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio sui risultati dell'indagine congiunturale del sistema camerale emerge, al proposito, che anche nel 2017 si registrò una crescita annua dello 0,6%, insufficiente a recuperare la flessione del 2,1% osservata nel 2016.
A far ben sperare maggiormente in una ripresa dell'industria delle costruzioni è però il giudizio che gli imprenditori reggiani esprimono relativamente all'andamento del volume d'affari della propria azienda. Nel quarto trimestre 2018, rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente, è aumentata di oltre cinque punti (raggiungendo il 44%) la percentuale delle imprese intervistate che hanno dichiarato una crescita del volume d'affari, mentre è stazionaria (e pari al 17%) la quota che ha registrato una flessione.
Per quanto riguarda il giudizio delle imprese sull'andamento del settore nell'ultimo trimestre dell'anno passato, anche in questo caso è notevolmente aumentata, arrivando al 36%, la quota degli intervistati che ha riscontrato un aumento nella produzione, mentre è rimasta sostanzialmente stabile (19%) la percentuale di imprese che ha dichiarato di aver registrato, rispetto al quarto trimestre del 2017, un calo.
Le previsioni degli imprenditori delle costruzioni per il primo trimestre del 2019, pur rimanendo prevalente la quota orientata alla stabilità, sembrano propendere per un giudizio di crescita del settore: per l'immediato futuro, infatti, un'impresa su cinque ipotizza un aumento del volume d'affari.
Incrementi oltre la media per le produzioni zootecniche (78,5% del totale) e le coltivazioni arboree. Clima così così (siccità estiva e gelate tardive), ma prezzi in crescita
Nonostante le gelate di fine aprile che colpirono i vigneti di vaste aree del territorio, il caldo eccezionale del periodo estivo e la lunga siccità, il valore della produzione lorda vendibile del settore agricolo della provincia di Reggio Emilia è cresciuto del 13,9% nel 2017.
Il generale incremento dei prezzi, dunque, ha compensato (anche se non in tutti i comparti) un andamento stagionale e colturale difficile, portando a oltre 700 milioni di euro il valore della Plv agricola provinciale.
I risultati ottenuti - come evidenziano le analisi dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio sulle stime elaborate dalla Regione Emilia-Romagna - consentono al nostro territorio di collocarsi al primo posto a livello regionale per valore della Plv del comparto agricolo, contribuendo per il 14,5% alla formazione di un dato regionale che si è attestato a 4,8 miliardi di euro.
Considerando l'andamento dei principali settori emerge chiaramente che sono stati gli allevamenti a contribuire in modo decisivo al buon esito dell'annata 2017: la Plv delle produzioni zootecniche, che rappresenta il 78,5% del totale provinciale del settore, ha infatti superato i 550 milioni di euro con un incremento, su base annua, del 14,2%.
Il risultato è quasi interamente riconducibile alla maggiore produzione di latte a destinazione casearia, che nel 2017 ha superato, in valore, i 406 milioni di euro, quasi un terzo del totale regionale. A seguire, con un valore di 108 milioni – il più alto in Emilia-Romagna – la produzione di carni suine.
Bene (seppure con qualche eccezione tra le coltivazioni erbacee) anche le produzioni vegetali, che con un valore di oltre 151 milioni di euro rappresentano un quinto della Plv agricola provinciale.
In particolare, le coltivazioni arboree sono cresciute del 22,6% e hanno contribuito, con quasi 87 milioni, alla composizione della Plv agricola, grazie soprattutto agli oltre 68 milioni di euro provenienti dalla produzione di vino.
Relativamente alle colture erbacee, la produzione lorda vendibile è stata superiore ai 64 milioni di euro. All'interno del comparto il bilancio delle colture industriali è stato decisamente positivo: l'incremento annuale della Plv, infatti, è stato pari al 58,2%. In particolare la coltivazione della barbabietola da zucchero ha registrato una crescita della superficie coltivata, che è passata da 1.200 a oltre 1.700 ettari, con un conseguente aumento, pari al 37%, della produzione.
Sempre tra le coltivazioni erbacee, è invece apparsa in flessione la Plv prodotta dai cereali (scesa a 23,7 milioni, con un calo del 12,3%) e da patate e ortaggi (11,5 milioni, esito di un calo del17,3%).
Nonostante un leggero aumento delle nuove aperture e un calo delle cessazioni di attività, il numero delle imprese reggiane ha registrato una nuova flessione nel primo trimestre 2018.
Il deciso miglioramento della produzione manifatturiera (l'ultimo trimestre 2017 si è chiuso con un +5,5%) e il nuovo record delle esportazioni (10,3 miliardi nel 2017) non hanno dunque ancora trovato riscontro positivo sul numero delle imprese.
A fronte di 1.113 nuove attività aperte nel periodo gennaio-marzo 2018 (furono 1.107 nello stesso periodo del 2017), le cessazioni ammontano a 1.440 unità (45 in meno rispetto allo scorso anno); il saldo del primo trimestre - rileva l'indagine dell'Ufficio studi della Camera di Commercio - è così risultato negativo per 327 unità (erano 378 nel primo trimestre 2017), portando a 54.697 il numero delle imprese iscritte al Registro Imprese camerale.
Il saldo del primo trimestre - sottolinea la Camera di Commercio - è solitamente il più negativo, scontando l'effetto delle cessazioni decise dalle imprese sul finire dell'anno precedente e comunicate nelle settimane successive; non è dunque da escludere un recupero in corso d'anno, così come accadde nel 2017, quando il saldo annuale risultò assai meno negativo di quello dei primi tre mesi (-114 contro -378).
Guardando ai diversi settori economici, intanto, il primo dato trimestrale 2018 vede il maggior dinamismo nel comparto dei servizi di supporto alle imprese.
Gli incrementi più consistenti, infatti, si osservano fra le imprese che svolgono attività professionali, scientifiche e tecniche, passate da 1.893 della fine 2017 a 1.913 di marzo 2018 (+1,1%): in particolare sono cresciute le attività di direzione aziendale e consulenza gestionale, contabilità, consulenza e R&S. A queste vanno aggiunte le imprese che svolgono attività di noleggio, le agenzie di viaggio e altri servizi alle imprese che, con una crescita dello 0,4%, hanno raggiunto le 1.370 unità grazie all'aumento delle attività di supporto per le funzioni d'ufficio che, con un +2,5% si sono attestate a 571 imprese.
Positivo l'andamento dei servizi di informazione e comunicazione che, fra gli altri, comprendono la produzione di software e consulenza informatica cresciuti, nel periodo gennaio-marzo 2018, dello 0,5%.
Per quanto riguarda i servizi alla persona, il settore della Sanità e assistenza sociale è quello che, con un incremento del 2,9% (8 imprese in più nel trimestre in esame), vede aumentare in modo apprezzabile la propria base imprenditoriale.
Le flessioni più rilevanti in termini assoluti si registrano nelle costruzioni (-98 imprese), nell'agricoltura (-91 unità), nel settore del commercio (-76) e nel manifatturiero (-42). Negativo anche l'andamento dei trasporti e magazzinaggio, che in tre mesi sono calati di 25 unità, le attività di alloggio e ristorazione (-18) ed infine le immobiliari (-12).
Dall'analisi per forma giuridica emerge che l'unico contributo positivo al saldo è venuto dalle imprese costituite in forma di società di capitali, che nel primo trimestre dell'anno hanno registrato 276 nuove aperture e 190 cessazioni con un saldo positivo di +86 imprese.
A risentire maggiormente dell'andamento negativo sono state, invece, le ditte individuali per le quali, a fronte di 738 iscrizioni, hanno chiuso i battenti 1.014 imprese, registrando un saldo negativo pari a 276 unità. In flessione anche l'andamento riscontrato dalle società di persone, per le quali le nuove attività aperte nel primo trimestre dell'anno sono state 85 e le chiusure 196.
Appare più lenta che altrove la fase di ripresa dell'industria nelle aree dell'Appennino reggiano, mentre appaiono più decisi i segnali di miglioramento che giungono dal commercio (seppure solo recentemente) e dall'agricoltura.
"Una situazione molto articolata - spiega il presidente della Camera di Commercio, Stefano Landi - in un territorio in cui l'economia è un insieme di economie legate l'una all'altra e in cui è importante alimentare una dimensione di sistema che riesce a creare maggiori reti tra singole imprese e tra comparti diversi, non di rado complementari e alle prese con problemi comuni".
Dall'analisi della Camera di Commercio, le note più negative giungono dal versante occupazionale.
"Le unità lavorative nel nostro Appennino - spiega il presidente dell'Ente camerale - sono rimaste pressoché stabili (con una lievissima diminuzione) dal 2014 al giugno 2017, ed è un dato in contrasto con quanto è accaduto nel resto del territorio, dove gli addetti sono aumentati del 3,8%".
"Al di là delle cifre in sé - sottolinea Landi - quella che va considerata è proprio questa diversa e negativa tendenza, perché è evidente che per la vivibilità dell'Appennino è fondamentale la possibilità di incrementare la presenza di attività economiche che, pur compatibili con le caratteristiche e i valori di questo territorio, possano incidere sulla creazione di lavoro".
Detto dell'occupazione, anche lo sguardo sulla consistenza del sistema imprenditoriale appenninico evidenzia che vi sono alcuni altri elementi sui quali riflettere, perché anche i positivi andamenti dell'industria, in cui sono presenti 525 aziende, restano al di sotto della media provinciale.
"La produzione industriale - afferma il presidente della Camera di Commercio - è rimasta stabilmente in aumento per tutto il 2016 e nei primi sei mesi del 2017, ma fatta eccezione per il primo trimestre dello scorso anno, gli incrementi sono sensibilmente più bassi rispetto alla provincia nel suo complesso".
"Negli ultimi nove mesi, guardando ai singoli trimestri, la produzione industriale appenninica è stata almeno di un punto al di sotto di quella provinciale e, relativamente al periodo aprile-giugno 2017, lo scarto è stato addirittura superiore ai due punti".
"In sostanza - sintetizza Landi - nel territorio montano abbiamo registrato un +1,1% sulla produzione rispetto al +3,2% dell'intera provincia, con ordini sostanzialmente fermi e ben lontani dal +3,3% dell'industria reggiana nel suo complesso".
"Il dato più positivo - aggiunge il presidente della Camera di Commercio - è l'incremento del fatturato dell'industria appenninica, che è salito di oltre il 3% e, quindi, ben più vistosamente dei quantitativi di produzione".
Ad un'industria che cresce più lentamente che altrove, sembra corrispondere però un risveglio del commercio, che in Appennino conta ben 1.295 imprese.
"Nonostante gli andamenti vadano verificati in un periodo un po' più ampio rispetto ad una congiuntura trimestrale o semestrale - sottolinea Landi - nel secondo trimestre 2017 le vendite sono aumentate dell'1,7% su base annua, mentre in provincia il dato è rimasto in negativo, facendo segnare un -0,6%, cui corrisponde anche un dato regionale che parla di una flessione vicina ad un punto percentuale".
Grazie alle quotazioni del Parmigiano Reggiano in rialzo, anche l'agricoltura montana ha registrato un miglioramento, passando da una produzione pari a 93,9 nel 2015 a 96,6 milioni nel 2017 (+7,5%).
L'incremento è da ascrivere tutto alla zootecnia, che ha registrato un incremento del 9,7%, con un rialzo ancor più elevato per il solo latte (+12,8%).
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