Il valore aggiunto prodotto da agricoltura e industria alimentare si avvicina ai 59 miliardi di euro: è quanto emerso dal focus realizzato da UniCredit, Slow Food e Nomisma, presentato nell’ambito dell’evento nato per discutere sui principali trend che influenzano il percorso evolutivo dell’agroalimentare
Compie 10 anni l’Alleanza Slow Food dei Cuochi e rilancia la sfida: dal sostegno alla biodiversità locale e ai piccoli produttori a un nuovo attivismo del cuoco, motore del cambiamento contro la crisi climatica
Scarica qui l’analisi di Indaco2 sul modello di ristorazione amica del clima
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Possono giocare un ruolo cruciale contro l’attuale crisi climatica, sensibilizzando gli avventori della loro osteria o del loro ristorante attraverso l’esperienza diretta, facendo loro gustare il piacere di un buon piatto che non pesa sull’ambiente e che ripaga il lavoro di chi ne ha prodotto gli ingredienti. Sono le cuoche e i cuochi, che in ogni angolo del mondo hanno l’occasione quotidiana di spiegare concretamente, cucinando con passione e ragione, che piccole scelte possono portare a grandi mutamenti.
Invitati al dibattito da Slow Food, si sono riuniti a Bologna, presso FICO Eataly World, oltre 100 protagonisti italiani dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi, il progetto nato 10 anni fa per sostenere i produttori di piccola scala custodi della biodiversità. L’Alleanza riunisce circa 1.100 cuochi di osterie, ristoranti, bistrot in 25 Paesi del mondo, che si impegnano a utilizzare ogni giorno nelle loro cucine i prodotti dei Presìdi Slow Food, dell’Arca del Gusto e dei loro territori.
I rappresentanti della rete italiana (che conta oltre 500 cuochi in tutta la penisola) insieme ad alcuni esponenti da Francia, Sudafrica e Bielorussia, accolti da Francesco Sottile del Comitato Esecutivo di Slow Food Italia e da Massimo Macchitella, Responsabile Small Business UniCredit, si sono confrontati sugli ingredienti di quella che potremmo definire la ricetta per il cambiamento secondo Slow Food:
- impatto della ristorazione sul clima e sostenibilità delle scelte di approvvigionamento, a partire dalle filiere più impattanti, quelle della carne e dei latticini
- sostegno ai produttori locali di piccola scala, dei Presìdi Slow Food e dei prodotti dell’Arca del Gusto del territorio
- consapevolezza del ruolo centrale del cuoco come educatore e attore protagonista di una comunità locale che ruota intorno ai produttori/fornitori e ai cittadini/clienti
Ecco il menù climate friendly proposto da Slow Food:
Il clima è servito. Come può un cuoco ridurre l’impatto ambientale della propria attività?
Qual è il ruolo del cuoco nei confronti della crisi climatica e quali azioni può mettere in atto per ridurre l’impatto ambientale della propria attività? A queste domande ha risposto una delle poche ricerche esistenti in letteratura che Indaco2, società di consulenza composta da esperti in sostenibilità e comunicazione ambientale, ha condotto mettendo a confronto l’impatto del ristorante Les Résistants, nel quartiere République di Parigi, che opera in sintonia con la filosofia Slow Food, con un ipotetico locale che propone un menù identico ma operando scelte di acquisto convenzionali e con una realtà che propone invece un menù meno “climate-friendly”.
«I risultati sono sorprendenti» hanno raccontato Elena Neri e Riccardo Pulselli, di Indaco2. «Nel confronto con il ristorante che propone lo stesso menù, l‘impatto di chi sceglie fornitori sostenibili è inferiore del 50% rispetto a quello di chi fa ristorazione rifornendosi presso produttori convenzionali. Il confronto è poi schiacciante (impatto 4,5 volte minore) se viene effettuato con un ristorante che propone un menù diverso da quello de Les Résistants, più ricco di piatti a base di carne e latticini e che non presta attenzione a evitare sprechi in cucina e in sala».
«Forse per le mie origini normanne, sono sempre stato attratto dai contadini e dalle campagne, che prima di aprire il mio ristorante ho studiato a fondo, andando a visitare ogni tipo di fattoria per oltre un anno. Il mio obiettivo era creare un'impresa sostenibile, attenta a ristabilire un giusto rapporto tra campagna e città, che rispettasse e valorizzasse il lavoro degli agricoltori. Volevo anche proporre piatti buoni e raggiungere una soddisfacente performance economica» ha raccontato Florent Piard de Les Résistants alla platea. «Per soddisfare tutte queste esigenze, ho studiato i prodotti e le filiere per acquistare il meglio dalle varie regioni della Francia e ottimizzare la logistica. Ognuno di voi può prendere spunto dallo studio di Indaco2 per adattare il modello de Les Résistants alla propria attività e quindi ridurre l’impatto sull'ambiente e sul clima, proteggendo al tempo stesso il mondo dell'agricoltura di piccola scala e sostenibile» ha concluso Florent.
Ma a cosa si deve l’impatto ambientale di un ristorante? E quali sono le buone pratiche suggerite da Indaco2 sulla base del modello de Les Résistants? Lo studio rileva che la sostenibilità è molto condizionata dalla scelta di materie prime prodotte secondo pratiche agricole e zootecniche virtuose più che dalle distanze percorse dai singoli prodotti acquistati: i concetti di filiera corta e chilometro zero, soprattutto nel contesto delle grandi città, hanno infatti una valenza relativa. Anche la loro politica di zero-spreco incide fortemente nel limitare il loro impatto ambientale.
Meat the Change: ovvero meno carne e di migliore qualità per il bene nostro e del Pianeta
Per raccontare l’esperienza dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi rispetto al tema del consumo di carne, è intervenuta la sudafricana Caroline McCann: «I cuochi dell’Alleanza Slow Food locale hanno rilanciato le campagne di sensibilizzazione proposte da Slow Food in questi anni, invitando i loro clienti a mangiare meno carne ma scegliendola meglio, acquistandola direttamente da produttori in grado di allevare in modo sostenibile o da macellai di fiducia che conoscono gli allevamenti, e imparando a utilizzare tutti i tagli, anche quelli ritenuti meno pregiati. Questi allevatori esistono e hanno bisogno di noi per continuare ad allevare con rispetto per gli animali e per la terra».
In questo senso va anche la nuova campagna di Slow Food Meat the Change, realizzata con il contributo del Ministero italiano dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, che aiuta a comprendere l’impatto del consumo di carne e degli allevamenti intensivi sulla crisi climatica, partendo da un piccolo quiz che fa riflettere sulle abitudini quotidiane.
Naturale è possibile!
Un tema centrale intorno al quale il mondo dell’agroalimentare di qualità si sta già interrogando è quello della produzione naturale, come ha evidenziato Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus: «Si tratta di una concezione strategica per il nostro futuro, non una visione nostalgica dei prodotti tipici tradizionali. È quello che del resto sta già avvenendo, e lo abbiamo visto lo scorso settembre a Cheese a Bra, con i formaggi senza fermenti selezionati e i salumi senza nitriti e nitrati, ma anche i vini senza lieviti selezionati e i pani a lievitazione naturale che rappresentano movimenti già affermati. E ne è la prova il grande lavoro di ricerca e sviluppo che le grandi aziende più accorte e i produttori di piccola scala stanno svolgendo per sperimentare le alternative già oggi praticabili, aprendo la strada a consumi più razionali, sani, equilibrati e sostenibili, ed è questo il sentiero che molti cuochi stanno già percorrendo nei propri territori». Proprio da Cheese, con il supporto del Consorzio Parmigiano Reggiano, formaggio naturale per eccellenza e Sostenitore Ufficiale di Slow Food Italia, l’associazione ha avviato una serie di incontri di formazione sulle tecniche di produzione dei formaggi naturali e dei fermenti autoprodotti, rivolti ai produttori della manifestazione. Questi incontri proseguiranno in tutta Italia e avranno come focus i formaggi dei Presìdi Slow Food.
«Ogni giorno incontriamo centinaia di persone e grazie ai nostri piatti abbiamo la possibilità di piantare un piccolo seme di consapevolezza e cura nei confronti della nostra salute e del nostro Pianeta. È di fatto un’attività di divulgazione e di educazione rivoluzionaria che il cuoco svolge naturalmente, semplicemente spiegando le proprie scelte a partire dal gusto e dalla convivialità» ha raccontato Gabriella Cinelli, del ristorante Villa Adriana di Tivoli, Rm, che grazie alle attività di formazione per gli studenti e i suoi clienti, ha unito la tradizione della sua famiglia con la passione per l’insegnamento. A sostenere la testimonianza di Gabriella anche Christian Borchi, della Locanda Antica Porta di Levante di Vicchio, Fi, per cui nel supportare i produttori di piccola scala del proprio territorio va oltre la fornitura: «I cuochi sono un collante del territorio, facendo rete tra di loro e con i produttori, aiutandoli nella logistica e nel miglioramento dei prodotti, da un punto di vista della tecnica di trasformazione e della qualità organolettica, ma anche per migliorare il vissuto quotidiano di contadini, allevatori e artigiani, tra i quali moltissimi sono giovani e hanno voglia di sperimentare». A fargli eco anche Juri Chiotti, giovane chef stellato nel suo locale a Cuneo che per riconnettersi con le sue origini ha realizzato Reis, ristorante a Frassino, Cn, intorno al quale ha costruito una Comunità Slow Food insieme ai produttori della Val Varaita: «Il ristorante è il punto di riferimento di un percorso di avvicinamento tra cucina, agricoltura e allevamento che coinvolge i produttori delle borgate, quelli storici e quelli che come me stanno sposando questo progetto».
L’incontro nazionale dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi è stato ospitato a Bologna presso FICO Eataly World ed è stato realizzato grazie al sostegno degli Official partner UniCredit e Consorzio Parmigiano Reggiano e del Partner tecnico Cantina Santi del Gruppo Italiano Vini.
I fondi sono destinati ai coltivatori del Presidio Slow Food del Fagiolo di Laverino, ai coltivatori della Comunità Slow Food di Favalanciata, ai produttori del Presidio Slow Food Giuncata dei Monti Reatini e ai produttori del Presidio Slow Food Ricotta salata della Valnerina. Bertinelli: “Grazie ancora a chi ci aiutò nel 2012, grazie a chi si è unito nel sostegno che oggi vogliamo assicurare ad altri”.
Reggio Emilia, 18 settembre 2019 – “La Rinascita è possibile” è il titolo dell’evento che si è tenuto sabato 21 settembre al Cheese di Bra e durante il quale il Consorzio Parmigiano Reggiano ha donato 31.793,89 euro ai coltivatori e ai produttori di quattro Presìdi Slow Food del Centro Italia colpiti dal terremoto del 24 agosto 2016.
La cifra è stata raccolta grazie alla generosità dei caseifici che hanno aderito all’iniziativa “1 euro per rinascere – aiuto alle popolazioni del Centro Italia colpite dal sisma”, destinando ai terremotati un euro per ogni chilogrammo di Parmigiano Reggiano venduto.
I fondi sono destinati alla rinascita di alcune aree rurali di Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio colpite dal terremoto e, in particolare, ai coltivatori del Presidio Slow Food Fagiolo di Laverino, ai coltivatori della Comunità Slow Food di Favalanciata (Comune di Acquasanta Terme) - futuro Presidio Slow Food, ai produttori del Presidio Slow Food Giuncata dei Monti Reatini e ai produttori del Presidio Slow Food Ricotta salata della Valnerina.
Il legame tra le realtà terremotate del Centro Italia e la filiera del Parmigiano Reggiano è profondo. Nel 2012 infatti anche i produttori del Re dei Formaggi furono colpiti da un sisma che devastò gran parte dell’Emilia e del mantovano, spezzando vite, distruggendo case e storie di lavoro. Oltre 600mila forme di Parmigiano Reggiano caddero a terra, mettendo a repentaglio i conti e l’esistenza stessa di 35 caseifici. La rinascita fu possibile solo grazie all’aiuto di milioni di persone e alla solidarietà di ogni caseificio nei confronti di chi era stato colpito: furono raccolti 1,2 milioni di euro in poche settimane e nessun caseificio fu costretto a chiudere in seguito al sisma.
Il Consorzio, forte di quell’esperienza, ha valutato attentamente quale fosse il modo migliore per dimostrare la propria solidarietà e ha deciso di aiutare i quattro Presìdi Slow Food del Centro Italia per agevolare la rinascita del territorio messo in ginocchio dal sisma del 2016.
“Il nostro contributo – afferma il presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, Nicola Bertinelli – andrà a beneficio di chi ha perso tanto, perché non abbandoni la speranza di una rinascita che è stata possibile per le donne, gli uomini e i caseifici del Parmigiano Reggiano e deve essere possibile per tutti. Grazie ancora a chi ci aiutò nel 2012, grazie a chi si è unito nel sostegno che oggi vogliamo assicurare ad altri”.
Campionato mondiale della pizza e non solo. Un ricco programma di appuntamenti "educativi", con laboratori, organizzati in collaborazione con Slow Food e la rivista "Pizza e Pasta", hanno accompagnato la tre giorni dedicata ai pizzaioli, chef e cultori della pizza.
Di Lamberto Colla Parma 13 aprile 2019 -. In concomitanza con Cibus Connect si è svolto il 28esimo appuntamento con il Campionato Italiano della Pizza che, per la cronaca, ha visto primeggiare Riccardo La Rosa (Levanto) nella Categoria Piazza Classica.
Un evento internazionale, dalla imponente organizzazione che ha visto calare a Parma una struttura di ben 150 persone alle quali si sono aggiunti i servizi acquisiti in loco come l'indispensabile servizio di interpretariato puntuale e altrettanto strutturato per poter assecondare le decine di iniziative, tra convegni e laboratori, che si sono succeduti tra Cibus Connect e il Campionato Mondiale della Pizza.
Interessante l'iniziativa "Fucina della Pizza", con i suoi 11 laboratori suddivisi nella tre giorni del campionato,che ha raccontato i segreti per fare una buona pizza, smontando molte delle distorte opinioni collettive.
Se si parla di Pizza classica, non si può non parlare di formaggi con particolare focus sulla tradizione.
Il laboratorio "Mozzarella, Fior di latte & Co", a cura di Slow Food, ha messo a confronto la Mozzarella di Bufala Campana DOP, Il Fior di Latte e il Filato per pizzeria con un passaggio interessante sul "Parmigiano Reggiano" e il "Pecorino Romano" che, non è a tutti noto, entrano nella tradizione classica come ingredienti grattugiati e distribuiti appena fuori forno.
Sotto la guida precisa di Antonio Puzzi, curatore del libro Pizza, sostenuto dal puntuale contributo di Ilaria Bertinelli (Interconsul srl) nella traduzione simultanea e apprezzata "food blogger", sono emersi i fattori di forza che fanno della pizza il piatto che dona più felicità, secondo un'indagine Doxa\Deliveroo, condotta su un campione rappresentativo della popolazione di età superiore ai 15 anni.
Se un tale primato è stato raggiunto, lo si deve alla qualità delle materie prime e il laboratorio "Mozzarella, Fior di Latte & Co." ne ha evidenziato le motivazioni.
In conclusione, oltre allo straordinario gap qualitativo, in termini di sapori e profumi, la differenza economica tra una Pizza con Mozzarella di Bufala Campana DOP o con Fiordilatte, rispetto a una anonima e insapore pizza condita con Filato da pizzeria (nato per l'industria della surgelazione) incide per solo 0,5€.
Di fatto, la pizza scadente si carica inutilmente di 0,5€ di filato di pizzeria, privo di sapori e aromi, mentre l'euro che "pesa" sulle Pizze classiche di qualità, rappresenta invece il plus che garantisce gusto, piacere e quindi "felicità".
A questo successo è agli ingredienti che va assegnata una importanza fondamentale, ha sottolineato il rappresentante di Slow Food, e questi devono essere pochi e facilmente identificabili in un territorio, oltre a rispondere a tre parole d'ordine:
Buono, Pulito (in senso ambientale) e Giusto.
(foto sopra: Ilaria Bertinelli - Interconsul srl)
Cibus: il Consorzio Parmigiano Reggiano diventa sostenitore ufficiale di Slow Food Italia
Parma, 7 maggio 2018 - Consorzio Parmigiano Reggiano e Slow Food Italia si incontrano a Cibus nella "Piazza dei Caseifici", all'interno della quale, da oggi fino a giovedì 10, si alterneranno ben 32 produttori che, pur seguendo lo stesso rigido disciplinare di produzione, si propongono al mercato con identità e con prodotti diversi. Il messaggio è chiaro: l'incontro con i produttori permetterà agli operatori del settore di scegliere in modo consapevole il Parmigiano Reggiano più adatto alle proprie esigenze e a quelle della propria attività. C'è un Parmigiano Reggiano per tutti i gusti e per tutte le occasioni. E non parliamo solo di stagionature, ma anche di razze. Ci sono la vacca bianca modenese, la rossa reggiana, la bruna e la frisona italiana.
Così come esistono prodotti "certificati" che vanno incontro alle esigenze più diverse: dal prodotto di Montagna al Kosher, dall'Halal al Biologico.
Ed è proprio in questo contesto di biodiversità che il Consorzio del Parmigiano Reggiano annuncia la nuova partnership con Slow Food Italia in qualità di "sostenitore ufficiale" preannunciando quali saranno i prossimi progetti di promozione sociale da portare avanti insieme.
"Essere sostenitori ufficiali significa sedersi attorno ad un tavolo e ragionare insieme sul futuro del cibo - ha commentato Roberto Burdese AD slow Food Promozione. Lavoriamo con il Consorzio Parmigiano Reggiano da oltre 20 anni: il nostro compito sarà quello di proporre stimoli, suggerire soluzioni che siano in linea con la sensibilità del nuovo consumatore, sempre più attento ai temi della sostenibilità, della trasparenza e del benessere animale".
"Questa rinnovata e rafforzata partnership darà presto i suoi frutti. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano conta molto sul supporto di Slow Food Italia per trovare insieme soluzioni su diverse tematiche che stanno a cuore ai nostri produttori: il benessere animale, la completa tracciabilità della filiera – con particolare riferimento al canale Horeca - la messa in evidenza delle specificità del nostro prodotto che si differenzia da altri formaggi a pasta dura per l'assoluta naturalità e la completa assenza di additivi e di fermenti industriali" ha concluso Riccardo Deserti, direttore del Consorzio di tutela.
Nella foto da sinistra Roberto Burdese e Riccardo Deserti.
In bicicletta, raccogliendo umori, pareri e assaggiando ovviamente tutto, dal Salone del Gusto di Torino. Il grande mercato con espositori dai cinque continenti, presìdi Slow Food e tanti eventi per scoprire la ricchezza enogastronomica del mondo, dal 22 al 26 settembre è stato protagonista nelle strade, nelle piazze, nei parchi e lungo il fiume, nei palazzi storici e nei teatri, nei musei e nelle residenze reali, nel cuore di Torino e non solo.
Di L'Equilibrista
Torino, 12 ottobre 2016
Il Salone del Gusto quest'anno ha riservato emozioni e grandi risultati, sfide nelle sfide che la macchina del presidente di Slow Food, Carlo Petrini, ha saputo regalare a turisti da tutto il Mondo, appassionati, operatori del settore, semplici curiosi e all'Italia in generale.
Mi ero ripromesso che avrei girato per la fiera in bicicletta, raccogliendo umori, pareri e assaggiando ovviamente tutto quello che mi era possibile..e così è stato, anche perché francamente sarebbe stato impossibile diversamente visto l'afflusso e la dislocazione di un evento di tale portata che ha toccato tutta la città di Torino.
Il salone che prima era fisso al Lingotto, ha abbandonato rigore e accessi calmierati, spazi riservati o confini culturali dettati dagli incontri tecnici e professionali, lasciando lo spazio a libertà ed alla riscoperta del Mondo del cibo lento o "slow" in contrasto con il Mondo veloce o "fast" preconfezionato.
La stessa città di Torino è sembrata a tutti gli operatori accogliente e piena di vita, la sua austerità e la sua personalità schiva e aristocratica si è aperta e ha permesso una comunicazione o un banchetto ovunque, persino Palazzo Reale che ha ospitato degustazioni guidate fino a tarda notte è parso perfettamente integrato nel meccanismo, c'erano tavoli di assaggio e tematici lungo i vicoli, agli angoli delle piazze, sotto alle volte e alle arcate che hanno preso vita grazie a spettacoli e dibattiti. Le piazze dedicate al food tracking con prodotti locali da ogni dove e perenne atmosfera di entusiasmo e cultura a testimoniare l'impegno e la dedizione di tutti.
Magnifico è stato l'entusiasmo dei Popoli venuti da tutte le latitudini solo per far conoscere, far respirare e condividere i loro prodotti, frutto di lunghe fatiche e instancabili passioni, contro climi rigidi, zone di caldo asfissianti, colture eroiche su montagne o ripide rupi. Paesi sud africani dai colori sgargianti e dai sorrisi onesti che offrono tutte le loro ricchezze su banchetti che sembrano tavolozze di colori accesi, Paesi del Sud America che raccontano le latitudini e le Terre dove il mare confina con il cielo e dove l'aria è un vortice di purezza grazie alle quote impervie del Cile, alle lande soleggiate del Paraguay, salite e paesaggi lunari del Perù che oltrepassano i quattromila metri. Paesi che non ti aspetti e dei quali magari ignoravi l'esistenza che però quel giorno strappano un sorriso ed interesse anche al più colto e avvezzo chef o critico gastronomico, dal commento facile. Sensazioni di benessere ed uguaglianza che ti tengono legato alle tradizioni e alla voglia di imparare per studiare piani di sviluppo diverso per una sostenibilità pensata a garanzia di un futuro che queste nuove generazioni di produttori hanno nell'interesse della biodiversità e dello sviluppo delle eccellenze autoctone.
Il salone del Gusto è stata una scommessa vinta contro il possibile maltempo, le malelingue, gli stereotipi, le diseguaglienze e la voglia di far emergere l'Italia e le sue Regioni, le sue tradizionali ed indiscusse eccellenze presenti in grande spolvero da tutte le Regioni Italiane, storie uniche di produttori che hanno fatto assaggiare e messo alla prova ogni palato.
Il commento del delegato di Slow food dr. Pier Giorgio Oliveti proclama ottimismo e pone l'accento sull'importante ruolo delle progetto "Città slow" che hanno saputo reinventare una cultura di ospitalità rurale orientata allo sviluppo territoriale locale delle eccellenze italiane, pensiamo all'aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia, al tartufo di Acqualagna, al Parmigiano Reggiano vacche rosse di Reggio Emilia, alla mozzarella Campana, all'olio di oliva biologico umbro o alle innumerevoli eccellenze del Piemonte nelle langhe ed ancora il re del prosciutto crudo, il crudo di Parma.
Sempre il dr. Oliveti: "Siamo davanti alla economia della resilienza, dove le Comunità sono sottoposte alla globalizzazione e devono reagire andando a valorizzare la cultura ed il territorio locale per lo sviluppo verso l'estero, per questo il progetto "città slow" deve essere pensato come enzima per la modernità perchè mette davanti alla possibilità di miglioramento continuo e pone l'accento sulla qualità territoriale".
Si pensa quindi al ritorno alla qualità delle proposte per concepire uno sviluppo che sia slow food e non più fast food, che serva a portare serietà e qualità quando si parla di alimentazione e sviluppo sostenibile.
Lo stesso dr. Teresio Nardi di Slow food mi ricordava come le singole città possono, se legate insieme, portare conoscenza e lavoro nelle città agricole per lo sviluppo di una cultura, che sempre più attenta ed informata, può fare da volano per le economie locali anche per uno sviluppo dei mercati esteri e di attrazione di turismo enogastronomico di qualità.
Un momento quindi di riflessione, di assaggi, di mescolanza di culture che ha portato novità, riscoperte e sicuramente una riflessione sul Mondo nuovo che è già arrivato e che solo con una programmazione attenta e salvaguardando il patrimonio di eccellenze che l'Italia ha, potrà tenere alto la nostra cucina, la nostra tradizione e la grande cultura che l'Italia possiede e che ha valore nel Mondo.
Di Chiara Marando - Parma 03 Gennaio 2015
Penso che ormai tutti conoscano “Slow Food”, il marchio che identifica l’eccellenza alimentare, quella che si impegna a ridare valore al cibo nel rispetto di chi lo produce, quella che opera in armonia con l’ecosistema e le tradizioni di ogni singolo territorio. E penso anche che più o meno tutti abbiamo sentito parlare, oppure visitato, uno dei tanti “Eataly”, punti vendita portabandiera della filosofia Slow Food all’interno dei quali poter trovare ogni sorta di delizia gastronomica tipicamente italiana, piccoli tesori della tradizione.
Ecco, proprio sulla scia di questo credo alimentare, dal 2011, stanno nascendo i franchising de “L’Hamburgheria di Eataly”, ovvero fast food di alta qualità dove i sapori genuini della nostra terra e l’esperienza dei produttori si fondono per dare vita ad un nuovo modo di concepire il gusto. Dopo Milano, Roma, Novara, Bergamo, Verona e Torino, anche a Parma ha aperto i battenti da poco più di un mese questo spazio interamente dedicato alla cosiddetta “hamburger experience”.
Gli ingredienti di punta sono un mix tra carni pregiate come quella di pura razza Piemontese dell’Azienda “La Granda”, salumi eccezionali firmati “Antica Ardenga”, birre artigianali del “Birrificio Baladin” oppure di “Birra del Borgo”, ed ancora pane, piadine e focacce accuratamente selezionate, formaggi DOP, olio extravergine Taggiasco ROI, insieme a Parmigiano Reggiano e verdure fresche di stagione rigorosamente italiane. Il tutto servito in un locale giovane, moderno ed elegante.
Il menù parte con gli Hamburger, dal più semplice “Giotto” fino al “Tropeagiotto” che alla carne aggiunge cipolla rossa di Tropea, oppure il “Cis-Pangiotto” fatto con l’aggiunta di Formaggio Raschera DOP e pancetta affumicata naturale. Poi ci sono le versioni con l’hamburger di pollo oppure il più elaborato “Lo Strolghino”, dove l’impasto è realizzato con strolghino di culatello, sale di Cervia, Lambrusco e spezie naturali. Ma troverete anche il “Kebabun” in tante piacevoli varianti, ovvero carne avvolta in una fragrante piadina romagnola presentata con molteplici abbinamenti. E per finire ecco le focacce con i salumi del territorio, mozzarella di bufala e verdure.
La formula è quella di un self service: si sceglie il piatto dalla carta, si va ad ordinare e si aspetta che arrivi la conferma dell’avvenuta preparazione. Vi è la possibilità di optare per i menù, ossia l’hamburger o il Kebabun prescelto accompagnato da patatine fritte lavorate fresche ogni giorno, insieme a birra, vino o bibita.
E fin qui tutto bene. Certo, ma nonostante la qualità del cibo non sia minimamente in discussione, in realtà mancano alcuni elementi a mio parere basilari. Mi spiego meglio. Leggendo le delizie della lista è impossibile non farsi assalire dall’acquolina, però questa impressione non viene confermata a pieni voti al momento dell’assaggio in quanto sembra che la preparazione sia carente in fatto di gusto e ricercatezza. Inoltre, non esiste fast food senza la velocità del servizio, caratteristica piuttosto altalenante in questo caso. Infine, prezzi e porzioni non sono proprio quelli tipici di un locale della categoria. In altre parole, il costo a singola portata è troppo alto, ma si bilancia se si decide di prendere il menù, ed il detto “bisogna alzarsi da tavola ancora con l’appetito” viene prontamente rispettato.
L’Hamburgeria di EATALY
Via Fausto Bocchi 7/A,
c/o Barilla Center Parma
Tel: 0521 247632
Bardi si fa onore al Grand Prix Slow Food grazie a una azienda agricola fiore all'occhiello del parmense.
Bardi (PR), 27 Dicembre 2014
Il prestigioso premio "Grand Prix Slow Food" è stato assegnato alla Società Brugnoli F.lli di Bardi, una delle più rappresentative aziende agricole della provincia di Parma, iscritta al circuito Campagna Amica, che produce Parmigiano Reggiano bio secondo regole artigianali supportate da moderne tecnologie e che vanta un'esperienza consolidata da quattro generazioni.
Lo comunica Coldiretti Parma evidenziando che la famiglia Brugnoli si è aggiudicata il primo posto con questo prodotto d'eccellenza, una forma dal sapore dolcissimo e irresistibile datata ottobre 2010, all'interno del celebre salone "Montecarlo gastronomie", una vetrina enogastronomica che vanta 150 stand e oltre 12 mila visitatori.
"Esprimiamo grande soddisfazione - commenta il Direttore di Coldiretti Parma Alessandro Corsini- per questo importante riconoscimento che premia una nostra impresa agricola Campagna Amica, molto conosciuta sia in Italia sia all'estero. Ne sono testimonianza il primo posto ottenuto nella competizione Cheese of the year a livello mondiale nel 2006 e a livello nazionale nell'edizione del 2007. Anche il premio Oscar Green assegnatole nella selezione regionale 2011 nella categoria "esportare il territorio", nell'ambito del concorso nazionale indetto da Giovani Impresa Coldiretti per l'innovazione in agricoltura, aveva già confermato il primato di questa azienda e premiato la sua professionalità e capacità imprenditoriale. Un'azienda fiore all'occhiello della nostra provincia non solo nella produzione di Parmigiano Reggiano ma anche nell' allevamento di suini neri, con vendita di capi vivi e salumi quali prosciutto, spalla, salame coppa e pancetta".
(S.P.)
(Foto tratta dal profilo facebook - Festa sull'aia)