"Nel 12,7% dei pazienti, questi sintomi possono essere attribuiti al Covid-19", da tre a cinque mesi dopo l'infezione, concludono gli autori. Questo lavoro, svolto nei Paesi Bassi, è, per portata e metodologia, un tassello importante per comprendere meglio il rischio di lungo Covid, ovvero la persistenza di sintomi di lunga durata dopo un'infezione da coronavirus. Allo stato attuale delle conoscenze, sappiamo che ci sono sequele specifiche di un'infezione da coronavirus in alcuni pazienti e che queste non possono essere spiegate esclusivamente da disturbi psicosomatici, come inizialmente ipotizzato da alcuni medici. Ma in gran parte ignoriamo la frequenza di questi disturbi e, ancor di più, i meccanismi fisiologici con cui intervengono. Se lo studio Lancet non risponde a questa seconda domanda, permette di chiarire meglio il primo elemento, in primo luogo perché è stato effettuato su un gran numero di pazienti: più di 4.000 persone con Covid. In questi pazienti l'episodio di Covid 19 è stato confermato da un test PCR o da una diagnosi del medico. Infine, e questa è una novità importante, le risposte di questi pazienti sono state confrontate con quelle date da un gruppo di persone che non avevano il Covid. Perché è possibile avvertire uno dei sintomi elencati, senza che il Covid ne sia la causa. Infatti, quasi il 9% delle persone che non hanno avuto il Covid presenta uno dei sintomi precedentemente descritti. Tra gli ex pazienti Covid, la quota sale al 21,4%. È per sottrazione che i ricercatori riescono a concludere che poco più del 12% delle persone colpite da Covid sviluppa una sequela specificamente legata alla malattia. Questo studio presenta però alcune limitazioni, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, come non aver misurato la frequenza di altri sintomi associati a lungo Covid, tra cui in particolare uno stato di depressione o confusione mentale.
(5 agosto 2022)