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0,50 centesimi: un prezzo che favorisce solo le produzioni straniere, alla faccia di chi si pavoneggia con il Made in Italy e delle aziende che si sono impegnate, anche economicamente, per il Paese.
Sarebbe una vicenda comica, se non fosse tragica: si chiede alle imprese di riqualificarsi nella produzione di mascherine, per compensare una importante carenza. Imprese che investono tempo e denaro per inventarsi un nuovo prodotto, certificarlo ed avviarlo alla produzione. Ti pavoneggi dell’importanza del Made in Italy. Poi imponi un prezzo, ben al di sotto del costo del mercato, che di fatto favorisce le produzioni straniere, quelle cinesi in particolare.
“Siamo arrivati al paradosso - osserva Marco Gasparini, Presidente CNA Federmoda Modena - fin dalle prime fasi dell’emergenza sanitaria, CNA Federmoda insieme ad altri partner, ha lavorato per costruire attraverso le imprese una filiera italiana che potesse riportare nel nostro Paese una produzione ormai pressoché totalmente delocalizzata. Una iniziativa che raccolse i ringraziamenti del Presidente del Consiglio e del Commissario straordinario per l’emergenza Covid. Pensavamo che chi guida il Paese avesse contezza del costo del lavoro italiano e quanto di questo sia legato e utile al sostegno del welfare nazionale. Invece l’imposizione del prezzo fissata dal Commissario Arcuri è lì a dimostrare che non si sa di cosa si stia parlando. Il prezzo delle mascherine alla produzione, fissato a 0,50 centesimi è uno schiaffo, se non un’offesa, alle imprese che si sono impegnate in questa direzione”.
Non è difficile fare i calcoli: soltanto il costo della certificazione si aggira attorno ai 10.000 euro (e per fortuna che il Comune di Carpi, attraverso Carpi Fashion System, ha deliberato contributi sino a 7.000 euro per sostenete le imprese in questo ambito). Poi ci sono i dipendenti, il costo di produzione (in gran parte, in assenza di macchinari, queste mascherine debbono essere fatte a mano, i costi fissi. “in altre parole, il prezzo imposto non si avvicina nemmeno ai costi di produzione. Peraltro, facendo passare da usuraie imprese che, cercando di riqualificarsi hanno evitato di ricorrere alla cassa integrazione e di pesare sulle spalle della comunità”.
“Se si vuole che le imprese nazionali continuino a produrre mascherine, evitando le prevedibili difficoltà di approvvigionamenti, ci aspettiamo che il differenziale tra il prezzo imposto, 0,50 cent, e quello effettivo di produzione “Made in Italy” venga messo a disposizione delle imprese”, afferma Gasparini.
Senza dimenticare il problema di coloro che hanno acquistato mascherine a prezzi superiori, in molti casi molto superiore, e che ora non li possono rivendere. A questi ultimi si pensi ad un credito d’imposta tra il prezzo imposto e quello effettivamente pagato.
CNA è assolutamente consapevole della necessità di andare incontro alle esigenze della popolazione e di trovare modalità per non gravare eccessivamente sui bilanci familiari così come su quelli delle imprese che dovranno acquistare mascherine per i loro dipendenti. Vi sono diverse modalità per raggiungere questo risultato, oltre all’abbattimento dell’IVA, si possono prevedere crediti d’imposta per il costo del personale e gli investimenti dedicati dalle imprese per realizzare le mascherine.
Alberto Papotti, segretario modenese dell’Associazione: “evitare le interpretazioni territoriali e dare precisi orientamenti alle imprese, come non è stato fatto, ad esempio, per gli screening sierologici: il protocollo di sicurezza c’è già, quello del 14 marzo. Apire subito meccanica, moda, edilizia, attività individuali e pensare alle norme per i servizi alla persona”
“Il tempo delle mezze misure è finito: se il 4 maggio, possibilmente prima, le imprese non riapriranno per il nostro Paese sarà il tracollo. Oggi In gioco non c'è solo il presente, ma il futuro dei nostri figli. E non è catastrofismo o cinismo, ma solo realismo”. È perentorio il parere di Alberto Papotti, segretario provinciale di CNA, in merito alla cosiddetta fase 2 dell’emergenza.
“La riapertura può essere, anzi deve esse progressiva, per tenere conto della salute pubblica che era e rimane una priorità. Una priorità che è però compatibile con una ripresa delle attività economiche, che sia basata su tempi certi e regole altrettanto definite”.
Di sicuro, secondo CNA, non devono essere fatte differenze tra grandi e piccoli, tra filiere e filiere. “Abbiamo sentito parlare della riapertura del l'edilizia pubblica: che differenza c'è tra questa e i cantieri privati? Le commesse sono più contagiose degli appalti? Perché una restauratrice di quadri che lavora da sola non può andare nel proprio nel suo laboratorio? La stessa considerazione può essere fatta per un imbianchino?”, si chiede Papotti.
A proposito di protocolli, è impensabile ed irricevibile l'idea di protocolli differenziati per territorio. Già oggi le interpretazioni differiscono da regione a regione, i moduli cambiano da prefettura a prefettura, da comune a comune, alimentando incertezza e burocrazia, l'ultima cosa di cui si senta il bisogno. Esiste già un protocollo, quello del 14 marzo, immediatamente applicabile senza ulteriori specifiche territoriali o settoriali, salvo quelli stipulati per trasporto e edilizia. Va da sé che occorrerà tenere conto di eventuali implementazioni decise a livello nazionale.
Bene le regole, quindi, ma devono essere comuni e note in fretta. É il lavoro in quanto tale che deve essere tutelato, quello vede imprenditori e dipendenti operare negli stessi spazi, oggi con un unico obiettivo: la difesa della salute e la dignità data dal reddito.
“Ecco perché – continua il segretario della CNA modenese - chiediamo la riapertura, ecco perché chiediamo subito protocolli di sicurezza chiari, come invece non è la recente delibera regionale sullo screening sierologico.
Ecco perché chiediamo sostegni che siano a fondo perduto per quelle imprese che sono chiuse dall’11 marzo e che chissà fino a quando continueranno ad esserlo, come quello del turismo, del commercio e dei servizi alla persona.
Ecco perché chiediamo tanti piccoli interventi pubblici, piuttosto che mega strutture: quante scuole ed altri edifici potremmo mettere in sicurezza, anche sanitaria, oggi?
Quante strade potremmo riasfaltare, quanti piccoli interventi urbanistici potrebbero essere realizzate, ricorrendo alle piccole imprese locali, la cui motivazione sarebbe ancora più forte, lavorando nella e per la propria comunità? La nostra richiesta di sospendere per due anni il codice degli appalti va proprio in questa direzione.
In definitiva, secondo CNA, ci sono diverse filiere che potrebbero essere aperte, anche prima del 4 maggio. Quella della meccanica, della moda, l’edilizia, i lavori individuali e persino certe attività che coinvolgono il pubblico: l’acconciatura ed estetica, con l’accesso per appuntamento nei locali, la tenuta di registri per monitorare l’accesso dei clienti, test sierologici per gli addetti, la pulizia dopo ogni appuntamento, l’uso della mascherina e, quando possibile, dei guanti (e, comunque, la continua pulizia delle mani). Perché la loro chiusura sta alimentando l’abusivismo, con rischi sanitari ancora maggiori.
“In questa vicenda ci sono due tipi di responsabilità – chiosa Papotti - quella della classe politica dirigente, che ha il compito di pensare anche al domani, non solo all'oggi, e quella degli imprenditori e della comunità, che deve rispettare le regole. Ma il rispetto delle regole, però, esige condivisione di queste ultime. Una condivisione che sta venendo meno, rendendo la situazione sempre meno controllabile.
Liquidità e ripresa dei lavori le chiavi per la tenuta di un settore importante anche per la “ricostruzione” post emergenza. Le peculiarità dell’Area Nord.
Modena, 11aprile 2020. L’edilizia non vive difficoltà inferiori a quelle di altre categorie. “I prossimi trenta giorni – sottolinea Paolo Vincenzi, responsabile di CNA Costruzioni di Modena – rappresentano il termine insuperabile entro il quale assumere provvedimenti fondamentali per assicurare l’operatività del nostro comparto. A cominciare dalla richiesta di liquidità, necessaria perché gran parte dei cantieri sono fermi, e quella di una ripartenza legata, ovviamente, a criteri di sicurezza non solo a tutela dei dipendenti, ma anche degli imprenditori, che con i primi condividono il lavoro quotidiano. E da questo punto di vista mi permetto di osservare che, per il fatto di lavorare spesso all’aperto, i cantieri edili hanno una possibilità di distanziamento in più”.
Una richiesta, quella di prepararsi alla ripartenza, che parte anche da un’altra considerazione: il grande ruolo economico che ha l’edilizia. “Nelle situazioni di crisi i lavori pubblici rappresentano, oggi come in passato, un volano determinante per la ripresa. Ecco perché riteniamo vitale una massiccia campagna di investimenti, anche di piccolo importo, alle quali fare fronte con imprese locali. Il superamento temporaneo del codice degli appalti sarebbe un utilissimo strumento in questo senso. “Occorre sburocratizzare, perché il fattore tempo nell’attuale contesto diventa decisivo! E cominciare subito a realizzare piccoli lotti. Pensiamo – continua Vincenzi – alle manutenzioni delle strade: oggi, con la riduzione del traffico determinata dai divieti alle circolazioni, sarebbero molto più semplici da realizzare”.
Ma la situazione dell’edilizia risente di criticità legate al nostro territorio. “Criticità che sono legate alla ricostruzione post terremoto – osserva ancora Vincenzi – Proprio per una questione legata all’esigenza di liquidità le aziende ancora impegnate nell’area sisma devono potere essere pagate subito per il lavoro svolto, fino al 90% come è stato previsto da un’ordinanza regionale che riguarda la procedura cosiddetta Sfinge. Questa possibilità, peraltro deve potere essere allargata anche ai cantieri interessati dalla procedura Mude, prevedendo l’introduzione di stati di avanzamento lavori aggiuntivi con una semplice dichiarazione di consistenza asseverata dal professionista incaricato, permettendo, in questo modo, l’incasso in tempi brevi da parte delle imprese di quanto effettivamente lavorato. E un ruolo lo dovranno esercitare anche le banche, erogando immediatamente i pagamenti di cui dispongono”.
Secondo CNA è importante anche potenziare l’ecobonus alzando al 100% la detrazione per i lavori di efficientamento energetico, una delle misure più efficaci per imprimere una scossa al sistema economico. “Il rafforzamento dell’ecobonus impone – chiosa Vincenzi - di porre particolare attenzione alla salvaguardia delle micro e piccole imprese che non possono sostenere il gravoso onere di anticipare benefici fiscali per conto dell’amministrazione dello Stato. Tanto più in un momento di crisi acuta che sta già deteriorando i livelli di liquidità delle imprese”.
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