Ricerca e innovazione in primo piano. A Bologna la seconda tappa dell'Italy-China science, technology and innovation week 2016, l'evento di punta del programma di cooperazione Italia-Cina. Caselli: "Ci sono le condizioni per avviare progetti comuni".
Bologna, 27 ottobre 2016
L'agrifood italiano incontra la Cina e lo fa dall'Emilia-Romagna, regione leader del made in Italy, prima in Europa per produzioni Dop e Igp, forte di un settore che vale oltre 20 miliardi e che con l'indotto dà lavoro a circa 300mila persone.
Si è svolta a Bologna, presso la sede della Regione, la seconda delle tre tappe tematiche dell'Italy-China science, technology and innovation week 2016, l'evento di punta del programma di cooperazione Italia-Cina firmato dai due Paesi nel 2010. Una tappa interamente dedicata al comparto agroalimentare, con un attenzione particolare ai temi della ricerca e dell'innovazione.
"Quello di oggi è un appuntamento molto importante – ha spiegato l'assessore regionale all'agricoltura Simona Caselli – Cina e Usa sono i due Paesi che orientano lo sviluppo del mondo e noi come Regione abbiamo relazioni dirette con il Guangdong, grazie al protocollo di intesa firmato dal presidente Stefano Bonaccini nel 2015. Ci sono le condizioni per avviare progetti comuni. Sicurezza alimentare e tracciabilità, sostenibilità delle tecniche di produzione, contrasto al cambiamento climatico, efficienza irrigua, sono i settori su cui lavorare". "Un impegno quello della Regione – ha ricordato Caselli – che passa anche dal World Food Research and Innovation Forum, una delle sedi principali di confronto istituzionale e del mondo della ricerca sui temi della food safety e della food security".
"Oggi sono presenti a Bologna tutte le principali istituzioni di ricerca e sviluppo cinesi – ha sottolineato l'assessore regionale all'università e alla ricerca Patrizio Bianchi - l'Italy-China Week è un forum di livello internazionale, per il quale ci è stato chiesto di essere punto di riferimento del settore agroalimentare, a riconoscimento non solo della qualità dei nostri prodotti, ma anche del forte contenuto di innovazione".
"Bologna e l'Emilia-Romagna sono in prima linea in molte iniziative nazionali e internazionali nel settore dell'agrifood - ha spiegato il rettore dell'Università di Bologna Francesco Ubertini - iniziative di cui l'Alma Mater è spesso promotore o attore di rilievo. Tra queste, oltre al tavolo regionale sull'agroalimentare e al cluster nazionale CLAN, è obbligo citare la proposta, ora in fase di valutazione, per avere a Bologna uno dei sei nodi europei della KIC Food - Knowledge and Innovation Community. La nostra Università del resto è il primo ateneo in Italia e tra i primi in Europa per attrazione di finanziamenti nel settore".
Al centro del forum la qualità dei prodotti e delle tecniche di produzione, la sicurezza dei cibi, la sostenibilità e competitività, le tecnologie per l'industria alimentare. Tutti temi su cui è impegnato anche il Cluster agrifood nazionale CLAN, un partenariato di imprese, centri di ricerca, istituzioni e stakeholder della filiera agroalimentare promosso da Federalimentare e Aster Emilia-Romagna. "Sicurezza alimentare – ha spiegato il presidente Paolo Bonaretti - nutrizione e ricerca clinica, sostenibilità ambientale e riutilizzo degli scarti, sono le tre direttrici fondamentali del nostro lavoro".
Il Forum bolognese sull'agrifood è stato organizzato da Università di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna, Istituto Confucio, Associazione Collegio di Cina, Cluster CLAN e dai maggiori player dell'agroalimentare nazionale.
L'appuntamento segue quello di Bergamo dell'altro ieri sui sistemi avanzati di manifattura e sulle tecnologie della salute e precede la tappa istituzionale conclusiva di Napoli di domani con il Sino-Italian Exchange Event e l'Italy-China Innovation Forum.
La provincia cinese del Guangdong
ll Guangdong, prima provincia cinese per Pil e commercio estero, con una popolazione di oltre 104 milioni di abitanti è partner privilegiato della Regione Emilia-Romagna, grazie a un protocollo d'intesa siglato nel 2015. Obiettivo: realizzare iniziative di scambio e cooperazione nei settori del commercio e degli investimenti, della sicurezza alimentare, della tecnologia, della tutela ambientale, della cultura e del turismo. L'intesa con il Guangdong si affianca agli altri due accordi strategici siglati dal presidente Stefano Bonaccini con la California sul cambiamento climatico e recentemente, con la Provincia del Gauteng, l'area economica più avanzata del Sud Africa.
(Fonte: ufficio stampa ER)
Il ristorante “L’Osteria Francescana” dello chef tristellato Massimo Bottura è stato incoronato il migliore al mondo nella classifica internazionale dei "50 Best Restaurant": “Uno chef è come un artigiano, ossessionato da quello che fa e dalla qualità”.
Di Chiara Marando -
Giovedì 16 Giugno 2016 -
Ormai la notizia è sulla bocca di tutti, il Ristorante migliore al mondo è “L'Osteria Francescana” di Modena dello chef Massimo Bottura,(ben 3 stelle Michelin). L'incoronazione è avvenuta nel corso di una cerimonia svoltasi a New York. Si tratta di un vero e proprio successo anche perché è la prima volta che un locale italiano riesce a salire in vetta al "50 Best Restaurant", la classifica internazionale considerata l'Oscar della gastronomia.
Quindi primo posto per L'Osteria Francescana seguono El celler de Can Roca, Girona (Joan Roca); Eleven Madison Park, di New York (Daniel Humm); al quarto posto Central di Lima (Virgilio Martinez); poi Noma di Copenhagen (René Redzepi), Mirazur di Mentone (Mauro Colagreco); Mugaritz di San Sebastian (Andoni Luis Aduriz), Narisawa di Tokyo (Yoshihiro Narisawa), Steirereck di Vienna (Heinz Reitbauer), e infine Asador Extebarri di Axpe (Victor Arguinzoniz).
Un risultato di eccellenza che la Federazione italiana cuochi (Fic) considera un motivo di orgoglio per tutta la ristorazione nazionale.
«La nomina di Massimo in vetta ai 50 migliori ristoranti del mondo - ha dichiarato Rocco Pozzulo, presidente della Fic - era nell’aria, tutti noi lo speravamo. Come cuoco e come italiano, sono molto felice che abbia raggiunto questo importante risultato. Se lo merita senza ombra di dubbio. È un traguardo che arriva dopo tanti anni di duro lavoro e ritengo che, oltre a dare lustro alla cucina italiana a livello mondiale, possa servire anche come stimolo per i tanti giovani che si avventurano nel mondo della cucina. Il messaggio che deve essere colto è che per raggiungere questi risultati ci vuole il giusto tempo. Sicuramente sono fondamentali passione e determinazione, ma occorre saper attendere che i frutti arrivino, senza voler bruciare le tappe».
Ma qual è il segreto della cucina di Massimo Bottura?
Come lo stesso chef ha dichiarato “Un grande ristorante è formativo come un museo...la cultura è anche quello che si mangia….uno chef è prima di tutto un artigiano ossessionato da quello che fa, dalla qualità”.
E a lui questa passione e meticolosità non mancano, ma soprattutto non mancano la curiosità, la voglia di scoprire e continuare a mettersi in discussione. La sua cucina riprende gli ingredienti e le materie prime della tradizione, ne rielabora le ricette in una chiave innovativa e completamente inaspettata. La sua mente viaggia, raccoglie stimoli da altre culture e cucine, li assorbe per arrivare ad interpretarli ed arricchire i piatti di sapori nuovi che si sposano con quelli della sua terra.
Non è un caso se i suoi piatti più famosi derivano proprio dai ricordi d’infanzia, dalle merende che sua madre gli preparava e dalle ricette che le ha visto realizzare: “La parte croccante della lasagna”, ovvero la ricostruzione dell’angolo della teglie delle lasagne, quello che di solito si ruba appena uscito dal forno; “Il ricordo di un panino alla mortadella”, la merenda preparata dalla mamma, una mousse di mortadella alleggerita accompagnata da un quadrato di pane con ciccioli frolli; “Tagliatelle al ragù”, che lo chef voleva riuscire a fare più buone di quelle di sua madre, preparate con vitello e manzo mantenuti in pezzettoni, niente aglio o aromi, se non due foglie di alloro e un po' di basilico, ma anche niente pomodoro così che risalti il sapore della carne.
Lasciare da parte le grandi città europee per provare anche qualche meta meno nota: vi racconto Lubiana, la piccola Capitale della Slovenia che incanta con la sua bellezza e l'atmosfera magica ed allegra. Un tour tra cultura, architettura e gastronomia.
Di Chiara Marando -
Sabato 30 Aprile 2016 -
Le grandi capitali europee rimangono sempre un'ottima idea per un viaggio, anche breve, che faccia staccare la spina dalla solita routine e permetta di immergersi in ambienti diversi. Spesso però, ci si dimentica che anche mete meno conosciute e in voga posso rivelarsi delle vere e proprie sorprese.
Questo è quello che mi è capitato durante il mio ultimo viaggio: direzione Lubiana, la piccola capitale della Slovenia.
In molti, chiedendomi dove avessi deciso di andare, si sono stupiti della mia risposta. Perché mai scegliere una città di cui si parla poco e della quale si conosce ancora meno?
Bene, ve lo spiego dandovi qualche semplice spunto che potrà ispirare la vostra prossima visita in questa cittadina a misura d'uomo, che incanta per la sua atmosfera rilassante e quasi fiabesca.
Comincio con il dire che vi basteranno tre giorni per vederla nella sua interezza ed apprezzarne il patrimonio culturale frutto di contaminazioni e scambi che si sono susseguiti nel corso della sua travagliata storia, ma anche per assorbirne la vitalità e, ovviamente, gustarne la cucina. Tutto è a portata di mano, facilmente raggiungibile a piedi, passeggiando tra le stradine del centro che richiamano l'architettura asburgica, con i suoi palazzi colorati, dipinti ed adornati da piccole finestre che si affacciano sulla via.
A dominare la città dalla collina, il severo e maestoso castello magicamente illuminato di verde sul calare della sera. Ed è proprio quando il sole tramonta che il romanticismo di questo luogo si manifesta coinvolgendo il visitatore. Non servono parole o inutili descrizioni se si percorre in silenzio, guardandosi attorno, il lungofiume che segue il corso del Ljubljanica solcato da battelli e rallegrato da locali che si rincorrono a perdita d'occhio: bar, ristoranti, birrerie illuminate e vissute estate ed inverno da una miriade di giovani.
E quando dico che sono vissuti in tutte le stagioni, intendo che i tavolini esterni sono dotati di plaid e coperte per chi non vuole rinunciare all'aria aperta, ma nemmeno al calduccio.
Durante il giorno, invece, vi basterà visitare il centro storico per imbattervi in monumenti, musei e gallerie. Non potete perdervi il mercato cittadino, vi sembrerà di tornare indietro nel passato in un concentrato di tradizione e movimentata umanità che si alterna tra i banchi alla ricerca della frutta più buona o della carne più saporita.
Ogni quartiere conserva la sua impronta caratterizzante: medievale, barocca o liberty. L'architetto che ha dato il vero carattere al volto di questa città è Jože Plečnik a cui, dagli Anni Venti fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, venne affidato il compito di ridisegnare Lubiana.
E che dire dei ponti?
Sono loro un elemento tipico che contraddistingue il tessuto cittadino e regala scorci suggestivi, soprattutto con la fioritura della primavera che esplode lungo gli argini del fiume: il triplo ponte colpisce per la sua unicità, mentre il Ponte dei Draghi è considerato il simbolo della Capitale.
Se poi amate gli animali, allora una tappa allo Zoo è d'obbligo: più di 19 ettari che si estendono sulla montagna ed in mezzo al bosco ed ospita circa 119 specie di animali...non vorrete più uscire.
Poi c'è il Parco Tivoli, la massima espressione del verde che contraddistingue Lubiana. Si trova praticamente in centro quindi non ci sono scuse, merita di essere visto.
Ed ora passiamo al cibo.
Su questo punto si apre un mondo, un mix di piatti che seguono le influenze più disparate e si fondono in specialità quali il Gulash ungherese, la zuppe di pollo e verdure,quella di pesce ovvero il brodet, e quella con fagioli e crauti detta Jota, infine le mitiche salsicce.
I dolci più gettonati sono lo strudel di mele e la potica, un dolce preparato con noci, semi di papavero, uvetta, varie erbe, ricotta, miele o ciccioli.
Vi voglio consigliare anche due posticini dove poter mangiare bene spendendo il giusto. Il primo è “Julia” un vero e proprio ristorante dal sapore un po' liberty e deliziosamente provenzale; il secondo invece è stata una scoperta inaspettata ma più che piacevole, “Cafè Antico” un pub/bar gestito da una signora che propone 3-4 piatti preparati da lei e serviti in questo ambiente che ricorda le sale da tè inglesi di una volta, con i soffitti affrescati e le poltrone nelle quali sprofondare...potreste anche mettervi in pigiama e pantofole che per la padrona di casa non ci sarebbero problemi.
Per concludere, se doveste capitare durante un venerdì sera, allora ricordatevi di fare un apericena street food nella zona del mercato che, solo in quel giorno, si trasforma in un ristorante a cielo aperto.
Trieste, crocevia di culture e tradizioni: ecco un piccolo excursus alla scoperta delle bontà enogastronomiche che questa città ha da offrire, un mix di influenze austro-ungariche, ebraiche, slave e orientali.
Di Chiara Marando –
Sabato 05 Marzo 2016 - (Photo by Chiara Marando)
Trieste, città di confine, crocevia di culture e tradizioni che si riflettono nella quotidianità di un luogo troppo spesso considerato poco ospitale. La realtà però è diversa, se si presta attenzione e si pazienta solo un attimo - giusto il tempo di ambientarsi un po’ - si può scoprire la Trieste più vera ed ospitale. Il poeta Umberto Saba la definì “una scontrosa grazia” ma come lui, anche autori del calibro di James Joyce, Stendhal e Italo Svevo ne rimasero affascinati ed ispirati
Ed infatti basta veramente poco per entrare in contatto con il carattere triestino, anche solo fermarsi per una pausa golosa in uno dei tanti caffè storici dove, ancora oggi, si incontrano artisti e scrittori. Una sosta obbligata oserei dire, come nel caso del Caffè San Marco, del Caffè degli Specchi in Piazza dell’Unità, o del Caffè Tommaseo del 1830, il più antico della città.
Proprio partendo da queste piccole pause inizia quello che possiamo considerare un breve excursus della cultura enogastronomica che caratterizza Trieste. Già, perché le bellezze architettoniche e paesaggistiche che offre sono dei veri regali per gli occhi, ma anche la tradizione culinaria merita una menzione particolare. Una cucina che rispecchia in tutto e per tutto le influenze austro-ungariche, ebraiche, slave e orientali di un tempo e si rifà ai sapori intensi di ricette antiche. Qui si può scegliere di mangiare sia carne che pesce con la consapevolezza di cadere in piedi, certo si deve aver voglia di sperimentare.
Ci sono i piatti tipici, quelli che valgono più di un assaggio. Sto parlando del prosciutto in crosta, meglio noto come il “Cotto Caldo”, servito solitamente con crauti, kren o rafano, ma anche le salsicce di Vienna , gli Gnocchi di pane, uova e prosciutto ed il goulash. Tra i dolci lo strudel di mele, la Putizza, un dolce ripieno di frutta secca, i Kipfel di patate e le favette, a base di mandole bianche pelate.
Tanti sono i ristoranti dove poter gustare queste delizie ma ce ne sono due che vorrei consigliarvi: il Bagutta Triestino e da Pepi S’ciavo, o Buffet da Pepi per semplificare.
Cominciamo da Bagutta Triestino, un vero e proprio punto di riferimento per gli amanti della cucina triestina, quella a base di primi piatti corposi e di secondi nei quali la carne fa da padrona. Che sia per un pranzo o per una cena, concedetevi un momento in più e provate il fritto alla triestina, un mix tra carne, verdura e pesce racchiuso da una croccante pastella, ma anche la strepitosa Jota, la zuppa tradizionale a base di crauti, faglioli e salsiccia. Non saranno solo le portate a conquistarvi, anche il locale riuscirà a trasmettere la sensazione di un’atmosfera rustica e conviviale.
Se invece desiderate un pasto a base di bolliti, Pepi S’ciavo è la risposta per voi. Non vi aspettate grandi apparecchiate o servizi eleganti, ma godetevi il piacere di un piatto di carne mista con delizie quali Porcina, Zampone, Lingua e salsicce ungheresi, il tutto accompagnato dall’immancabile senape, dal kren grattugiato, dai crauti e da buonissime patate. E se siete di fretta, via di panino con i bolliti.
Per innaffiare, i vini della zona sono l’ideale: il Cabernet Sauvignon, il Carso Malvasia, il Carso Vitovska e il Terrano, quest’ultimo per i più temerari.
Bagutta Triestino
ia Giosuè Carducci, 33
34122 Trieste
Tel. 040 349 0074
Pepi S’ciavo
Via della Cassa di Risparmio, 3
34121 Trieste
Tel. 040 366858
“Italy in the Box” è la nuova iniziativa di crowdfunding promossa attraverso il sito Kickstarter per esportare le tipicità italiane in Usa: i protagonisti sono piccoli produttori, il gruppo Colavita ed un esperto di strategie di marketing digitale come Alessio Rossi.
Di Chiara Marando -
Sabato 09 Gennaio 2016 -
Il cibo italiano, un’eccellenza conosciuta in tutto il mondo, una varietà culturale e di sapori che tanti ricercano ed altrettanti tentano di imitare. Ma ammettiamolo, non si può imitare qualcosa che affonda le sue radici nelle tradizioni più profonde di un territorio dalla storia millenaria.
Ecco perché l’Italian Food non smette mai di sorprendere, ed ecco perché tante sono le attività volte ad esportare le sue delizie. Come nel caso della nuova iniziativa di «crowdfunding» del sito Kickstarter, un progetto lanciato da Alessio Rossi, esperto in strategie di marketing digitale, e da Giovanni Colavita, amministratore delegato della società Usa del Gruppo Colavita.
Si tratta di “Italy in the Box”, un’idea certamente affascinante che vuole aiutare i produttori di nicchia a farsi spazio nel mercato internazionale, abbassando i costi di gestione, comunicazione e distribuzione.
Ma chi sono i veri protagonisti?
Pensate ad un gruppo di piccole aziende alimentari italiane, quelle che producono tipicità tradizionali eccellenti ancora secondo i metodi più artigianali, ma che non riescono a sostenere i numeri richiesti da un vero mercato d’esportazione. Aggiungete a questo quadro una realtà di origini molisane, che ha iniziato la sua esperienza dalla produzione di olio ed è riuscita a diventare il maggior esportatore di cibi italiani negli Stati Uniti. Infine, non poteva mancare un esperto di marketing digitale.
Ed eccoci al vero motore di tutta questa iniziativa, ovvero la raccolta di crowdfunding che renderà possibile l’intero progetto.
In sintesi, la scommessa era di raccogliere entro fine dicembre scorso alcune decine di migliaia di dollari provenienti da finanziatori che sostengono Kickstarter, sito che in cinque anni ha raccolto una cifra pari a due miliardi di dollari utilizzati per sviluppare 96mila progetti.
A seconda del denaro versato, i consumatori Usa attivi nell’iniziativa riceveranno una o due volte al mese la tanto desiderata scatola di “Italy in the Box”, contenente ben 6 specialità alimentari italiane di alta qualità selezionate a sorpresa. Una scelta di bontà che spazia, ad esempio, dalle acciughe siciliane, ai torroni piemontesi, ma anche a formaggi toscani e pasta molisana. Insomma, una scatola delle meraviglie.
Sarà proprio il gruppo Colavita ad aiutare le imprese nell’organizzazione, nella gestione delle spedizioni, nonché nell’ottenere tutte le autorizzazioni sanitarie indispensabili per introdurre prodotti alimentari in USA.
E dato che ogni tradizione ha la sua storia, non mancherà uno specifico documento di storytelling che descriverà origini, caratteristiche e peculiarità dei diversi prodotti, così che l’anima made in Italy possa essere compresa al meglio, assorbita ed amata.
Il Parlamento Europeo ha approvato l’accordo volto a semplificare e velocizzare le procedure di autorizzazione del cosiddetto “Novel Food”: sulle nostre tavole potrebbero arrivare insetti, larve, cibi prodotti in laboratorio e nuovi coloranti alimentari
Di Chiara Marando – Sabato 07 Novembre 2015 -
La sperimentazione in cucina è sempre un elemento positivo, un fattore di crescita che può portare a piacevoli scoperte in fatto di gusto, profumi ed abbinamenti stuzzicanti. Ci tengo a sottolineare che parlo di “piacevoli scoperte” e rimarco il concetto perché sembra che ormai tutto sia permesso e più una cosa è strana più la si rincorre.
In sintesi, per quanto importante, anche la sperimentazione deve avere qualche limite. Parliamoci chiaro, nessuno riuscirà mai a convincermi che un pasto a base di insetti possa essere goloso quanto una teglia di lasagne, una pizza fragrante oppure, proprio perché sono parmigiana, un piatto fumante di cappelletti in brodo . No, le tradizioni gastronomiche hanno una loro ragione di esistere, raccontano la storia dei vari Paesi, le loro radici più profonde e sono un patrimonio da preservare. Poco importa se si parla di carne, pesce, verdura o legumi, quello che conta è fare tesoro dell’ambiente in cui viviamo, rispettarlo e rendere sostenibile il “fattore cibo” senza stravolgere la nostra cultura.
Poi certo, ci sono quelli che vogliono fare gli alternativi a tutti costi, quelli che “io non mi schifo di nulla” e si lanciano in discorsi da intenditori riempiendosi la bocca di paroloni che poco hanno a che fare con la realtà delle cose. Persone che comunque mi piacerebbe osservare durante una degustazione di vermi, larve, scarafaggi ed altre delizie di questo tipo.
Infatti, secondo un’indagine Doxa effettuata per conto di Coop, un italiano su due è pronto ed incuriosito dall’idea di assaggiare gli insetti e, cosa ancora più incredibile, molte più persone sarebbero disposte a provare carne sintetica, pillole, barrette e, udite udite, plancton.
Non si tratta di ipotesi, ma di una eventualità concreta che si potrebbe palesare sulle nostre tavole dopo che il Parlamento Europeo, con un totale di 359 si, 202 no e 127 astenuti (e qui mi chiedo come si possa non solo dire SI, ma anche astenersi), ha approvato l’accordo volto a semplificare e velocizzare le procedure di autorizzazione del cosiddetto “Novel Food”.
Cos’è il Novel Food?
Letteralmente i “nuovi alimenti”, quelli di cui fanno parte insetti, scorpioni e larve, ma anche cibi prodotti in laboratorio, nanomateriali e nuovi coloranti che si andranno ad aggiungere a quelli già in commercio.
In altre parole, una sorta di “morte della cucina”.
Fortunatamente manca ancora il via libera da parte dell’Efsa, ovvero l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che si occuperà di valutare attentamente gli eventuali effetti che queste introduzioni nella dieta possono avere sulla salute umana.
Ovviamente, nel grande circo mediatico che è stato EXPO 2015 non ci siamo fatti mancare neppure la prima degustazione di insetti, autorizzata dal Ministero della Salute. Gli invitati hanno così potuto pasteggiare con pietanze a base di grilli, preventivamente controllati ed analizzati dall’Asl, preparate dalle mani esperte dello chef Marco Ambrosino: dall’antipasto al dolce il tutto, nemmeno a dirlo, da leccarsi le dita.
All’ultima edizione di Golosaria il vero protagonista è stato lo showcooking gluten free tenuto da Ilaria Bertinelli e Francesca Morandin: una brioche ripiena di mele e cannella, senza glutine e dal basso indice glicemico.
Di Chiara Marando – Martedì 20 Ottobre 2015 - (Guarda il contributo video in fondo all'articolo)
Si è appena conclusa la 10° edizione di Golosaria, un successo annunciato per una formula che ormai da 10 anni delizia i visitatori con il meglio dei prodotti enogastronomici italiani.
Quest’ ultimo appuntamento si è svolto in una location nuova, il MiCo – Milano Congressi, un luogo dall’aspetto semplice, spogliato dall’eccesso di particolari e quindi perfetto per far risaltare esclusivamente i protagonisti dell’evento: i prodotti da assaggiare ed acquistare, quasi come fosse un enorme mercato.
Tanti sono stati gli ospiti che hanno animato il programma di questo weekend fatto di gusto e cultura, ma su un evento in particolare sono stati puntati i riflettori, uno showcooking diverso perché indirizzato ad un segmento di pubblico che ricerca una cucina Gluten Free.
A tenerlo è stata Ilaria Bertinelli, CEO di Interconsul, società leader nell’ambito dell’interpretariato professionale, e nota per essere diventata un’esperta cuoca specializzata nella cucina per diabetici e celiaci. Suo è il libro di successo Uno chef per Gaia: La gioia della cucina per diabetici, celiaci ed appassionati”, diario che raccoglie ricette senza glutine da veri gourmet, del quale è da poco uscita una seconda edizione.
Con lei, e soprattutto con le sue esperte mani in pasta, Francesca Morandin, figlia di uno dei più noti panettonieri italiani. Il loro è stato un sodalizio iniziato qualche tempo fa ed è proprio Ilaria a spiegare quanto Francesca sia stata di ispirazione nel suo lavoro. Insieme hanno perfezionato la ricetta presentata durante lo showcooking, una Brioche farcita con mele del Trentino e cannella, senza glutine ed a basso indice glicemico. Chilometri di distanza, due cucine differenti ma la stessa voglia di creare qualcosa di veramente buono e sano.
Già, perché come spiega Ilaria Bertinelli, la cosa veramente difficile non è trovare un alimento privo di glutine che sia saporito, bensì trovarlo che sia anche equilibrato e salutare “ Pochi se ne rendono conto, ma le persone celiache hanno una percentuale più alta di obesità nel tempo rispetto alle altre - e continua Ilaria – questo accade proprio per la qualità degli alimenti che assumono, troppo spesso ricchi di grassi e zuccheri. Il nostro compito è quello di dare valore a ciò che mangiamo.”
Ed è da questo concetto che deriva la ricetta proposta, un mix di ingredienti adatti a tutti, per un benessere completo dell’organismo. In fondo, la pasticceria è una “scienza esatta”, così la definisce Francesca Morandin, ed ancora di più quella senza glutine.
Ma a guardare, e soprattutto assaggiare, la loro creazione, tutto si potrebbe dire tranne che l’equilibrio costi sacrificio al palato. Un impasto fatto di ottima farina senza glutine, la Glutinò del Molino Quaglia, lievito madre, germinato di grano saraceno, poco zucchero e poco miele: il risultato è una Brioche siciliana fragrante, morbida e pronta da farcire. Proprio nel ripieno la tradizione dolciaria siciliana si sposa con i sapori del Trentino: mele saltate in padella con una spolverata di cannella.
“Quello della cannella - sottolinea Ilaria Bertinelli – è un accorgimento estremamente utile perché, oltre a dare un sapore eccezionale e particolare, questa spezia ha un naturale effetto antiglicemico. Probabilmente è per questo che la cultura gastronomica dei paesi nordici ne fa un grande utilizzo, per contrastare l’innalzamento della glicemia dato dall’abbondante presenza di burro nei loro dolci tradizionali”.
La creatività di Ilaria e l’esperienza di Francesca hanno dato vita ad una preparazione golosa, sana, capace di raccontare il mondo della tavola attraverso gli occhi di chi pone attenzione alle materie prime, alla loro stagionalità ma, soprattutto, alle necessità di chi vive una condizione che fino a poco tempo fa affrontava il cibo come una costrizione e negazione, ma che ora può finalmente guardarlo con gioia.
L’attesa è quasi finita: finalmente Starbucks, la catena di caffè più famosa al mondo, sbarca anche in Italia.
Di Chiara Marando – Sabato 17 Ottobre 2015 -
Alzi la mano chi non ha mai provato il piacere di camminare per strada con un bicchiere fumante di caffè americano tra le mani. Bene, adesso non dovrete più aspettare di fare un viaggio all’estero per poter approfittare di questo abitudine perché, dopo tanto attendere, pare che finalmente Starbucks, ovvero la catena di caffè più famosa al mondo, sia ad un passo dallo sbarcare in Italia. Prima tappa, probabilmente Milano già nel 2016.
Un fatturato che si aggira intorno ai 9 miliardi di dollari l’anno, per 22.519 negozi in 67 Paesi differenti che non solo rappresentano un vero e proprio impero leader sul mercato, ma sono riusciti a creare una tendenza che rimane viva nel tempo rinnovandosi con novità sempre al passo con le richieste del mercato.
Già, perché la vera forza di Starbucks è quella di essersi distinta per le tante tipologie di caffè disponibili, dall’americano normale, a quello con il latte e caramello, fino al mitico frappuccino, uno dei prodotti più richiesti che si è guadagnato anche una pagina tutta sua su Wikipedia. A questo si aggiunge una ricca ed invitante offerta di food che spazia dal dolce al salato incontrando i gusti di qualsiasi palato mantenendo, al contempo, quel sapore internazionale che tanto piace alla clientela di tutto il mondo: muffin, donuts, cookie che sarebbe riduttivo definire semplicemente biscotti, sandwich, bagel ripieni e yogurt con cereali. Insomma, ad ognuno la sua pausa caffè ideale, il suo pasto veloce ma con gusto, e la sua colazione preferita.
Arrivare in Italia però, la patria del caffè espresso per eccellenza, non è stato per nulla semplice. Nonostante il desiderio di poter usufruire anche a casa delle usanze internazionali, siamo anche estremamente gelosi del nostro patrimonio enogastronomico. Per molti è difficile poter coniugare entrambe le cose, soprattutto quando il prezzo di un “caffè americano” da Starbucks è quasi di tre volte superiore a quello della classica tazzina fumante presa al bancone del bar.
Ora la domanda che rimane da porsi è se questi accordi arriveranno a concretizzarsi e se la catena avrà successo anche nel “Bel Paese”.
Certamente la location e l’arredamento faranno la differenza ma, anche in questo caso, l’esperienza del gruppo di Seattle farà da padrona: nel centro delle città, perfetto per un pubblico fatto di uomini d'affari, studenti, turisti, connessione wi-fi gratuita ed un ambiente che richiama l’atmosfera tipica degli altri negozi Starbucks.
Dal 17 al 19 ottobre a Milano torna Golosaria, la rassegna della cultura e del gusto arrivata ai suoi 10 anni. L’appuntamento è al MiCo – Milano Congressi
Di Chiara Marando – Venerdì 16 Ottobre 2015 -
Ormai siamo arrivati a 10 anni di Golosaria, 10 anni fatti di bontà in quella che rappresenta la rassegna del gusto e della cultura, l’incontro con la qualità italiana dei piccoli e grandi produttori. Un evento che nasce dall’idea di Paolo Massobrio e Marco Gatti, un contenitore di eccellenze enogastronomiche e di realtà capaci di distinguersi nell’ambito del food&beverage, aziende da conoscere, provare ed apprezzare.
Il prossimo appuntamento sarà a Milano dal 17 al 19 ottobre al MiCo - Milano Congressi, uno spazio di oltre 12.000 metri quadrati che ospiterà oltre 300 produttori, start up del settore e decine di incontri ogni giorno. Sarà anche il momento per ripercorre alcuni dei temi salienti emersi nei sei mesi di EXPO2015, affrontarli ed interpretarne le sfaccettature: "La qualità che nutre il futuro"
Protagonista indiscussa sarà l’Italia con i suoi prodotti e le sue aziende all’interno di percorso suddiviso in aree tematiche ispirate ai media del "mondo Golosaria”.
Si inizia con la guida ed il portale "Il Golosario" che darà il via alla grande esposizione FOOD permanente di 150 selezionati produttori, raccontati anche nei LAB, con un focus su argomenti quali la conservazione degli alimenti, ma anche un’incursione tra i Maestri del Gusto di Torino.
Intorno al "Gatti-Massobrio", nuovo Taccuino nazionale dei ristoranti, verranno invitati i migliori chef d’Italia, mentre nei MASTER la Scuola Internazionale di Cucina IFSE declinerà i temi della moderna ristorazione.
L’opera di carattere enologico "L'Ascolto del vino" sarà al centro del viaggio WINE con le 120 cantine della selezione Top Hundred ed imperdibili Wine Tasting di etichette tra le migliori dell’enologia italiana.
Ma Golosaria è nota anche per un’altra grande area, quella riservata alla cucina come luogo di lavoro e convivialità. Spazio quindi a SHOW COOKING che tratteranno l’argomento “vita domestica, dal non spreco all’utilizzo delle migliori tecnologie”.
Proprio a proposito di Show Cooking, sabato 17, dalle ore 19, l’aperitivo diventerà dolce ma soprattutto gluten free. A prepararlo sarà l’ormai nota Ilaria Bertinelli, interprete parmigiana e cuoca impegnata nella cucina per diabetici e celiaci, che insieme a Francesca Morandin, figlia di uno dei più famosi panettonieri italiani, realizzerà una golosa brioche senza glutine dal basso indice glicemico. Grazie alla loro esperienza, nonché alla grande conoscenza delle materie prime, daranno corpo ad un impasto preparato ad hoc con l’eccellente farina Glutinò del Molino Quaglia, che coniugherà fragranza, salute e gusto.
La terrazza coperta ospiterà l’area LOUNGE con la CUCINA DI STRADA, interpretata dai professionisti del Golosario, un tour “virtuale” che attraverserà tutta Italia: dagli hamburger di carne piemontese di Amati! Papillarium, a quelli in versione lomellina con la zucca di Genuino, dalla focaccia di Recco di Manuelina agli sciatt valtellinesi di Sciatt à Porter, fino ai plin langaroli di Cucina delle Langhe. Poi ancora le specialità partenopee di Friarié, la pizza d'autore di MamaPetra, il fritto ed il fusion all'italiana di Cheerin'guito, il bollito della tradizione emiliana di Clinica Gastronomica Arnaldo ed il “truck della griglia” della Street Food Company. Sinergia brianzola, poi, con gli gnocchi e le patate fritte con la patata bianca di Oreno dell'azienda agricola Fortuna, lo zafferano di Mastri Speziali e le birre del Birrificio Hibu, insieme ai rimandi d'oltreoceano di Vanilla Bakery. Il tutto innaffiato dai vini piemontesi di Bersano, le birre di Silvia Castagnero e dei Mastri Birrai Umbri, oltre alla prima cola nata sotto la Mole, MoleCola.
E’ appena terminato il Festival del Franciacorta, un weekend nel quale poter visitare le cantine più blasonate nel territorio conosciuto per la sua eccellenza vitivinicola. Vediamone alcuni pregi e difetti
Di Chiara Marando – Sabato 26 Settembre 2015 - (Guarda la gallery in fondo all'articolo)
Da pochi giorni è terminato il tradizionale appuntamento con il Festival del Franciacorta, un weekend all’insegna del buon vino e delle tradizioni che hanno reso questo suggestivo territorio un punto di riferimento nel mondo in fatto di eccellenze vitivinicole. Ma il Festival non è solo un’ottima occasione per assaporare alcune tra le migliori varietà di bollicine disponibili, è anche un’immersione completa nella cultura della zona, alla scoperta delle varie cantine, dei loro segreti e tecniche di lavorazione.
Per due giorni, ogni azienda apre le porte al pubblico per raccontare la realtà che le contraddistingue, far comprendere quanto lavoro e dedizione si trovi dietro ad ogni singolo sorso. Certo il marketing fa da padrone, ma la verità è che alcune sono veramente in grado di far respirare il grande amore che nutrono per il lavoro e la terra, se ne percepisce la reale piacevolezza di condivisione.
Ecco perché, anche lo scegliere quali cantine visitare all’interno del ricco programma di eventi non è propriamente semplice, ci si deve lasciare trasportare dall’istinto, dalla curiosità ed, ovviamente, dal desiderio di degustare qualcosa di nuovo. Difficile cadere male, anche se spesso alcuni produttori perdono di vista l’anima del Festival, ovvero che questi due giorni non sono solo fonte di puro guadagno, ma anche e soprattutto di grande ospitalità.
Inutile generalizzare, questo è certo, ma penso sia corretto evidenziare mancanze e pregi di alcune delle cantine che ho selezionato per la mia giornata in Franciacorta. Non si tratta di un giudizio prettamente legato alle diverse etichette, piuttosto ai diversi approcci riscontrati in fase di visita.
Cominciamo con il più che famoso “Cà del Bosco”, azienda che certo non ha bisogno di particolare pubblicità e la cui location lascia stupefatti: una distesa di prati e vigne che si rincorrono a perdita d’occhio lungo un terreno collinare verdeggiante al cui centro impera l’area di produzione, la zona eventi e quella degustazione. Una guida preparata ed estremamente disponibile ha illustrato tutto il processo di lavorazione delle uve, descrivendo le peculiarità che caratterizzano il prodotto finale. Il percorso nelle cantine di invecchiamento non smette mai di affascinare, complice la luce soffusa, i soffitti a volte e le migliaia di botti e bottiglie che arredano gli ambienti.
Non poteva mancare la fase di degustazione: tre diverse tipologie di Franciacorta, Vintage Collection Dosage Zéro 2010, Vintage Collection Brut 2010 e Vintage Collection Satèn 2010, abbinate a sfiziosi e ricercati finger food di mare e terra che ben si sposavano con il gusto e gli aromi dei vini.
In sintesi, due ore nelle quali la cura e l’attenzione verso il cliente si coniugavano con la raffinatezza delle proposte enogastronomiche.
La seconda tappa prevedeva un altro nome di rilievo, ovvero “l’Azienda Agricola Monte Rossa” conosciuta per la bevibilità delle sue etichette più famose: il Rosè Flamingo ed il Cabochon Brut 2009. Nulla da dire sulle due proposte, ma qualcuno dovrebbe insegnare agli organizzatori che il tavolo di presentazione dovrebbe essere imbandito con qualche cosa di più sostanzioso rispetto ai miseri grissini, soprattutto se si pensa che i visitatori quel giorno si dedicheranno anche ad altre cantine. A nessuno piace tornare a casa ubriaco o con la testa “molle”.
Stesso discorso per “Bellavista” dove, oltre alla totale assenza di professionalità ed ospitalità da parte del personale (sembrava di essere caduti in una catena di montaggio spremi-soldi), è mancata completamente una qualsiasi tipologia di stuzzichino che spezzasse gli assaggi e permettesse di godere al meglio ciò che si stava bevendo, ossia Alma Cuvée Brut e Vendemmia Satèn 2010.
Fortunatamente, dopo qualche esperienza poco soddisfacente, la giornata si è conclusa con una più che piacevole serata trascorsa nell’antica residenza “Guido Berlucchi”, il Palazzo Lana Berlucchi, dove per l’occasione è stato organizzato un particolarissimo “Aperitivo Pop” con i finger food dello chef Davide Oldani. Una location d’eccezione, come il parco interno della villa, ed un’accoglienza sincera da parte della titolare, la signora Ziliani, hanno reso ancora più apprezzabile la degustazione: ’61 Brut, ’61 Satèn e ’61 Rosé abbinati ad assaggi originali quali Pasta di salame su panella di ceci, tamarindo ed olive croccanti, Bignè allo zafferano ripieno di Erborinato ed accompagnato con Composta di fichi e semi tostati e, per finire, Centrifugato di verdufrutta con Stracciatella e fave di cacao. Veramente Deliziosi!
Il consiglio è quello di visitare le stanze del Palazzo, ricche di fascino ed eleganza senza tempo, ma soprattutto le antiche cantine sotterranee dove il vino riposa avvolto da un silenzio rigenerante: volte in pietra, lunghi corridoi che conservano la suggestione di epoche passate, nascosti da una luce morbida e quasi timida, ed una distesa di bottiglie che attendono solo di essere stappate.