Di G. Maddei Roma, 9 ottobre 2022 (Quotidianweb.it) - Uccisa da un gruppo di fanatici per colpa della sua intelligenza e del suo essere donna, questa la sorte che toccò a Ipazia, matematica, astronoma e filosofa. Violentata e calunniata, Artemisia Gentileschi venne bollata da tutti come “puttana bugiarda”, per aver denunciato il suo stupratore.
Rinchiusa in manicomio dalla sua stessa madre che aveva vergogna della vita “immorale e dissoluta della figlia”: questo fu il destino della scultrice francese Camille Claudel, colpevole di volersi dedicare alla propria arte e di convivere con il suo compagno Rodin al di fuori del vincolo matrimoniale. Inutili i tentativi di far capire che non era pazza, questa donna brillante restò segregate per oltre trent’anni in una misera stanzetta, fino al giorno della sua morte. “Mi si rimprovera di aver vissuto da sola, di avere dei gatti in casa, di soffrire di manie di persecuzione!” scriverà in lettere che non ottennero mai risposta. “È sulla base di queste accuse che sono incarcerata come una criminale, privata della libertà, del cibo, del fuoco. Da cosa deriva tanta ferocia umana?”
Queste storie sono solo la punta dell’iceberg delle violenze subite dalle donne libere nel corso della storia. Per oltre duemila anni le donne sono state considerate biologicamente, intellettualmente e moralmente inferiori agli uomini e hanno subito violenze di ogni genere.
Nell’antica Grecia, in particolar modo nell’età classica, le donne vivevano confinate nel gineceo. Nell’Antica Roma le donne erano promesse in spose a sei/sette anni. La loro principale occupazione era badare alle faccende domestiche (“filò la lana” era l’epitaffio più diffuso sulle tombe femminili della Roma Repubblicana) e assicurare ai loro mariti una discendenza legittima. Ci furono delle eccezioni, come la donna etrusca o la donna spartana che godettero di maggiori libertà. E ci furono filosofi come Socrate che reputavano la donna una creatura degna di stima. Ma furono eccezioni.
Nel medioevo la donna incominciò a essere guardata non soltanto con condiscendenza ma anche con sospetto. Erano le donne che i demoni seducevano e sempre donne erano coloro che venivano accusate di stregoneria. Il Malleus Maleficarum, “il martello delle streghe” era un testo che doveva aiutare gli inquisitori a stanare le agenti del demonio. Gli autori sostenevano che le donne erano preda delle insidie di Satana a causa della debolezza del loro intelletto e una natura lussuriosa tendente al male. Quest’opera rappresentò il culmine della demonizzazione della donna: era una guida su come estorcere confessioni dopo atroci torture e bruciare vive le sventurate, donne colpevoli soltanto di essere donne o di avere conoscenze di erbe e arti mediche.
La caccia alle streghe infiammò l’Europa per diversi secoli, ma dal Rinascimento cambiò il ruolo della donna nella società che incominciò a essere apprezzata nelle feste, ai balli, ai tornei per la sua capacità di conversare, di curare, in assenza del marito, gli interessi della famiglia. Ma ancora nel non lontano XVIII secolo i grandi filosofi, intellettuali, scrittori, gli esponenti della più raffinata intellighenzia europea, si domandavano se le donne fossero intellettualmente capaci quanto gli uomini. Sempre nell’Ottocento mal di testa ricorrenti, attacchi epilettici, una certa aggressività verbale che alle volte non era altro che l’incapacità della donna di essere compiacente nei confronti del marito, erano motivi sufficienti per ottenere una diagnosi di isteria. Una delle cure più diffuse era la cosiddetta cura del riposo: le donne venivano segregate in casa, al buio e private di contatti con il mondo esterno, e non a caso scrittrici e intellettuali venivano spesso definite isteriche per la loro mania di intromettersi in affari che non erano di loro competenza.
Perché tanto odio, perché tanta violenza, perché tanta brutalità nei confronti della donna? Certo la donna sottomessa e succube garantiva a ogni uomo, anche se povero e ininfluente, di esercitare il proprio potere su un essere indifeso, di confermare la propria autorità e dunque sentirsi superiore. Qualsiasi spiegazione di natura psicologica, sociale, religiosa non basta tuttavia a spiegare la volontà di sottomettere la donna da parte dell’uomo. Ancora oggi c’è chi si arroga il diritto di dire alle donne cosa pensare, cosa vivere, cosa farne del loro corpo. Possibile che dalla storia non s’impari mai nulla?