Con l'obiettivo di offrire ai dipendenti un supporto concreto al proprio benessere, il Gruppo Unoenergy - da 20 anni uno dei principali operatori privati sul territorio nazionale per la fornitura di gas naturale, energia elettrica e servizi di efficientamento energetico - ha scelto di adottare la piattaforma di welfare aziendale messa a disposizione da Intesa Sanpaolo, il Gruppo bancario leader in Italia
Questa volta è toccato a CARIGE. Per molto tempo è stato il quinto istituto bancario del Paese ed ora è inciampato nuovamente nello "Stress Test" di novembre scorso dove è emersa tutta la criticità delle gestioni precedenti.
di Lamberto Colla Parma 13 gennaio 2019 -
Sono infine venuti al pettine i nodi delle precedenti gestioni di una delle più importanti banche del Paese.
Carige, la Cassa di risparmio di Genova e Imperia, sino al 2012 controllata dalla Fondazione CARIGE, non ha superato lo stress test di novembre scorso e, a fronte del rifiuto dell'azionista di maggioranza (Malacalza) di provvedere al rifinanziamento dell'istituto con 400 milioni di fresche liquidità, Banca d'Italia e BCE sono immediatamente intervenute commissariando l'Istituto e subito dopo, il Governo giallo-verde, è sceso in campo per offrire le garanzie di salvataggio nel tentativo di mettere al riparo i risparmiatori.
Con un decreto fotocopia (vedi analisi AGI) a quelli che furono emanati dal PD in passato, il Governo Conte ha provveduto a creare un Fondo di Garanzia «al fine di evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell'economia e preservare la stabilità finanziaria [...] il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato [...] a concedere la garanzia dello Stato su passività di nuova emissione» della banca in questione. Nel caso di Carige, l'articolo 1 fissa il limite della garanzia a 3 miliardi di euro.
Le differenza tra i due provvedimenti così posti a confronto riguardano il valore del fondo e la destinazione. I 20 miliardi di Gentiloni sarebbero serviti per tutte le banche in difficoltà, mentre i 3 disposti da Conte sono a esclusivo riscontro delle difficoltà di CARIGE.
Le polemiche, esclusivamente strumentali di cui si riempie la bocca l'opposizione in queste ore, sono solo il tentativo maldestro di riabilitarsi da un passato poco chiaro in ordine ai rapporti con le banche e le accuse che a loro furono rivolte non riguardavano certamente i provvedimenti salva banche, piuttosto tutte le interferenze nelle varie gestioni degli istituti bancari caduti in disgrazia, e le presunte o conclamate posizioni di conflitto di interesse.
Ma quello che continua a sconcertare è la costante posizione di scontro tra maggioranza e opposizione, su qualsiasi tema anche di irrilevante importanza. Al contrario mai si riesce a trovare una posizione di equilibrio per portare a casa qualche risultato positivo a favore della massa economica e della popolazione di questa bellissima penisola.
Tornando al caso CARIGE, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il rifiuto di Malacalza Investimenti, società finanziaria principale azionista di Carige con una quota del 27%, di sostenere un aumento di capitale da 400 milioni di euro che sarebbe servito all'istituto ligure per dotarsi di nuove risorse finanziarie e rimettersi in sesto. Un rifiuto motivato dal fatto che da poco la banca era stata rifinanziata con un bond da 320 milioni emesso dalla stessa banca e sottoscritto dal Fondo Interbancario, un organismo di garanzia partecipato dai maggiori istituti di credito nazionali, che serve per tutelare i correntisti e la stabilità del sistema finanziario, motivo per il quale i Malacalza, non ritennero che l'Istituto versasse in una pesante crisi di liquidità.
Ma la genesi del dissesto risale a prima del 2012, quando il deus ex machina era Giovanni Berneschi e l'azionista di maggioranza (45%) era la Fondazione CARIGE.
Il 2012 può essere considerato come l'apice ma anche il capolinea di quel poderoso e lungo progetto di crescita e di espansione della Banca ligure, infine incappata nella crisi economica globale e fortemente strozzata dal crescente peso dei "prestiti deteriorati". E' così che vennero messi in cantiere diversi aumenti di capitale che consentirono a Malacalza di crescere all'interno della quota azionaria e alla Fondazione invece di disimpegnarsi.
Ed ora siamo all'epilogo, pronta a essere acquisita da uno dei grandi gruppi nazionali, il primo che si farà avanti.
Auguriamo ai risparmiatori e soprattutto agli investitori "inconsapevoli" miglior fortuna dei loro predecessori.
Siamo comunque alle solite, a pagare è sempre "Pantalone" mentre i reali responsabili continueranno a svolazzare di banca in banca, da industria a industria, da società di rating a società di rating e a far man bassa di stipendi milionari anche in difetto di risultati se non addirittura responsabili della mala gestio.
Ai miseri mortali resta invece da versare il contributo di solidarietà!
(per restare sempre informati sugli editoriali)