La Cassazione ha sancito che le "assenze tattiche" possono essere motivo di licenziamento, anche se non si supera il periodo di comporto (la somma dei giorni di malattia consentiti, da calcolare nell'anno solare o nell'anno di calendario).
Davanti a una serie di assenze per malattia, che si presentano per un numero di giorni limitato ma ripetuto nel tempo, il licenziamento è legittimo. Nello specifico caso, la Corte ha respinto il ricorso di un dipendente di una società di materiale edile della provincia di Chieti che con le sue numerose assenze a "macchia di leopardo" e agganciate ai giorni di riposo, aveva fornito prestazioni di lavoro non sufficienti e proficuamente fruibili dall'azienda.
La difesa del lavoratore contestava che le assenze non avessero superato il periodo di comporto e che pertanto si trattasse di un licenziamento senza giusta causa. Diversamente, i giudici hanno affermato che il lavoratore aveva fornito "una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile da parte della società, risultando la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo, e pregiudizievole per l'organizzazione aziendale". L'azienda, infatti, aveva subito notevoli scompensi organizzativi in quanto il lavoratore in questione comunicava le assenze all'ultimo momento e nella maggior parte dei casi nei turni del fine settimana o di quelli notturni. Il 7 novembre del 2016, traendo spunto dalla stessa sentenza, il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso di una dipendente licenziata per le sue assenze. In questo caso, il Tribunale ha esteso la valutazione non solo alle assenze per malattia ma anche alle ferie e ai permessi fruiti prima o dopo un periodo di malattia o a ridosso di ponti e festività. In entrambi i casi i lavoratori sono stati licenziati per giustificato motivo soggettivo.