MODENA - È una lunga “amicizia” quella che lega Luigi Guicciardi, prolifico scrittore modenese, al suo personaggio più amato, il Commissario Cataldo. Dopo aver fatto debuttare ne “Il ritorno del mostro di Modena” il giovane commissario Torrisi, Guicciardi torna in libreria con, “Il Commissario Cataldo e il caso Tiresia”, per la collana “I gialli Damster” (Damster Edizioni). Questa volta, però, al giallo si aggiungono altre sfumature, quella del noir e quelle rosso sangue. Il risultato è un thriller dal ritmo incalzante, ricco di colpi di scena, ma anche un viaggio nella psiche dei personaggi, sia negativi che positivi. E, a fare da sfondo alla storia, una Modena crepuscolare, ma più concreta, in cui è possibile riconoscere le strade, i palazzi, i luoghi della città. Abbiamo incontrato l’autore.
“Il caso Tiresia” si rifà al mito classico. Da dove è nata la tua ispirazione per questa nuova avventura di Cataldo?
“Avevo in mente una storia dura e intensa, che avrebbe potuto anche intitolarsi “Il ladro di occhi”, con un misterioso assassino che uccide e cava i globi oculari alle sue vittime. E dato che ho insegnato tanti anni al liceo, leggendo i classici greci e latini, mi sono ricordato di questa figura, Tiresia, un indovino che gli dei della mitologia greca punirono con la cecità perché aveva visto e rivelato agli uomini quel che non avrebbe dovuto. Da qui l'idea di intitolare a Tiresia il dossier che la polizia giudiziaria aprirà su per questa inchiesta cruenta e terribile. Poi casualmente, quando avevo appena concepito l'idea, prima del Covid, m'è capitato di guardare su Rai1 un atto unico teatrale, scritto e interpretato da Andrea Camilleri, “Conversazione su Tiresia”, in cui il papà del commissario Montalbano, lui stesso quasi cieco, nel teatro greco di Siracusa, dialogava con grandi autori del passato proprio su questo mito, e in quel momento m'è sembrato una conferma al mio titolo, e quasi un segno del destino”.
Questa nuova avventura del commissario Cataldo assume le sfumature del noir: all'indagine pura, tipica del giallo, infatti, il lettore può calarsi nell'abisso della personalità dei personaggi, ognuno con i suoi segreti. Come mai hai voluto aggiungere questa “spennellata di colore”?
“In effetti, oltre alla detection classica del mystery, c'è lo scavo psicologico di molti personaggi, nel segno della solitudine umana: la solitudine di chi muore (che è sempre il centro del mistero della propria morte, e quando si muore si muore sempre da soli), la solitudine di chi uccide (per odio, per vendetta, fuori da ogni senso di comunità sociale), la solitudine del commissario Cataldo (che percorre una lunga strada solitaria, senza famiglia e senza amore, nell'unico impegno di ricercare la verità). E il fatto che molti personaggi celino un proprio segreto, contribuisce ad arricchire il tono noir e il contrasto, drammatico e ambiguo, di tutte queste personalità”.
Un altro “colore” che spicca è il rosso. Gli omicidi questa volta sono particolarmente cruenti. Alle vittime, infatti, vengono strappati gli occhi. Ti sei ispirato a qualche fatto di cronaca, come nel caso del Mostro di Modena del romanzo precedente, o a qualche opera in particolare?
“Ne “Il ritorno del mostro di Modena”, il riferimento alla cronaca nera di oltre trent'anni fa era evidente fin dal titolo: lì il giovane commissario Torrisi era chiamato a indagare su un assassino attuale che imitava il modus operandi di quel fantomatico killer di allora, purtroppo mai identificato. Qui la storia è tutta contemporanea, senza alcun riferimento al passato, e non sono stato ispirato né da film né da libri letti o visti. Anche perché, nell'asportazione degli occhi che l'assassino pratica, il lettore non troverà nessuna somiglianza col macabro “collezionismo” di certo cinema americano...”.
Anche il nostro commissario, nel tuo ultimo lavoro, appare più intimista e malinconico. Il lettore, in un certo senso, ha la possibilità di conoscerlo meglio. La sua malinconia, la sua disillusione si toccano con mano. È una parabola che già avevi iniziato nei romanzi precedenti. Ci sarà mai un lieto fine per lui? Sentimentalmente parlando...
“Mai dire mai. È vero che Cataldo, in questo romanzo, ci appare subito come uomo, prima che come poliziotto: solo, depresso, separato definitivamente dalla moglie, lontano dai figli, lasciato dall'ultima compagna, Annachiara, con cui s'era illuso di poter ricominciare ad amare. E questa solitudine – che per poco sembrerà incrinarsi nell'incontro con una donna conosciuta vent'anni prima e mai dimenticata – mi risulta funzionale a quel tono di tristezza e di desolazione che volevo imprimere a una storia così. Però, in futuro, Cataldo potrà intrecciare altre relazioni e rapporti (umani e sentimentali), consapevole com'è che “si ha bisogno d'amore sempre, da giovani e da vecchi”.
La Modena di Cataldo è sempre crepuscolare, ma stavolta i luoghi sono più reali, precisi, esistenti, mentre nei romanzi precedenti ti sei preso qualche libertà in più. Una scelta voluta?
“Sì. A una storia come questa, dura, realistica e cruda, doveva corrispondere per forza una Modena altrettanto realistica e concreta, ritratta come personaggio aggiunto e interattivo, sia nelle sue periferie (via Stradella, la Sacca), sia nel centro storico (piazza Mazzini, via Giardini, via Prampolini), sia fuori città (strada Martiniana, Monteorsello). Più reale di tutte però, e più autobiografica, la location modenese del liceo scientifico Tassoni (ritratta in un capitolo), dove ho insegnato personalmente per parecchi anni”.
Nel “Caso Tiresia” i colleghi di Cataldo diventano quasi comprimari. Hai in mente un “cambio della guardia” o il nostro commissario ha ancora tanto da raccontare?
“Hai visto bene. C'è un personaggio nuovo, in particolare, Dario Ghigi, che è un giovane agente di polizia tormentato, che si porta dentro un tragico segreto, soffre d'insonnia, gira per la città da solo di notte, ha frequentato uno psicologo, ed è caratterizzato da una forza fisica eccezionale. E proprio per imprimere all'indagine un ritmo e una velocità superiore – avendo Cataldo, commissario capo, già una sessantina d'anni – ho affidato a questo personaggio i momenti d'azione più intensi, come sfondare un uscio con una spallata o prendere a pugni un pregiudicato, e lo spazio maggiore riservato a un “collega” così contribuisce ad accrescere il quoziente di drammaticità della vicenda. Quindi, per risponderti, nessun “cambio della guardia”, per ora, ma il bisogno di introdurre nuove figure, che affianchino (senza sostituire) il protagonista tradizionale e arricchiscano umanamente il lavoro di squadra, che sostanzia ogni indagine moderna”.
Tra questa avventura di Cataldo e quella precedente (“I dettagli del male”), hai dedicato un romanzo a un nuovo protagonista, il commissario Torrisi ne “il ritorno del mostro di Modena”. Potremo vederli lavorare insieme in un tuo prossimo lavoro?
“In teoria sarebbe una cosa possibile, visto che sono molto diversi per grado e per età (un trentenne e un sessantenne), ma che fanno parte della stessa questura, quella di Modena di via Divisione Acqui. Quindi, sì, potrei farli lavorare insieme, ovviamente con Torrisi in collaborazione subalterna e dinamica e Cataldo a sfruttare la sua maggiore esperienza e capacità deduttiva. Oltretutto, se li presentassi insieme in scena (nella medesima indagine, cioè), sarei costretto a diversificarli ancora di più e questo potrebbe risultare per me molto stimolante. È un'idea interessante, insomma, ma non nell'immediato futuro, Perché in autunno dovrebbe tornare Torrisi, da solo, con una storia che riguarderà un mondo che nessun giallista italiano mi sembra abbia mai toccato finora, quello dei down e degli istituti per ragazzi diversamente abili: un ambiente tanto interessante quanto difficile, da penetrare con grande delicatezza”.
SCHEDA DEL LIBRO
Luigi Guicciardi
Il Commissario Cataldo e il Caso Tiresia
Collana “I Gialli Damster”, Damster Edizioni
Pag. 266 – € 16
www.damster.it e www.librisumisura.com