Mercoledì 23 Gennaio 2019 -
Si sono conosciuti e reciprocamente apprezzati. Poi Giuseppe Fiorini, collezionista-contadino (come ama definirsi) li ha eletti suoi artisti prediletti. Luigi Pastori, maestro d’arte di grande esperienza, se n’è andato qualche anno fa, lasciando un‘eredità imponente in termini di qualità e quantità di opere, mentre Dario Rossi di Canneto sull’Oglio prosegue il suo percorso di pittura travolgente e tutt’uno con la sua vita, inscindibile da essa. Dopo essersi lasciato sedurre dai grandi maestri Van Gogh, Soutine, Kiefer, ha creato un linguaggio inconfondibile, fatto di spessori, d’esorbitanti sovrapposizioni di cose e colore, dove tutto diventa altro per turbare e confondere, per prendere per i capelli il mondo con le sue viltà, le sue violenze, l’assurda banalità del male. E scuoterlo, mostrandone le contraddizioni e la sua bellezza senza pace.
Siamo di fronte a due espressionisti diversi, come li potevano essere De Vlaminck e Van Gogh. Ma tra i contorni marcati, le linee essenziali di Pastori e la straripante materia di Rossi, tra la quiete bucolica dell’uno e la furia magmatica dell’altro, tra la terra e il cielo c’è un denominatore comune: l’uomo. E’ l’uomo inquieto, straziato, disarticolato, eccessivo nelle forme, condannato ad esistere di Dario Rossi, ma è anche l’uomo ritrovato nell’armonia con la natura, rasserenato nell’abbraccio affettuoso, che ha superato il dolore e coltiva la speranza come mostra Pastori. E ancora questa speranza è un figlio, un sentimento, un seme deposto per l’uno, mentre è uno squarcio di sole, di luna, il bagliore che vibra tra i flutti di un’ondata di fango, l’alba che insinua l’orizzonte cupo per l’altro.
Il colore in entrambi è preponderante e innaturale. Più simbolico in Pastori, esasperato e ridondante in Rossi. La loro pittura è un fatto emozionale, sentito intimamente in ogni pennellata, un percorso dentro e fuori di sé per trovare risposta, il grido che si placa, ma infine lascia lo stesso la domanda sospesa, malinconica o ironica, assertiva o provocatoria. Allora il punto interrogativo tra terra e cielo si può sciogliere in un cerchio di tenerezza, come nelle due maternità scelte per la mostra. Qui è dunque la soluzione, la verità. E’ questo che porta il profondo silenzio del vento, in paesaggi dove le ombre non ci sono più. Perché sono dentro. Di noi. In loro invece è ormai solo la luce.
Come dice il titolo del quadro di Rossi: Dalla pietà all’amore.