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di Mario Vacca Parma 8 marzo 2019 - Il nuovo codice sulla crisi d'impresa non solo "mette le mani nel codice civile" allorquando impone una certa condotta dell'imprenditore ma cambia anche il rapporto banca/impresa.

Gli istituti di credito dovranno, in sede d'istruttoria e monitoraggio del merito creditizio, valutare preventivamente "gli idonei assetti organizzativi, amministrativi e contabili", per non incorrere in possibili responsabilità patrimoniali - per incauto affidamento o abusiva concessione del credito - in caso di dissesto della società affidata.

La questione comporta significative ricadute operative anche per il possibile ruolo che potrebbero svolgere i professionisti chiamati a rilasciare compliance sull'informativa finanziaria storica, corrente e prospettica e su cui deve basarsi una corretta valutazione del rischio d'insolvenza.

Ai sensi di questa norma, "l'imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell'art. 2086 del codice civile ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative". Viene introdotto un preciso dovere di risk governance (adeguati modelli di corporate governance, procedure di controllo interno e sistemi di gestione integrata dei rischi) per l'imprenditore che opera in forma societaria e collettiva. Egli "ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell'impresa, sopratutto in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa e della perdita di continuità"

Non di poco conto anche le conseguenze e ricadute operative in tema di responsabilità degli amministratori prodotte dall'art. 378. Ai sensi di questo articolo, "Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale". Ed inoltre, con conseguenze notevoli soprattutto per le SRL, "l'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti".

Questo significa che anche le banche, in presenza di un significativo deterioramento del credito, quando accertano che il capitale di rischio effettivo potranno agire a tutela delle loro pretese avviando azione di responsabilità verso gli amministratori con istanza all'autorità giudiziaria.

Non dimentichiamo che alle banche viene imposto un preciso e vincolante obbligo di segnalazione che potrebbe comportare significative conseguenze se non correttamente interpretato dagli organi di controllo societario. Ai sensi infatti del 4° comma dell'art. 14, "Le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all'art. 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni o revoche degli affidamenti ne danno notizia anche agli organi di controllo societari se esistenti.

La questione di fondo è quindi stabilire se, dovendo le società adottare idonei assetti organizzativi (modelli di corporate governance e piani aziendali), amministrativi (sistemi di pianificazione e controllo) e contabili (reportistica periodica anche forward-looking), le banche, in sede di istruttoria di affidamento e prima della concessione creditizia, nel valutare il merito creditizio non debbano anche valutare preventivamente proprio gli "adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili", pena la possibile corresponsabilità patrimoniale in caso di dissesto della società affidata.

A questo punto, la banca, quale operatore professionale del credito potrebbe essere chiamata a rispondere della mancata preventiva valutazione ad esempio, di un adeguato modello di corporate governance rispetto alla natura e dimensione della società oppure della preventiva valutazione delle procedure interne di pianificazione e controllo. Potrebbe quindi essere esimente per le banche "integrare" le procedure d'istruttoria (sia in sede di affidamento che di monitoraggio) con valutazioni "mirate" sugli assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

 

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di Mario Vacca, Parma 3 fmarzo 2019 - L'entrata in vigore della fattura elettronica è stata propedeutica all'ingresso di altri adempimenti, infatti il D.L. 119/2018 stabilisce che a partire dal prossimo 1° luglio alcuni contribuenti saranno obbligati ad inoltrare telematicamente i corrispettivi all'Agenzia delle Entrate.

E' importante verificare il volume d'affari al 31 dicembre 2018 per determinare se il contribuente rientra in uno dei due scaglioni di decorrenza, infatti:

 dal 1° luglio 2019, sono obbligati i soggetti con un volume d'affari superiore ad € 400.000;
 dal 1° gennaio 2020, per tutti i soggetti a prescindere dall'ammontare del volume d'affari.

L'adempimento obbliga il contribuente all'adozione dei "registratori telematici", già sottoposti a specifica regolamentazione con il Provvedimento dell'Agenzia delle entrate n. 182017 del 28.10.2016, o comunque di nuovi strumenti, individuati successivamente dall'Agenzia delle entrate, come ad esempio un portale web dedicato.

Alla stregua delle modalità di trasmissione già adottate con la fattura elettronica, si deve procedere all'invio telematico dei corrispettivi in formato XML, nonché alla relativa conservazione sostitutiva a norma del medesimo file XML trasmesso. Anche in questo caso nell'eventualità di scarto del file XML dei corrispettivi elettronici, l'esercente avrà 5 giorni per trasmettere nuovamente il file corretto al Sistema di Interscambio.

L'obbligo di trasmissione porta anche l'abrogazione – a partire da gennaio 2020 – del registro dei corrispettivi.

Secondo quanto stabilito dall'articolo 2, comma 6, D.Lgs. 127/2015 "ai soggetti che effettuano la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica ai sensi del comma 1 e ai soggetti di cui al comma 2 si applicano, in caso di mancata memorizzazione o di omissione della trasmissione, ovvero nel caso di memorizzazione o trasmissione con dati incompleti o non veritieri, le sanzioni previste dagli articoli 6 comma 3, e 12, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471".

Nel linguaggio corrente, in caso di corretta certificazione dell'operazione, ma ritardata od omessa comunicazione, la sanzione amministrativa è stabilita da un minimo di € 250 ad un massimo di € 2.000. In particolare, secondo quanto stabilito dall'articolo 6, comma 3, D.Lgs. 471/1997, "Se le violazioni consistono nella mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto ovvero nell'emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali, la sanzione è in ogni caso pari al cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato. La stessa sanzione si applica in caso di omesse annotazioni su apposito registro dei corrispettivi relativi a ciascuna operazione in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali. Se non constano omesse annotazioni, la mancata tempestiva richiesta di intervento per la manutenzione è punita con sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000".

L''articolo 17 D.L. 119/2018 rinvia alla pubblicazione di un Decreto ministeriale le ipotesi di esonero dall' adempimento, sulla base della tipologia di attività svolta dai soggetti passivi e dal luogo di esercizio dell'attività, in considerazione del fatto che in alcune zone d'Italia la rete internet potrebbe non essere disponibile.

 

Pubblicato in Economia Emilia
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